Regole, barriere, differenze: consigli per futuri “kings of hospitality” firmati Dario Schiavoni
«Primo giorno di lavoro a Pechino, apertura del Bulgari Hotel. Orario di colazione. Arriva il cliente, un distinto signore inglese, e mi chiede un Americano. Io, senza battere ciglio, preparo il cocktail. Sto per finire e mi cade l’occhio sull’orologio. Sono le 8 di mattina: forse, complice il nervosismo, sto sbagliando tutto. Forse intendeva un caffè. Ma ne sono davvero così sicuro? Nel dubbio, li preparo entrambi. Chiedo che cosa intendesse, scusandomi, e lui, sorridendo… si fa lasciare sia il drink che il caffè».
Di aneddoti come questo, Dario Schiavoni ne ricorda a mazzi dopo 16 anni di lavoro all’estero come bartender e f&b manager in alberghi di lusso. Il 34enne che ha fatto dei suoi baffi un personal brand ci parla – guarda un po’ il caso – proprio nel suo nuovo primo giorno di lavoro. È rientrato in Italia, a Milano, da pochi giorni e sta prendendo le misure dei tre bar e tre ristoranti del The Wilde, member’s club esclusivo che aprirà a fine ottobre in via dei Giardini, dentro a Villa del Platano che fu residenza milanese di Santo Versace. Schiavoni avrà il ruolo di f&b manager. «Stiamo preparando un concetto tutto nuovo, ancora prematuro disegnarne i confini – dice, emozionato alle sue prime ore di lavoro nel capoluogo lombardo – ma sono davvero felice di questa opportunità. Per ora non ho certezze». Se non il fatto che i baffi resteranno. Del resto hanno ispirato anche un suo cocktail, Mustacchioni (da mustache, appunto baffi in inglese, un twist sul Negroni con tequila, Mancino chinato, Porto e Campari, sempre al Bulgari a Pechino, nel 2018).
Mustacchioni, il twist sul Negroni firmato da Dario Schiavoni e ispirato ai suoi… baffi
Fuori dalla confort zone: tentare l’avventura all’estero
A Schiavoni (nell’ultimo anno Director of food & beverage nell’albergo di lusso The Singapore Edition del gruppo Marriott, prima Director of bars di Bulgari Hotels & Resorts, prima ancora Restaurant manager a Londra a soli 21 anni dopo aver iniziato come stagista e cameriere a La Pergola a Roma neanche maggiorenne) chiediamo qualche buon consiglio per i ragazzi che vogliono inseguire il sogno del lavoro all’estero. All’Edition ha gestito una struttura con sei cocktail bar con sei drink list diverse e un team di 150 persone, per un albergo da 204 camere avviato da zero. Qualcosa avrà pur imparato.
«Siamo ancora i kings of hospitality, facciamo valere questa giusta fama»
«Faccio una premessa – dice Dario – che vale sia per il mercato italiano che per l’estero: usciamo dall’idea di mettere in un cocktail menu quello che piace a noi. La mixology sta tornando sulla retta via, dopo anni a proporre preparazioni troppo elaborate e spesso incomprensibili. Oggi bisogna far innamorare la gente con proposte comprensibili. Vale in Asia, nell’hotellerie di lusso, come qui». Detto questo, focalizziamoci su qualche consiglio concreto.
«All’estero siamo ancora riconosciuti come i kings of hospitality, perché il nostro patrimonio umano in questo senso è immenso. Quindi non abbandoniamo il nostro bagaglio culturale, mai, perché funziona ancora moltissimo. Siamo noi stessi. Quello che fa la differenza tra noi e il resto del mondo è proprio il senso di ospitalità che è insito nella nostra preparazione in questo settore».
«Quasi all’opposto, impariamo il rispetto delle regole e degli orari. Disciplina ed etica del lavoro sono basilari in senso assoluto, ancora di più in situazioni importanti, strutturate e di alto livello all’estero. Perché non c’è nessun “volemose bene” e nessun apprezzamento per gli atteggiamenti furbi».
«Attenzione a barriere linguistiche e differenze culturali. Ci sono clienti – penso agli americani – molto amichevoli nell’approccio, ma in realtà super esigenti. Gli asiatici sono tendenzialmente per una conversazione più strutturata, complice la barriera data dalla lingua. Attenzione a generalizzare: l’Asia è un’idea, in realtà si possono trovare differenze immense nell’atteggiamento di clienti che arrivano dal Giappone o dalla Cina o dal Sud-Est asiatico. Bisogna studiare e ricordare che un buon sorriso vale già il 50% dell’approccio».
«Ultimo consiglio: in Asia in particolare i clienti sono molto più flessibili sull’innovazione, perché c’è meno storicità e meno abitudine a “fermarsi” su drink classici. Il che non significa che si può proporre chissà quale stranezza al banco». Su questo, vale la premessa.
Una tempesta di Punch nel cuore
Mentre Dario freme per tornare a misurare le station al bar del The Wilde, gli chiediamo un’ultima cosa. Il cocktail del cuore, quello che gli ha lasciato il miglior ricordo di tanti anni all’estero. «Uno della lista della Punch Room, all’Edition, una drink list ispirata ai miti di Singapore: 12 ricette su altrettanti momenti storici e leggende, presentate in un vero e proprio libro. Il Tempest Punch mi è rimasto impresso, era ispirato alla storia del primo sultano di Singapore. Mentre era in viaggio, durante una tempesta, finì in acqua e leggenda vuole che in quel momento la tempesta si fosse placata di colpo per permettergli di salvarsi. Il cocktail in questione è un punch con un gin locale di Singapore, che si chiama Brass Lion, semi di coriandolo, blu butterfly tea, succo di limone e tè alla menta locale». Welcome back, mr. Mustacchioni.
L’articolo Regole, barriere, differenze: consigli per futuri “kings of hospitality” firmati Dario Schiavoni è un contenuto originale di bargiornale.