La rivoluzione dei belli carichi

“La pizza come la faccio io è una cosa mondiale. Nessuno me la deve insegnare”. Per intere generazioni i nostri locali sono stati il regno di quelli che “tanto non ho niente da imparare, l’espresso come lo faccio io non lo fa nessuno, la mia Margherita è un’opera d’arte, ‘sto Negroni è insuperabile”. Sottotitolo: lo faccio così da anni, come se il fatto di fare una cosa da tempo implicasse necessariamente il saperla fare bene. Poi nella stanza, anzi al bar, si sono spalancate di colpo le finestre ed è arrivata una ventata bella fresca che ha fatto saltare carte e banco. La third wave, nuova onda del caffè e degli specialty; la riscoperta dei cocktail storici, antichi, dimenticati, talvolta fossili; le operazioni a quattro mani tra chef e mixologist; gli artisti del panino; quelli dei burger devastanti e l’era delle insalatone ricercate fino all’ultima foglia e dei tramezzini golosi fino all’ultima goccia di salsa.

Questo fenomeno è cresciuto in modo esponenziale negli ultimi anni. Lo spartiacque, manco a dirlo, è stato il periodo del lockdown che, pur con tutti i danni che ha creato alla nostra industry, qualcosa di buono l’ha prodotto. Per esempio, ha dato l’opportunità a tanti di fermarsi, riflettere, studiare, informarsi e ripartire con nuove idee.

La fonte di energia delle nuove generazioni – e in generale degli imprenditori più illuminati a prescindere da questioni anagrafiche – sta, dopo anni di immobilismo, nel sapersi mettere in discussione. Ci si libera dal giogo del passatismo, dalle paludi del “tanto non c’è niente da imparare” e si guarda agli altri. Si studia, si continua a esplorare, ci si rimette in gioco, si guarda oltre al proprio giardino, si viaggia. E in giro ci sono tanti buoni modelli da prendere, non da fotocopiare.
Nella letteratura latina si parlava di tre gemelli diversi: imitatio, aemulatio e variatio. Copiare, emulare quindi migliorare un modello già esistente o passare completamente oltre creando qualcosa mai visto prima. Il presente ci parla di nuova generazione di professionisti.

Uno lo abbiamo in copertina: si chiama Daniele Ricci, ha 27 anni, e nel 2023 è stato vice campione del mondo Baristi. Ad accumunare questi fuoriclasse della nuova generazione è la loro capacità di superare il vecchio ritornello “sole, cuore, amore” per calare un nuovo poker: testa, professionalità, competenza, cultura. Senza questi quattro fattori il rischio è quello di trasformarsi in frecce spuntate, in locali in balia della concorrenza, prede facili dei pirloni da tastiera e dei cavalieri mascherati di Tripadvisor o di qualche scheda Google.

Bargiornale è al fianco dei professionisti che non si sentono arrivati anche quando di anni ne hanno 90. È il giornale dalla parte dei curiosi, di chi si fa domande, di chi è ancora capace di interrogare e di interrogarsi. Viva la vida! E viva chi ci mette l’energia giusta. •

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