Tutti i vincitori dei Campionati Italiani Baristi di SCA Italy 2025
Ina ltrettante categorie, sette campioni difenderanno i colori nazionali ai prossimi Campionati Mondiali SCA in giro per il mondo: sono gli italiani Daniele Ricci, Marco Paccagnella, Andrea Villa, Andrea Batacchi, Stefano Cevegnini, Gianluca Lavacca insieme con il turco Talar Bitar.

Al Sigep World 2025 di Rimini è andato in scena il grande spettacolo del caffè: tre giorni intensi di competizioni SCA (Specialty Coffee Association) Italy hanno eletto i migliori baristi italiani che rappresenteranno l’Italia ai World Barista Championship.
Sette discipline, tanta adrenalina e nomi che promettono scintille anche a livello internazionale. Scopriamo i campioni che ci rappresenteranno nei prossimi Mondiali di caffetteria.

Nella Categoria Barista, Daniele Ricci si è confermato un fuoriclasse, aggiudicandosi il primo posto. Daniele Ricci è arrivato secondo nel Campionato Mondiale Barista 2023, ed è la terza volta (dopo il 2020 e il 2023) che conquista il titolo italiano. Lo vedremo di nuovo disputare il mondiale al World Barista Championship organizzato ad ottobre ad Host Milano. Sul podio, al secondo posto, si è classificato Filippo Guarneri, mentre Irene Giupponi ha chiuso al terzo posto.

Sul Podio Barista il vincitore (al centro) Daniele Ricci tra Irene Giupponi e Filippo Guarneri. Foto Credits SCA Italy/Michele Illuzzi

Tra i Cup Tasters, Marco Paccagnella è il nuovo campione italiano e si prepara a rappresentare l’Italia al World Cup Tasters Championship di Ginevra, in programma dal 26 al 28 giugno. Luigi Paternoster ha conquistato il secondo posto, mentre Flavio D’Onofrio è salito sul terzo gradino del podio.

Sul Podio Cup Tasters il vincitore Marco Paccagnella tra Flavio D’Onofrio e Luigi Paternoster. Foto Credits SCA Italy/Michele Illuzzi

Nella gara Coffee in Good Spirits, la disciplina che unisce il caffè alla mixology, Andrea Villa ha dimostrato tutto il suo talento, portandosi a casa il titolo per la terza volta (dopo le vittorie del 2020 e 2024). A giugno lo vedremo ai mondiali di Ginevra. Marco Poidomani si è classificato secondo, mentre Luigi Cippone ha ottenuto il terzo posto.

Nella gara delle Estrazioni a filtro, la Brewers Cup, Andrea Batacchi ha dominato la competizione e rappresenterà l’Italia ai Mondiali di Jakarta, in programma a maggio. Sul podio sono saliti anche Gabriele Pezzaioli, al secondo posto, e Luana Lazzarone, al terzo.

Nella disciplina Latte Art, nella quale l’Italia eccelle avendo ben due Campionesse Mondiali (Carmen Clemente e Manuela Fensore), il primo posto è andato a Stefano Cevenini che volerà ai mondiali di Ginevra a giugno. Alessio Panero si è classificato secondo, mentre Michele Intravaia ha ottenuto il terzo posto.

I Campionati di SCA Italy hanno eletto anche il Miglior Torrefattore d’Italia: Gianluca Lavacca ha vinto il titolo di campione italiano Roasting e volerà ad aprile ai mondiali di Houston, portando con sé l’eccellenza italiana nella torrefazione. Emanuele Tomassi, campione uscente, ha ottenuto il secondo posto, seguito da Michael Angelini al terzo.

Miglior Toirrefattore d’Italia è Gianluca Lavacca con Alberto Poljoac di SCA Italy

Tra i campioni di SCA troviamo anche il neocampione di Cezve / Ibrik, il caffè turco, si chiama Talar Bitar e ha conquistato il biglietto per i mondiali di Ginevra a giugno. Il secondo posto è andato ad André Tomassi, mentre Francesco Stabile ha chiuso in terza posizione.

Le competizioni hanno mostrato ancora una volta il talento e la passione che l’Italia sa portare nel mondo del caffè. Ora l’attenzione si sposta ai campionati mondiali: tifiamo tutti per i nostri campioni!

Foto Credits SCA Italy/Michele Illuzzi

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La squadra di Moebius ci riprova con Lubna: il nuovo listening restaurant bar in zona Fondazione Prada
Una storia di rigenerazione urbana di un ex sito industriale, che rivive grazie al progetto culturale dei quattro soci, capitanati da Lorenzo Querci

Una nuova location con spazio eventi e galleria d’arte destinata a illuminare Milano con la sua luce riflessa, quella della stella (Michelin) che è di recente caduta sul Moebius, la cui squadra vincente torna con una nuova apertura, Lubna, che farà di sicuro parlare di sé. Il nuovo Listening Restaurant Bar è all’interno di in una zona di rigenerazione urbana a pochi passi da Porta Romana, Fondazione Prada e Fondazione Ica. «Un progetto che parla di una Milano nuova, quella del futuro, che conserva la solennità della sua storia e al tempo stesso lo slancio all’innovazione e al continuo rinnovamento della città e del suo stile di vita», spiegano Alberto Querci, Francesco Sicilia, Lorenzo Querci e Natascia Milia, soci e fondatori di questa nuova impresa dal forte taglio culturale e artistico. Chi proviene dal mondo della ristorazione, chi dall’organizzazione di eventi: sono professionisti che hanno unito le loro forze per creare un luogo inaspettato.

L’idea è quella di riportare alla vita a un’area urbana di circa 3000 mq (nei primi del Novecento era un deposito di ossigeno), restituendola alla città, dopo decenni di abbandono e degrado. A occuparsi del progetto di recupero, architettonico e al tempo stesso urbano, lo studio q-bic di Firenze, a cui è stato affidato il compito di trasformare il sito industriale in un luogo multifunzionale. La nuova area si sviluppa intorno a una piazza trapezoidale, di circa 1200 m2, che connette tre distinte funzioni: l’area eventi Magma, il listening restaurant bar Lubna e la galleria d’arte Scaramouche. 

Aperto tutte le sere dal mercoledì alla domenica, è Lubna il luogo fisico in cui ritrovarsi, una piazza nella piazza, con la sua forma architettonica semicircolare. La grande sala è dominata dai toni scuri, dal cemento e dal ferro e da un unico grande bancone lungo 15 metri che riunisce postazione cocktail, cucina a vista e tavolo a cui accomodarsi. Nasce come spazio ibrido in cui mangiare, bere, ascoltare musica. A firmare la proposta, la coppia vincente di Moebius, lo chef Enrico Croatti, nuova Stella Michelin 2025, e il bar manager Giovanni Allario, fautore della scalata del locale nell’ultima  prestigiosa classifica The World’s 50 Best Bars (38° posizione 2024) e Top 500 Bars (41° posizione 2024).
Come nel caso del Moebius, il nome si ispira al mondo dei fumetti e a una figura giovane, sensuale. La proposta ha una forte connotazione, in cui la parte food curata dallo chef stellato va a riprendere le sue origini romagnole e trae forza propulsiva dal fuoco della griglia. E la griglia è protagonista anche della carta cocktail pensata da Allario, che ha sviluppato un’intera sezione di miscelati che lavorano sul passaggio in griglia di ingredienti freschi. «Cocktail che escono dalla struttura classica e si focalizzano più sull’esperienza aromatica tesa a sorprendere il cliente», spiega il bar manager (di Moebius e ora anche di Lubna). Spazio quindi ad affumicatura, cottura o ingredienti bruciati, che diventano protagonisti del drink, con estrazioni come quella di olio al carbone, banane bruciate, rosmarino scottato. A questo si aggiunge la categoria degli highball, long drink che strizzano l’occhio alla recente onda lunga del low alcohol e che ambiscono a diventare un perfetto pairing per i piatti della cucina di Croatti.

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Ditta Artigianale apre a Milano e rilancia il bar stile anni ’50
Primo punto vendita fuori da Firenze per l’insegna di caffetteria di Francesco Sanapo, che inaugura il 25 gennaio in Corso Magenta a Milano. Un locale aperto dalla colazione fino alle 23, con i caffè della torrefazione fiorentina protagonisti assieme a proposte food di stampo internazionale

«È bello, è bellissimo», ci ha detto Francesco Sanapo pochi giorni prima dell’apertura della nuova caffetteria di Ditta Artigianale a Milano. E aveva proprio quello sguardo lì, pieno di orgoglio ed emozione, di chi ha atteso il momento giusto e progettato al millimetro uno sbarco piuttosto ardito, nell’affollato porto milanese, e finalmente vede terra. Sabato 25 gennaio è la data di apertura ufficiale della prima caffetteria di Sanapo nel capoluogo lombardo, in Corso Magenta 31, a 50 passi dal Bar Magenta. Si tratta del primo pdv fuori da Firenze, dove l’insegna ne conta già cinque più un corner dentro il Mercato Centrale.

Dalla colazione al dopocena

Aperto in settimana dalle 7:30 alle 23 e nel weekend dalle 8:30 alle 23, il locale si candida a far convivere alta caffetteria e proposte culinarie di qualità per ogni momento della giornata.

Ampio spazio al mondo del caffè: ci sono le miscele per espresso, come MammaMia e Jump, e i monorigine selezionati da Sanapo e dal suo team. Espresso, naturalmente, ma anche altre estrazioni come V60 o Aeropress. Presenti in lista anche proposte stagionali e signature coffee, come il bestseller Coffeemisù, bevanda ispirata al tiramisù a base di espresso, servita con crema di mascarpone e biscotto. Offerta food dalla colazione all’aperitivo: ci sono dolci e lievitati d’ispirazione internazionale come croissant francesi, cinnamon buns e carrot cake. Pausa pranzo con proposte semplici e fresche, ricco brunch in stile internazionale, che unisce le proposte stagionali e i grandi classici (come avocado toast, pancakes, club sandwich e croque madame). All’aperitivo Ditta Artigianale propone una selezione di signature cocktail, alcuni dei quali preparati con il Gin Peter in Florence e accompagnati da tapas gourmet.

Francesco Sanapo nel nuovo locale di Milano

Sanapo: «Riscopriamo la dimensione conviviale»

«Aprire a Milano è una grande emozione per me e per il mio team», commenta Francesco Sanapo, AD di Ditta Artigianale. «Il nostro concept si basa sull’idea di riportare il bar alla sua dimensione umana e conviviale, ispirandosi ai caffè degli anni ’50, quando questi luoghi erano punti di ritrovo per socializzare e condividere momenti di qualità. L’obiettivo principale è quello di creare un ambiente accogliente dove il caffè è al centro dell’esperienza e della narrazione, insieme a un’offerta complementare di prodotti artigianali e di altissima qualità». E aggiunge: «Quale miglior occasione per presentare la nostra nuova visual identity, a partire da una grafica più contemporanea e colorata e da un packaging 100% riciclabile».

Gli ambienti: richiami Liberty

La nuova caffetteria di Ditta Artigianale di Corso Magenta richiama lo stile Liberty, in dialogo con il palazzo che lo accoglie e le sue linee ornamentali e dinamiche, con infissi in ferro battuto e decorazioni floreali. Per questo motivo il cemento, protagonista indiscusso del locale, si è affiancato alle boiserie in legno di noce, al prezioso banco in graniglia veneziana e agli infissi, che riportano geometrie sinuose in ferro battuto.

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Contento e non mi accontento

Si può essere contenti di essere nei primi 30? Assolutamente sì, a giudicare dai riscontri avuti – via telefono, mail o social – dai professionisti che hanno ricevuto la notizia di essere tra le nomination dei Barawards 2024. Per tanti di loro, lontani dalle luci delle grandi città e impegnati a mostrare ai loro concittadini la bontà e il valore del proprio lavoro, un riconoscimento nazionale è motivo di orgoglio e notizia da spendersi con le testate locali.

 Si può essere scontenti di essere nella top 10? Dipende dalle aspettative. C’è chi ci contava, chi ci sperava, chi voleva assolutamente il podio o la vittoria. Si può essere felicissimi o delusissimi, a seconda, appunto, di qual era l’ambizione iniziale.

Poi, come in tutte le competizioni, ci sono i vincitori. La decima edizione di Barawards, il premio all’eccellenza dell’ospitalità italiana diventato anno dopo anno una galleria di “mostri sacri” (andatevi a vedere l’Albo d’oro dei vincitori sul sito di Bargiornale), aggiungerà 24 tra locali e professionisti alla lista dei numeri uno (quelli di quest’anno li trovate nello speciale all’interno del numero di gennaio).

Al Barawards Gala Night Party, come accade in una superserata in uno dei vostri locali, si mescolano gli umori e gli stati d’animo dei presenti: euforia, rabbia, sorpresa, delusione, gioia, amarezza, felicità, tristezza. Ci sarà chi andrà a casa galvanizzato e chi arrabbiato.

Dovendo scegliere a chi dare la nostra personalissima medaglia, optiamo per un podio ex-aequo.
La prima chiamata è per quei titolari di locali che, indipendentemente dalla posizione in classifica che occupano, prendono la serata di Barawards come un momento di celebrazione della bontà del lavoro svolto. Lavoro che è stato riconosciuto eccellente dall’esterno, dagli esperti del settore e dai frequentatori del locale. Della serie: “Non ce lo stiamo raccontando, ce lo dicono gli altri”. E allora si presentano con tutto lo staff, a cui hanno offerto il biglietto, perché riconoscono che ogni risultato è un risultato di squadra e ogni traguardo importante va condiviso, onorato e celebrato. Onore a voi!

La seconda chiamata è per chi esce deluso e arrabbiato. Perché, da grande professionista qual è (sennò non sarebbe a Barawards), siamo certi – lo abbiamo visto nei vostri volti, ascoltato dalle vostre parole, ritrovato nei vostri locali – che rabbia e delusione verranno messe da parte abbastanza in fretta. E sostituite da un sano desiderio e una ferrea volontà a fare ancor meglio di prima il proprio lavoro. Non per vincere Barawards, ma per rendere sempre più felici e soddisfatti i propri clienti. Che, come ognuno di voi ben sa, è la vera vittoria di chi fa il vostro lavoro. Una vittoria che si può (e si vuole) portare a casa tutti i giorni dell’anno.
La vittoria a Barawards sarà solo la naturale conseguenza di questa scelta perseguita con determinazione, costanza e quel pizzico di fortuna che non guasta mai.

Buon anno, bar industry!

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Ha aperto a Torino il primo shop di Liquorificio Spirito Reale
Lo store sorge nella Galleria San Federico ed è il primo di un progetto che prevede aperture nelle città iconiche della Penisola. Al suo interno il ricco assortimento del marchio, ben 51 referenze per 6 categorie di prodotto, con un occhio alla storia della liquoristica italiana e uno ai gusti dei consumatori

In Piemonte è nato il primo spumante d’Italia. A Torino, prima Capitale dell’Italia unita, è nato il vermouth, ma anche il tramezzino (panino triangolare di pancarrè), il gianduiotto (cioccolatino a forma di prisma) e il bicerin (bevanda a base di caffè, cioccolato e latte). Insomma, Piemonte e Torino sono, a pieno titolo, una delle tessere più importanti di quel puzzle di sapori, profumi ed eccellenze che compongono il “Made in Itay” del gusto. Non stupisce affatto, quindi, che, nel cuore della città sabauda per eccellenza, abbia aperto il primo shop monomarca di Liquorificio Spirito Reale, l’azienda nata dall’idea di un imprenditore piemontese, sposata poi anche da un fondo, che propone distillati, liquori, amari e Vermouth, anche in degustazione.

Un tripudio di arte e grafica pop

Il luogo è la Galleria San Federico, a due passi da piazza San Carlo e dal Museo Egizio.
L’open party c’è stato lo scorso lunedì 20 gennaio, al termine di una giornata con la pioggia che rende Torino, se possibile, ancora più bella, con le luci che si riflettono sulle strade e sanno tanto di Parigi.

Dentro al primo shop di Spirito Reale (perché il progetto è di aprirne altri nelle città più iconiche del Belpaese) è un tripudio di arte e grafica pop con manifesti e banner dai colori accesi e squillanti, con linee essenziali che non lesinano curve e script a effetto.

6 famiglie di prodotti e 51 referenze

Sugli scaffali c’è una teoria di bottiglie con ben 51 referenze, una mezza dozzina di “famiglie” di prodotti, dai vermouth agli amari, dai gin ai liquori, dai bitter alle vodka, il tutto con un packaging moderno e accattivante e vari formati, si va dai 750 ml per i vermouth alle confezioni cadeau da 200 ml.
L’effetto è caleidoscopico, con una girandola di colori e forme che, inevitabilmente, attrae lo sguardo, invita all’assaggio e all’approccio sensoriale, tatto compreso.

Un marchio che guarda a un mercato in continua evoluzione

Spiega Luca Marini, direttore commerciale di Spirito Reale: «L’idea di avere 51 referenze suddivise in sei famiglie di prodotti non è solo la conferma della volontà di andare incontro al gusto dei consumatori, ma anche di soddisfare le esigenze di un mercato in evoluzione continua. Anche l’idea di avere diversi formati va in quel senso». Sul come il mercato stia accogliendo il brand Spirito Reale, che ha il suo centro di produzione nelle Distillerie Sabaude di Moriondo nel Torinese, Marini è chiarissimo: «Siamo un marchio posizionato in quota medio alta. Ci rivolgiamo al canale horeca con l’ambizione di intercettare appassionati, ma anche chi si accosta per la prima volta al mondo dei distillati e dei liquori. Oggi c’è molto interesse verso gli amari e i vermouth, ma anche i gin sono sulla cresta».

Gusti e ricette del passato

Fulvio Piccinino, docente di storia della liquoristica italiana e scrittore di libri su questo tema, è il consulente che ha dato al progetto Spirito Reale una profondità culturale e di ricerca imprescindibile. Spiega: «Non ci si poteva accontentare di produrre senza ricordare la storia della liquoristica. Per questo tra le tante referenze di Spirito Reale abbiamo inserito gusti e ricette del passato che incontrano ancora».

Come L’Acqua di Cedro o il liquore al Tè Nero e Bergamotto, il Cordial o il Liquore Millefiori, ma anche il Verdolino di Torino, liquore della tradizione torinese di fine Ottocento appartenente alla categoria dei rosoli, caratterizzato dalle note tipiche delle foglie di menta piperita, l’Amaro Amarissimo, dai toni forti e amaricanti di genziana, tarassaco, aloe e carciofo o l’Amaro Diabolico, con le note piccanti di zenzero, pepe peperoncino.

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Volare per tutto gennaio si veste da Speakeasy
Per l’intero mese, il cocktail bar bolognese propone i drink dei why go to Cuba?, i locali dove finivano i distillati rubati ai contrabbandieri durante il Proibizionismo. Un menu che nasce da un’accurata ricerca fatta con Gianni Zottola

Volare è la perfetta riproduzione di un bar all’italiana degli anni Sessanta. Dire “riproduzione” però, non rende onore all’idea: tutti gli interni e l’arredamento sono originali e la serietà con cui Peppe Doria e staff si applicano a non tradire il loro bar ideale è degna di ammirazione. I menù di Volare sembrano il manifesto di Baritalia 2025: pochi fronzoli, massimo quattro ingredienti, nessun home made e… tanta ospitalità. Mescolare le carte in tavole però talvolta è necessario, soprattutto per chi di idee ne ha tante per la testa: per questo, durante tutto il mese di gennaio, Volare diventa uno speakeasy.

Gli speakeasy ai tempi del Volstead Act

Come?! Un bar su strada che diventa speakeasy? Domanda più che lecita… in realtà Volare rimane lo stesso, ma il menu che viene proposto è il frutto di una ricerca fatta insieme a Gianni Zottola, con il proposito di definire meglio che cosa servissero da bere gli speakeasy ai tempi del Volstead Act.

Sappiamo che i secret bar del tempo erano di tanti tipi, soprattutto in funzione della capacità di spesa che avevano i clienti. Volendo sintetizzare, potremmo suddividere gli speakeasy in tre categorie: i “Tigerhead” sono quei bar in cui si può bere di tutto, perlopiù Champagne, Brandy e distillati nobili, provenienti dal contrabbando con l’Europa e i Caraibi, e sono dedicati a una clientela benestante e controllati dalla malavita.

Nei “Pighead” invece si bevono distillati scadenti, prodotti contraffatti e insalubri; sono i bar per le classi meno abbienti, che possono solo accontentarsi di bagnarsi il becco.

C’è poi una terza categoria – che è quella alla quale si dedica il menu del locale Bolognese – e sono i cosiddetti “Why go to Cuba?”. In questi locali gioca un ruolo chiave una figura: l’Highjacker. Il dirottatore. Colui che ruba ai contrabbandieri i carichi – spesso provenienti dai Caraibi – e rivende la merce a quei locali spesso riconoscibili da un murale esterno con scritto “why go to Cuba?”. Come mai questo particolare nome? Perché Cuba, ai tempi, era il centro del divertimento mondiale, soprattutto per quegli americani che si potevano permettere di frequentare l’isola e i suoi rinomati cocktail bar.

Una rievocazione seria e puntuale dei drink del tempo

E, nonostante si fatichi molto a trovare dei cocktail ideati durante il proibizionismo (anzi, non se ne trova proprio nessuno), è verosimile pensare che – se ci fossero dei cocktail dell’epoca – sarebbero questi i locali in cui vengono serviti: Charlie Chaplin, Blue Paradise, Honeymoon, l’Italiano (una variante dell’Americano) e Maria Baronano Fizz. Sono questi i drink proposti nel Gennaio Speakeasy di Volare. Riproduzioni esatte dei drink del tempo, cercando di adattarli al gusto contemporaneo ma senza “twistare” nulla. Una rievocazione storica seria e puntuale che ci fa giustamente dire…Why go to Cuba?

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Raaro: il cocktail bar che cerca rarità, per fiorentini, fuori dal centro di Firenze
Il locale di periferia aperto da due amici con la consulenza di Julian Biondi per il beverage e di Antonio Dori per il food. Parola d’ordine: ricerca

Dove abitano veramente i fiorentini? Dove possono andare a bere che non sia in centro città? Da questi interrogativi è nato il progetto Raaro Sips & Bites, che ha aperto volutamente in zona Campo di Marte, un quartiere residenziale finora all’asciutto quanto a miscelazione valida. L’idea nasce dalla passione dei due soci fondatori, Claudio Mariottini e Francesco Fabiani, che hanno creato un luogo originale, con il supporto di professionisti che ne potessero fare “un luogo più unico che Raaro” (ma possibilmente anche un format replicabile). E se per la parte design si sono affidati a Francesco Barthel, per la consulenza food&beverage hanno convocato rispettivamente Arturo Dori come executive chef consultant e Julian Biondi in qualità di executive bartender consultant. Entrambi sono stati stimolati a studiare una carta che non fosse banale e che si basasse su chicche e rarità.

La cocktail list pensata da Julian Biondi prevede due “categorie”, i Classici e i Contemporaari: troviamo, per ciascuno dei classici, una reinterpretazione in chiave Raaro (ad esempio Boulevardier VS Pedro, Paper Plane VS Panamerica o Cosmopolitan VS Pop Porno), oltre a 4 declinazioni di Negroni (Gentile, Raaro, Tierra, Tropicale) proposti anche in versione tasting. «Non si tratta di twist veri e propri, ma abbiamo scelto dei classici, non necessariamente iperconosciuti, e li abbiamo presi ad esempio per proporre la nostra versione, che ne riprende talvolta il profilo gustativo, talvolta la gradazione alcolica o la struttura». Altro punto fondamentale dei drink è nella ricerca delle bottiglie di partenza: «Usciamo dalle logiche delle aziende più popolari – dice Biondi – e privilegiamo dei brand che rispecchiano l’idea di rarità e ricercatezza, di cui solo alcuni toscani».

Abbiamo chiesto a Biondi se questo fosse più difficile da comunicare e la risposta è affermativa, ma ovviamente era stata prevista già in fase progettuale: «Tutti i ragazzi in sala sono bartender, capitanati dalla validissima bar manager, Ginevra Gabrielli, già bar manager del Floreal e Mad Souls & Spirits, questo comporta che hanno più facilità nel raccontare i cocktail e sono predisposti all’interazione con il cliente, con l’intenzione di stimolarne la curiosità».

Analogo discorso anche per la proposta food, pensata da Arturo Dori sempre nell’ottica di selezionare rarità e cibi preziosi. Il menu prevede duchesse farcite (sono i paninetti in foto, che come tutti i prodotti da forno sono preparati su ricette dello stesso Dori da un panificio artigianale di Firenze, Sforno), selezioni di salumi e formaggi non scontati e vari tipi di “sfizi”, dalla tartare di Black Angus o Salmone Norvegese ai “toastoni”, un pan brioche, tagliato e piastrato sul momento per diventare la base di un piatto unico e gustoso come il “Foie Gras & Tartufo”.

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Il 1930 è morto, viva il 1930: il primo speakeasy di Milano torna in una nuova location
Lo speakeasy che ha fatto la storia della notte di Milano chiude la sua sede storica, ma ritrova spazio e smalto al piano di sotto del MaG La Pusterla

Ha fatto la storia, a suo modo, il 1930 di Milano, primo speakeasy della città e presenza fissa nei World’s 50 Best Bars per cinque anni consecutivi (50° alla scorsa edizione, miglior piazzamento al 20° posto nel 2020), capace di portare in città una miscelazione di estrema ricerca e per primo impostare un’aura di servizio eccellente, esclusività e segretezza che divenne un tam tam impressionante, quando aprì nel 2013.

Non si dovrà più attraversare quel minuscolo negozio di chincaglieria cinese, per accedervi: quei due piani ricavati da un ex panificio hanno chiuso i battenti, simbolicamente salutati da un mercatino che il gruppo Farmily, di cui il locale fa parte, capitanato da Flavio Angiolillo e con Fabio Benjamin Cavagna come bar manager, ha indetto poco più di una settimana fa, visitato da centinaia di visitatori affezionati (questioni di affitto e mura, stando alle voci che si inseguono).

Si parla ancora al presente però, ed è tempo di un nuovo capitolo: il 1930 rivive altrove, al piano inferiore del MaG La Pusterla, altra insegna del gruppo Farmily. E lo fa in grande spolvero, con  il team di Cavagna che si rifà trucco e guardaroba, rimettendo a lucido quella che era forse diventata un proposta leggermente polverosa e non più approcciabile. Via i panciotti e i gilet d’ordinanza, dentro eleganti divise firmate Loro Piana dai toni rossicci, perfetti per combinarsi con il contorno di mattoni crudi che questa nuova casa, più piccola ma più contemporanea, offre.

Un piccolo, ma stupendo bancone in marmo troneggia nella piccola sala d’ingresso costellata di tavolini rifiniti, con una solida parete a dividerla dalla camera per fumatori e ascoltatori di musica: è qui che si trova infatti un jukebox d’antan, perfettamente funzionante e nutrito di vinili che ruoteranno ciclicamente.

Due le novità principali e più importanti. Una forte sinergia con la cucina di MaG La Pusterla, già apprezzata di per sé, che permetterà al 1930 di proporre una carta food di qualità (sontuosi comunque erano i burger della vecchia location); anche la drink list inaugurale, suddivisa come un menù di ristorante in portate, racconta di quelli che possono essere definiti gastrococktail, come l’Affogato al caffè che presenta del gelato al panettone, o un’interessante miscela addirittura servita con dei tortellini, da mangiare con cucchiaio apposito.

Seconda, e tutt’altro che irrilevante novità: ferme restando 193 tessere elargite agli ospiti più assidui e affezionati, che potranno prenotare, il 1930 perde il mantello di segretezza (per la verità già smarrito negli ultimi anni) e apre definitivamente al pubblico generale. Sarà sufficiente attendere al MaG La Pusterla che si liberi un posto al piano di sotto. L’atmosfera è quella dei bei primi tempi, a visitare Cavagna e il gruppo nei primi giorni di nuova apertura. L’aria esclusiva è rimasta intatta, sembra quasi ringiovanita, come se la coltre dell’esperienza, dei riconoscimenti internazionali e del clamore avesse forse appesantito il servizio nel corso del tempo ma adesso non si vedesse l’ora di tornare a fare bene. E riuscirci, soprattutto, perché anche in una notte gremita, in concomitanza con l’ultima edizione dei Barawards, il 1930 è una macchina già più che ben oliata. Forse già pronta per altri dieci anni di successi.

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L’anima enigmatica di Napoli nella nuova drink list di Scottojonno
Ispirati alle leggende napoletane, gli 11 signature del nuovo menu, firmati dal bar manager Mirko Lamagna, svelano il fascino misterioso della città. Ad accompagnarli le proposte food dello chef Marco Ambrosino

Leggende napoletane si rivelano sorso dopo sorso nella nuova drink list di Scottojonno, il cocktail bar, bistrot e biblioteca costruito nell’antico edificio che un tempo ospitava la Tesoreria di Stato del Banco di Napoli del capoluogo partenopeo. Collocato all’interno della Galleria Principe di Napoli, nei suoi 600 metri quadri in perfetto stile liberty, accoglie anche al secondo piano, Sustanza, il ristorante guidato dallo chef Marco Ambrosino.

L’anima enigmatica di Napoli si intitola il nuovo cocktail menu firmato da Mirko Lamagna, 36 anni, bar manager, che in 11 signature, che si uniscono ai Miti da bere, i grandi classici, scava nell’essenza mistica della città svelando bicchiere dopo bicchiere il suo fascino misterioso. «Il tema attorno al quale ruotano i drink è nato dalla passione di Luca Iannuzzi, il titolare, per le leggende napoletane. Dopo vari incontri e tanto lavoro di ricerca, soprattutto negli ingredienti, abbiamo trovato il nostro modo unico, o meglio fluido, di riportare in vita queste storie».

I cocktail gastronomici

Ricette elaborate, che sono state pensate, provate, assaggiate e costruite nel nuovo laboratorio di 75 metri quadri, voluto dal bar manager, allestito al piano sotterraneo dell’edificio attrezzato con centrifughe da laboratorio, sonicatori a ultrasuoni, evaporatori rotanti e omogeneizzatori.

«La mia personale filosofia e anche il mio impegno è quello di proporre dei cocktail gastronomici – racconta Lamagna, che ha alle spalle anche un corso di formazione in pasticceria – per offrire un’esperienza sensoriale completa, un percorso che comincia da un assaggio di un prodotto commestibile, che viene realizzato sempre da noi all’interno del lab, per poi continuare appunto con il cocktail».

Napoli svelata

Ogni drink viene progettato prestando attenzione sia al design sia alla valorizzazione delle materie prime, che includono ingredienti sia italiani sia asiatici. Ispirato alla leggenda della strega di Port’Alba Maria, la ragazza che preparava elisir magici per il popolo, è il cocktail Elisir di PortAlba (15 euro). «Blendiamo la cachaca, un gin con delle botaniche giapponesi molto profumato, l’oloroso sherry con del pomodoro e del passioni fruit entrambi chiarificati nel laboratorio. Il cocktail, servito in un bicchiere quadrato, viene accompagnato da un finto pomodoro che all’interno racchiude una ganache di passion fruiti e pasta alle nocciole, con il quale comincia il viaggio del gusto per poi proseguire con l’esperienza del drink».

Evoca il canto di Partenope, la sirena simbolo della città, il cocktail Canto Delle Sirene (15 euro). «Viene realizzato con kombucha, una bevanda fermentata che prepariamo nel nostro laboratorio, aromatizzata con acqua al cocco, whisky e foglie di shiso, il basilico cinese».

Sussurro (15 euro) riporta in vita la leggenda di Santa Lucia e del suo teschio con le orecchie che custodisce i segreti dell’aldilà ascoltando preghiere e sussurri disperati. «Utilizziamo del Bombay gin ridistillato nell’evaporatore rotante con dei funghi enoki, presenti anche nel bicchiere, che offre una parte molto umani al tutto, cui viene aggiunto del Noilly Part Vermouth, e un blend di kiwi e banana chiarificato».

La leggenda dei 4 colli, i fratelli trasformati in colli, eternamente in attesa di un amore non corrisposto, viene raccontata ne Lattesa. «È una nostra interpretazione della Piña Colada con rum bianco, olio di cocco, ananas, lime e zucchero. Chiarifichiamo l’ananas e lime all’interno di una centrifuga di laboratorio, successivamente il blend viene aggiunto al rum che aromatizziamo con l’olio di cocco, attraverso la tecnica fat washing. Il cocktail viene servito in un tumbler con due sfere di ghiaccio che creiamo con la tecnica dell’ice carving, sempre in laboratorio. Il tutto viene guarnito con del finto cocco e accompagnato da un gelato al cocco homemade».

Gli analcolici e l’approccio zero waste

La filosofia di Scottojonno è chiara: zero sprechi e massima qualità. Ogni ingrediente viene utilizzato al massimo delle sue potenzialità e anche gli scarti vengono trasformati in nuove preparazioni. «Ogni settimana – racconta Lamagna – utilizzando gli sprechi, realizziamo un cocktail analcolico (10 euro) che cambia di continuo, e non compare mai nel menu. Se qualcuno lo richiede, sarà il personale di sala a raccontare la nostra proposta. Siamo molto attenti a tutto ciò che riguarda la sostenibilità e a come utilizziamo e riutilizziamo le materie prime».

Alta attenzione al cliente

Molta attenzione viene prestata al servizio non solo al bancone, ma anche in sala, grazie alla supervisione di Angelo Angelotti, head bartender e collaboratore di Mirko Lamagna da circa sei anni. «L’attenzione al cliente deve essere molto alta e costante, anche attraverso semplici gesti, come il riempimento dei bicchieri d’acqua fino poi alla spiegazioni dettagliate dei cocktail. È molto importante per noi coccolare gli ospiti e mantenere un alto standard di servizio, anche nei momenti più caotici. Fondamentale è anche offrire nuove esperienze, presentando sempre proposte diverse e assicurandosi di accontentare le preferenze e i gusti di chiede a trovarci per rendere la loro permanenza piacevole».

La proposta culinaria di Marco Ambrosino

Ad accompagnate gli 11 signature c’è il menu food firmato dallo chef Marco Ambrosino, con ricette pensate per esaltare lesperienza complessiva. «Il cibo servito in un cocktail bar, a differenza di quello creato per un ristorante, ha tempi di esecuzione e di consumo che sono più veloci. Abbiamo pensato, quindi, a piatti chiaramente leggibili, fruibili a qualsiasi ora del giorno e che sposassero l’esperienza del bar. Sono pietanze da condividere che integrano le radici gastronomiche napoletane con interpretazioni di tradizioni culinarie europee e internazionali», spiega lo chef.

Il menu studiato per il bistrot comprende piatti conviviali, come il pane tostato (12 euro) con diversi condimenti fra cui salsa romesco, peschiole e salsa al basilico, quello alle acciughe, stracciatella e limone (14 euro), oppure con sarde affumicate, cipolla fondente e arancia (14 euro). Non mancano ovviamente i pani farciti, che vanno dai classici pane cafone, friarielli e scamorza (14 euro) a quelli ricercati come il pane ai semi, pastrami, cetriolo in conserva, cavolo cappuccio e senape (18 euro), o il bun al burro, con gamberi, erba cipollina e maionese allo yogurt (18 euro) fino ai piatti per una cena leggera, ma completa, che include ostriche al naturale (3 pz, 15 euro), carpaccio di tonno affumicato, finocchio, arance, salsa al finocchietto (18 euro), insalata di baccalà, cavolfiore, olive tostate e chimichurri (20 euro), oppure roast beef servito con salsa Bernese speziata e giardiniera (20 euro).

«La filosofia di Scottojonno – precisa Ambrosino – attraverso la proposta culinaria che affianca la scelta dei cocktail, è di importare e trasferire a Napoli il concetto internazionale del classico bistrot con un nostro personale twist, ovvero quello di esprimere pienamente la nostra identità e il nostro modo di fare cucina, in una versione più pop».

L’articolo L’anima enigmatica di Napoli nella nuova drink list di Scottojonno è un contenuto originale di bargiornale.