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Vandemoortele acquisisce Délifrance e lievita nei prodotti da forno surgelati
Vandemoortele Délifrance
Con la nuova operazione, la multinazionale belga si rafforza ancora nel comparto dei prodotti da forno surgelati diventando un player globale con un fatturato da 2,4 miliardi di fatturato e un’offerta di soluzioni sempre più ricca

Dopo Lizzi, lo scorso febbraio (leggi Vandemoortele acquisisce Lizzi e si rafforza ancora in Italia), e prima ancora Dolciaria Acquaviva (leggi Vandemoortele acquisisce Dolciaria Acquaviva Spa, specialista della pasticceria italiana), è ora la volta di Délifrance. Prosegue il processo di espansione di Vandemoortele, che ha concluso un accordo con la cooperativa agricola francese Vivescia per acquisire la società, tra i principali produttori di prodotti da forno surgelati in Europa. Un’operazione con la quale la multinazionale belga della frozen bakery fa lievitare ulteriormente la sua posizione nel settore.

Riconosciuta per la qualità dei suoi prodotti, espressione della panetteria francese, Délifrance è una realtà che opera attraverso una rete di 14 siti produttivi, generando un fatturato di circa 930 milioni di euro, servendo la ristorazione gdo e forni principalmente in Europa e Asia.

Un big nel settore della frozen bakery

Il suo ingresso in Vendemoortele, che sarà concluso entro la fine dell’anno, va ad arricchire il portafoglio di brand del gruppo, che già comprende Agritech, Lanterna, Acquaviva, Banquet d’Or,  Doony’s, Patisserie du Chef e Lizzi, dando vita a un player globale dal giro di affari nei prodotti da forno surgelati di circa 2,4 miliardi di euro e con una gamma estremamente varia e completa. Gamma che spazia dai croissant e viennoiserie per la prima colazione ai pasticcini danesi, dal pane artigianale a ciambelle, focacce e salatini italiani ai prodotti di pasticceria.

«Questa unione ci consentirà di creare potenti sinergie in termini di crescita ancora più rapida, servizio ai clienti, gamma di prodotti, innovazione e branding – ha commentato Yvon Guerin, ceo del Gruppo Vandemoortele, in una nota che annunciava l’operazione –. Metteremo insieme talenti da entrambe le parti e creeremo nuove opportunità per tutti i nostri dipendenti. Con un solido piano di investimenti, siamo convinti di poter accelerare la crescita futura».

Un’operazione che apre nuove importanti prospettive di crescita anche per Délifrance. «L’unione con Vandemoortele ci consentirà di investire insieme per costruire sui nostri team di livello mondiale, sui nostri valori condivisi di innovazione di prodotto ed eccellenza nel servizio, per supportare e accelerare la crescita attraverso la partnership con i nostri clienti in Europa, Asia e Nord America – ha dichiarato nella stessa nota Robert O’Boyle, amministratore delegato dell’azienda -. Non vediamo l’ora di sviluppare questo prossimo capitolo nella storia di Délifrance e di intraprendere un lungo e positivo viaggio insieme negli anni a venire».

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GinArte limited edition by Piero Lissoni, purezza in primo piano
Presentata alla prestigiosa terazza Ceresio 7 di Milano la limited edition di GinArte firmata da Piero Lissoni che si caratterizza per i due oblò simmetrici che valorizzano la purezza del distillato toscano.

Premium dry gin dedicato al mondo dell’arte, GinArte è stato lanciato con una nuova limited edition in occasione della Design Week di Milano. Per l’occasione la distilleria di Greve in Chianti (Firenze) si è affidata alle mani del noto architetto e designer internazionale Piero Lissoni.

Il risultato è una bottiglia in vetro bianco, da 70 cl, squadrata, parzialmente sabbiata, con due oblò simmetrici trasparenti (davanti e dietro la bottIglia) che valorizzano la purezza del distillato in essa contenuto. Da notare anche l’impiego di un tappo di vetro trasparente.

La bottiglia limited edition GinArte by Piero Lissoni con i due originali oblò

Nella visione di Piero Lissoni: «Ginarte è un dialogo tra geometria e trasparenza, una sintesi equilibrata tra semplicità e autenticità, dove il visibile e l’invisibile si fondono in un’esperienza armonica – proprio come il gusto del gin».

«Con questa collaborazione – spiega Francesco Bargellini, Senior Marketing Advisor di GinArte – riaffermiamo con forza la nostra identità: un gin che è più di un distillato, ma un’esperienza estetica, sensoriale e culturale».

Presentata nel corso di un cocktail party presso la panoramica terrazza con piscina del prestigioso Ceresio 7 Pools & Restaurant, la bottiglia di GinArte by Piero Lissoni ha dato vita a tre drink creati per l’occasione dal bar manager Abi El Attaoui, alla presenza di Ilaria Cocco, National Sales Marketing Manager di GinArte.

GinArte Tonic con GinArte e Tonica Classica Galvanina.
Martini Cocktail con GinArte e Vermouth Extra Dry (con l’immancabile oliva verde su spidino).
Ma soprattutto un drink originale di grande impatto gustativo come
Hinoki
realizzato con 4 cl di GinArte, 4 cl cordiale di shiso & foglie di lime kaffir, 1,5 cl sake yuzu e top di Tonica di Pompelmo Giallo Galvanina, servito build in tumbler alto su ice block e guarnito con una crustas di polvere di capperi.

GinArte by Piero Lissoni è protagonista per tutto il Fuorisalone della Design Week milanese in diverse altre location di prestigio, come Mio Lab by Park Hyatt Milano, Officina, Bob Isola, Chinese Box, Just Me, Pineta Milano.
Inoltre GinArte by Piero Lissoni sarà protagonista di una esposizione esclusiva curata dallo studio Lissoni & Partners nelle vetrine di Argenteria Dabbene (nel cuore di Brera) dal 7 al 16 aprile prossimo.

In programma anche la partecipazione alla prossima Florence Cocktail Week e a vari eventi a Parigi e Barcellona.

Il distillato che nasce in Toscana, terra ricca di artisti e opere d’arte

Di piacevole gusto secco, GinArte è un distillato dal gusto raffinato e dal sapore unico aromatizzato con bacche di ginepro, rigorosamente raccolte in Toscana, infuse in alcol puro ottenuto da frumento a circa 65% e poi distillate in alambicco discontinuo sotto vuoto, perché il sotto vuoto riduce il punto di ebollizione dell’infuso in modo da preservare i profumi più delicati. Oltre al ginepro sono state selezionate 13 botaniche, alcune delle quali hanno con l‘arte un legame particolare. Elementi come nepitella, cartamo, eseda odorata, guado di Montefeltro e robbia, erano infatti usati anche per la creazione di pigmenti colorati da molti importanti pittori del Rinascimento.

In aggiunta, erbe come angelica, lavanda, ibisco, fiori di sambuco, germogli di pino, pino mugo e aghi di pino completano la gamma di botaniche e consentono di realizzare un gin pulito e complesso allo stesso tempo. Sia questi elementi sia le erbe ispirate all’arte, vengono infusi in due batch separate in alcool puro di frumento al 55%, distillati poi in un piccolo alambicco discontinuo non sottovuoto per mantenere le componenti aromatiche di tutti gli ingredienti.
I distillati dei tre infusi vengono quindi miscelati tra loro e lasciati riposare per alcuni giorni, prima di aggiungere acqua purissima di origine glaciale e portare la gradazione alcolica a 44%. A questo punto si procede alla filtrazione a bassa temperatura (-7 °C) attraverso pannelli di purissima cellulosa che hanno il compito di trattenere eventuali parti oleose ancora presenti nella miscela dei tre distillati.

 

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The White Lotus Bar rinnova l’ospitalità siciliana in chiave contemporanea
The White Lotus Bar
È un tributo all’omonima serie televisiva il temporary aperto, fino al 28 aprile, all’interno del San Domenico Palace di Taormina. Con una drink list dedicata, creata dal bar manager Juri Romano

Chiunque abbia seguito la seconda stagione di The White Lotus ha impresso nella memoria il fascino senza tempo del San Domenico Palace di Taormina. Oggi, quel sogno televisivo diventa esperienza reale con l’apertura del The White Lotus Bar, un temporary bar esclusivo che fino 28 aprile accoglierà gli ospiti nel suggestivo Bar & Chiostro dell’hotel. Un tributo alla serie, certo, ma anche alla grande ospitalità siciliana che si rinnova in chiave contemporanea. Il concept è chiaro: omaggiare i luoghi iconici della serie attraverso una cocktail list d’autore.

The Pineapple Suite, dedicato a Maui, mescola tequila Don Julio Blanco con succo di ananas, lime, Coco Lopez, Turbinado e Ube. The Lotus, simbolo di Taormina, esprime il carattere mediterraneo con Tanqueray Gin, liquore alla pesca e vino bianco infuso di gelsomino. Infine, Coconut Paradise, ispirato a Koh Samui, avvolge il palato con Ketel One Vodka, Pandan Lemongrass Cordial e scaglie di cocco. Creazioni raffinate e ragionate, firmate dal bar manager Juri Romano, che non è solo l’anima del progetto, ma anche un volto noto per i fan: la sua presenza discreta ha arricchito alcune scene della serie.

Il richiamo della Sicilia

Dietro ogni grande cocktail c’è una storia, e quella di Juri Romano parte dalla sua Sicilia, tra i locali della costa e le prime esperienze nel lusso, passando per i grandi albergi siciliani. Londra lo ha poi trasformato: sette anni intensi tra il Baglioni Hotel, il Northall Bar del Corinthia Hotel e il Bankside Marriott Autograph Collection, dove ha firmato la sua prima cocktail list. Ma il richiamo dell’isola è stato più forte e il San Domenico Palace ha rappresentato il ritorno perfetto. Oggi, con la sua visione, guida il Bar & Chiostro, fresco del terzo posto ai Barwards 2024 come Bar d’albergo dell’anno, ma anche il cocktail bar di Anciovi, il ristorante a bordo piscina che reinterpreta la freschezza del luogo con cocktail low alcohol.

Ad accompagnare i drink, una selezione di tapas curate dall’executive chef Massimo Mantarro, tra sapori mediterranei e richiami esotici. L’esperienza si completa con il piano bar serale, dove note di classici italiani avvolgono l’atmosfera, e un tocco di mistero con una cartomante che legge i tarocchi, riprendendo una tradizione siciliana che affonda le radici nel tempo.

Lusso raffinato e discreto

Il San Domenico Palace è una delle più iconiche destinazioni di Taormina. Nato come convento domenicano nel XIV secolo, si è trasformato in hotel già alla fine dell’Ottocento, accogliendo nel tempo ospiti illustri del calibro di Oscar Wilde, Audrey Hepburn ed Elizabeth Taylor. Dopo una chiusura di tre anni, nel 2020 è entrato a far parte della famiglia Four Seasons, che ne ha esaltato l’anima storica attraverso un lusso raffinato e discreto.

Oltre al Bar & Chiostro, la struttura offre il ristorante Principe Cerami, ristorante di fine dining una stella Michelin, Anciovi (acciuga in siciliano, ndr.), a bordo piscina e da quest’anno anche la riapertura di Rosso, con la sua cucina italiana contemporanea. Per chiunque abbia sognato di vivere, anche solo per una sera, la magia di The White Lotus Bar, questo è il momento perfetto per farlo.

 

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Sette miti da sfatare sul vermouth: intervista a Giorgio Bargiani e Leonardo Leuci
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Due super esperti dicono la loro su quello che serve per portare il vermouth a nuove grandezze di utilizzo e conoscenza. Il caso del Salone del Vermouth

C’è vermouth e vermouth, questo è ormai (per fortuna) chiaro. Un prodotto storico e identitario per il territorio italiano, piemontese nello specifico, grazie alla denominazione di Vermouth di Torino Igp ottenuta lo scorso anno, che oggi più che mai è protagonista assoluto in miscelazione, grazie alle sue varianti che possono incontrare il favore della fantasia dei bartender e dei desideri dei consumatori. Ciononostante, rimangono alcuni paletti che proprio gli operatori del settore hanno costruito negli anni e paradossalmente costringono il vermouth a lottare più del dovuto per poter affermare il proprio vero valore.
Ci pensano allora Giorgio Bargiani, Assistant Director of Mixology al Connaught Bar di Londra e volto di Bottega Cinzano, presentato nelle nuove vesti all’ultimo Salone del Vermouth, e Leonardo Leuci, patron del Jerry Thomas Project di Roma e creatore di Vermouth Del Professore, a sfatare alcuni dei miti più duri a morire.

1) Il vermouth va usato soltanto nelle ricette da aperitivo

C’è molto di più. «I cocktail di scuola americana – secondo Bargiani – sono divenuti celebri, e poi tornati in auge, grazie al vermouth: e sono storicamente drink dal tenore alcolico sostenuto, da consumare in altri momenti della giornata che non siano in aperitivo. Il vermouth è previsto inoltre nella miscelazione asiatica, ha somiglianze con prodotti storici greci, insomma ha una versatilità che per ciascuna coordinata geografica lo vede utilizzato in diverse occasioni di consumo».

2) Il vermouth non può essere shakerato

La shakerata è uno dei tabù più duri a morire, ma Leuci la pensa diversamente: «È parte di una sorta di codice che i bartender si sono dati a partire dagli anni ’50/’60. Eppure numerosi testi del pre-proibizionismo riportano cocktail con il vermouth, anche in quantità importanti, che vengono shakerati. C’è addirittura il vermut batido in alcuni libri cubani, perché l’estetica era un aspetto secondario, per cui l’eventuale aspetto opaco del risultato non veniva troppo considerato. E d’altronde è così che dovrebbe essere: se shakero un drink con vermouth o un vermouth da solo, e ottengo un buon risultato, perché no? Nulla è scritto nella pietra».

3) Il vermouth non funziona nella miscelazione Tiki

«È vero che Don the Beachcomber non sedeva su barili di vermouth – racconta Bargiani – ma ci sono evidenze storiche del suo utilizzo in miscelazione tropicale, anche a cavallo tra anni Settanta e Ottanta. E non è solo una questione storica: nel Tiki si trova un importante uso di bitters, intesi come bitter aromatici versati in piccole quantità, che in una rivisitazione possono essere sostituiti dal vermouth, con le sue espressioni dolci, secche». E poi una provocazione: perché non provare a lavorare per un Italian Tiki, usando il vermouth come ingrediente principale?

4) Il vermouth ha rilevanza soltanto nella cultura italiana

Come racconta Leuci, «il vermouth è la chiave di volta nell’evoluzione dei cocktail per come li conosciamo oggi. Prima del suo avvento, il cocktail era una categoria minore, poco profonda e poco fantasiosa. La complessità del vermouth aprì un nuovo mondo, sia in Usa che altrove, e dal 1860 consolidò un ruolo fondamentale. Era già un prodotto consumato liscio, all’italiana, in centro-sud America, in Spagna, in Germania, addirittura in Inghilterra. È il prodotto italiano che forse per primo nell’eno-liquoristica, ha esportato il concetto di italianità e aperitivo nel mondo». Arrivando quindi a entrare nel panorama di abitudini di più culture.

5) Il vermouth non lavora bene con la frutta

Falsissimo. «Già solo le strutture di tipologie di cocktail storici, come Mint Julep, Cobbler, Smash dimostrano il contrario – ricorda Bargiani -. E abbinamenti di vermouth dolce con frutti di bosco e ciliegie, oppure dry vermouth con agrumi, albicocca, pesca, sono potenti e molto più interessanti di quanto si potrebbe pensare».

6) Il vermouth è utile solo nei classici

Basta guardare un po’ più in là per scoprire che non è così. «Se si guarda all’Argentina – spiega Leuci – si trovano numerosissimi abbinamenti con i sodati o i succhi che funzionano benissimo. Specialmente con l’implementazione di tecniche moderne, il vermouth non può essere relegato a un solo tipo di utilizzo, perché la sua versatilità lo porta a essere protagonista addirittura anche nel pairing: con formaggi e dolci funziona meglio di molti vini, nella sua versione dry va splendidamente con le ostriche. È duttile e offre possibilità di esplorare opportunità in più campi, che siano in miscelazione o gastronomia».

7) Il vermouth rimane un prodotto di nicchia per bartender

La seconda edizione del Salone del Vermouth, a Torino lo scorso febbraio, racconta tutt’altro. Cinquemila ingressi in due giorni, mille bottiglie vendute e un denso programma di talk e incontri divulgativi spalmati in entrambe le giornate, a testimonianza di un interesse crescente per il prodotto soprattutto tra i consumatori. C’è enorme margine per portare la conoscenza il consumo del vermouth a grandezze inesplorate, a patto che l’industria del bar comprenda il lavoro che serve per avvicinare soprattutto le nuove generazioni di bevitori, rinunciando al tecnicismo e spingendo invece sulla storicità, la qualità e la versatilità di un prodotto italiano fin nell’ultima erba aromatica.

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Fede Cocktail Lab: la nuova apertura a Firenze mette al centro il laboratorio
Con la drink list ispirata a un manuale alchemico, il nuovo indirizzo fiorentino all’interno dell’hotel Balestri, racconta la trasformazione della materia

È il caso di partire dalla domanda: “chi è Fede?”. Era una donna visionaria, si chiamava proprio così, non è l’abbreviazione, bensì il vero nome di Fede Balestri Wittum: «Una donna emancipata, che ha avuto il coraggio, per il suo tempo, di essere la prima in città a divorziare, ma anche a prendere la patente di guida e quella di volo. Ci è capitato per le mani un suo quadro e abbiamo subito pensato che fosse un segno, così abbiamo dedicato a lei il bar», racconta Simone Covan, corporate bar manager, che cura la linea di tutto il gruppo Santa Cocktail Club e del nuovo locale fiorentino Fede Cocktail Lab.

In comune, queste imprese hanno l’impostazione di essere tutti bar d’hotel (Santa ha due sedi a Firenze, una a Roma e una a Venezia) del gruppo Wtb, acronimo di Why the best. In questo caso il Fede Cocktail Lab è all’interno dell’Hotel Balestri, un boutique hotel a quattro stelle dalla posizione invidiabile, affacciato sull’Arno, a pochi passi da Ponte Vecchio e dalla Galleria degli Uffizi. Cinquanta camere di cui alcune con esclusiva terrazza panoramica privata sul fiume. Inoltre, Santa e Fede sono legati a doppio filo, dal momento che il nuovo indirizzo farà da laboratorio centralizzato per tutte le preparazioni più complesse del gruppo. «C’è stato un investimento importante su questo laboratorio – spiega Covan – dove troviamo tutte le macchine più all’avanguardia, dal rotavapor alle centrifughe e ai distillatori. Non solo, ci teniamo talmente tanto a questo laboratorio che abbiamo deciso di metterlo in vetrina, dando la possibilità al pubblico di spiare dentro per scoprire come funziona la macchina. Un po’ come si fa con le cucine a vista». È qui che si preparano i pre-batch dei locali fiorentini e nel caso degli indirizzi più lontani, quelli di Roma e Venezia, la parte dei distillati che viaggerà.

Stessa carta del Santa? No, risponde Covan, per evitare un autogol, facendosi concorrenza interna. Con il resident bar manager Francesco Salerno e con il food&beverage manager del gruppo, Simone Ulivi, hanno studiato una carta ispirata alla trasformazione degli elementi. «È un menu strutturato come un manuale alchemico – spiega Covan – in cui sono protagonisti i quattro elementi principali: acqua, aria, terra e fuoco. Studiando un manuale alchemico ci siamo accorti che è incentrato sulla trasformazione della materia, che può concretizzarsi in una trasmutazione complessa, come un twist on classic, ma anche nella ricerca della quintessenza di un ingrediente». Con l’aiuto del laboratorio, quindi, si procede allo studio della tecnica più adeguata a tirar fuori il meglio da un singolo ingrediente, che diventa protagonista e che al massimo si unisce ad altri per esaltarlo. «Se al Santa abbiamo fra i best seller il nostro Asparagini, che è un Martini ridistillato agli asparagi, fra i drink del Fede ci aspettiamo grandi cose dal Porcini, che è sempre un Martini, in cui il protagonista è il fungo porcino, che andiamo a esaltare con la maggiorana, in questo caso facendo riferimento a un ricordo di un abbinamento classico della cucina», chiarisce Covan. I cocktail hanno un costo medio di 18€ e il target di riferimento è un pubblico consapevole. «Santa in questi anni è riuscito a diventare un punto di riferimento per i fiorentini, che tornano ciclicamente a bere da noi, tanto che abbiamo un pubblico composto all’80% da locals. Nel caso di Fede, che è in posizione più turistica, ci aspettiamo un 50-50, ma comunque speriamo di attirare un pubblico cittadino».

Nel successo del Santa ha certamente fatto la sua parte anche la proposta food, che come spiega Covan ha un concept che verrà riproposto anche da Fede. «Non possiamo prescindere dall’aspetto cucina, anche perché offrire il giusto accompagnamento food è l’unico modo per accogliere il cliente nell’arco di tutta la serata. L’impostazione è la stessa, con piatti da condividere, fra tapas e prodotti selezionati per sostenere la bevuta». Bere e mangiare, quindi, possibilmente appoggiati al bancone, in modo da scambiare due chiacchiere con i barman: «Oltre al laboratorio, è il fulcro del progetto. Agli architetti dello studio Benaim, che ha curato il design, insieme ad Albert Dallago, project manager del gruppo, abbiamo chiesto che il bancone lungo, fosse uno spazio comodo, profondo, su cui avere spazio non solo per bere, ma anche per mangiare».

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Bird, il nuovo che avanza nella Copenaghen del bar
Bird
Un listening bar che combina ricerca approfondita e atmosfera da party casalingo. L’esordio nei 50 Best? «Piuttosto pensiamo agli ospiti…»

A collegare Copenaghen con l’universo dell’ospitalità, è facile venga in mente la rivoluzione operata da Renée Redzepi con il suo NOMA o la travolgente (e lunghissima) esperienza di Alchemist. Ristoranti che hanno fatto la storia, ma di cocktail bar che abbiano oltrepassato i confini nazionali si conosce ben poco (lo splendido salotto di Ruby è forse il più noto a livello internazionale, l’apripista era stato il K-Bar di Kirsten Holm), e si finisce con il perdersi insegne di assoluto livello.

Friedriksberg è zona di localini e stradine che si incontrano in blocchi ordinati: Bird si trova qui, all’angolo di un vialone carrabile che sparisce al chiudersi della porta insonorizzata. Søren Thor Jørgensen e Peter Altenburg, vent’anni di amicizia e poco meno di carriera nel bartending locale (Peter aveva aperto il suo primo bar nel 2003) guidano questo avamposto di qualità essenziale dal 2021: idea minimale e concreta, «creare un ponte tra grande musica e bere immenso, ma casual». Hai detto niente, anche considerando come «la scena di Copenhagen si sta rispolverando dopo un lunghissimo periodo di stanca in cui il settore bar sembrava dedicarsi molto più a se stesso che non agli ospiti».

Tra musica di qualità e grandi cocktail

Altenburg descrive la sua co-creatura così: «Un bar di quartiere che spinge su musica di qualità, intensità organolettiche e un’atmosfera arricchita dalla acustica migliore possibile». È d’altronde una delle chiavi del successo che i cosiddetti listening bar stanno sperimentando negli ultimi tempi: non una formula chissà quanto complessa, «non è una questione di trend o tendenze di consumo. I listening bar hanno successo perché ripropongono tutte le caratteristiche di una festa a casa di amici: tracce gestite da mani esperte, un’acustica di qualità e al tempo stesso non coprente e uno staff amichevole. Almeno il più delle volte…».

 

Per i nerd dell’argomento: casse costruite a mano da Arda Audio con pre-amplificatore su misura, rotary mixer della berlinese Resør, piatti Technic’s SL1210 MK2. Vinili in collezione? «Non lo sappiamo, ma non è importante, non è solo per la musica che si viene qui». Il menu di Bird cambia infatti con cadenza mensile, integrandosi perfettamente «e intelligentemente» con gli interni che più scandinavi non si potrebbe, fatti di legno e acciaio, nessuna curva, nessuno spazio inutile: «Realizziamo in pre-batch tutti i nostri drink prima del servizio, perché insistiamo su precisione, costanza e velocità, al tempo stesso spingendo sui big flavours, combinazioni di sapori e aromi particolari». Un approccio minimalistico anche a ingredienti, garnish (quasi inesistenti) e bicchieri, diretto, chiaro e soprattutto vincente.

Focus sull’esperienza degli ospiti  

Le ricette in carta, che si trovano disponibili anche in versione Rtd sia al locale che sul sito internet di Bird – superbo l’Umeshu Martini, tagliente e pulitissimo, e di grande impatto anche il Negroni de Fleur, twist sul classico con fiore di gelsomino – derivano tutte da un accuratissimo lavoro che si svolge in una stanza sul retro del locale, regno di un membro dello staff assunto con questa esclusiva e specifica mansione, cui si aggiungono due bartender che a turno si dedicano alla sperimentazione e alla costruzione di nuove combinazioni di ingredienti.

Risultato: esordio nella selezione pre-gotha dei 50 Best, al 77esimo posto durante la scorsa edizione. Cosa che comunque frega il giusto: «Siamo contenti che all’organizzazione piaccia quello che stiamo facendo, ma la nostra sostenibilità, sia organica che finanziaria, si basa sul creare un’atmosfera strepitosa per l’esperienza degli ospiti; non certo sulla guerriglia politica che troppo spesso questo tipo di competizione finisce per essere».

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Cresce il gradimento per le bevande a base di avena
Avena ideale per le bevande di caffetteria a base latte
Una ricerca di YouGov evidenzia la preferenza d’acquisto di bevande, cereali e snack a base di avena; una tendenza da sfruttare al bar.

Quello delle bevande vegetali è un mercato decisamente vitale nel canale bar, dove il cliente richiede un’offerta diversificata e salutare, in linea con le sue preferenze d’acquisto per il consumo casalingo. Qui, sottolinea un’indagine del gruppo di ricerca e analisi dei dati YouGov, la preferenza di bevande di cereali a base di avena si conferma un trend di lungo periodo, in crescita continua.

Per il barista è dunque importante non farsene trovare sprovvisti sia per la realizzazione di bevande tradizionali – in primo luogo il cappuccino – sia per colazioni più complete. Sono infatti prodotti a base di avena anche le barrette, gli snack e ricette come il porridge o il muesli, le cui proprietà nutrizionali rendono un vero superfood, indicato non solo per gli sportivi, per i quali è un alimento ottimale in quanto ricco di carboidrati complessi e perché fornisce un rilascio costante di energia, ma anche perché favorisce il processo digestivo e aiuta a mantenere stabili i livelli di colesterolo e di zucchero nel sangue. Quest’ultimo è un particolare importante per il 42% degli italiani che considera dannosi per la salute i cibi con un alto contenuto di zuccheri (bevande zuccherate ed energy drink). 

Per quanto riguarda la geolocalizzazione degli acquirenti, l’indice di acquisto risulta sopra la media nel Nord Italia, soprattutto nel Nord Est, mentre il Centro-Sud è sotto la media. Lo preferiscono soprattutto famiglie con un responsabile acquisti di età media tra i 35  i 64 anni e senza bambini; target interessante e potenziale è quello dei nuclei più giovani. 

La crescita dell’avena, osserva Paola Bonassoli, multinational client cluster lead di YouGov, «può anche inserirsi in un contesto di crescita dei prodotti ad alto contenuto proteico che, partiti praticamente da zero pochi anni fa, raggiungono quasi il 60% delle famiglie italiane. I consumatori di questi prodotti, similmente ai consumatori di avena, sono giovani – soprattutto maschi – alla ricerca di prodotti che aiutino la performance sportiva e anche donne di età media-adulta maggiormente interessate al controllo della linea». 

Come si usa in caffetteria. Le tecniche di montatura di una bevanda a base avena sono analoghe a quelle del latte vaccino; la fase più delicata è la successiva, in cui si ha più rapidamente una separazione tra bevanda e crema. Per questo bisogna calibrare con attenzione il sincronismo tra l’erogazione dell’espresso e il montaggio, avendo cura di servire rapidamente la preparazione. È poi importante disporre di lattiere dedicate alle bevande vegetali, per dare sicurezza a chi soffre di intolleranze, ad esempio al lattosio. Si possono utilizzare contenitori di colori diversi, ognuno dedicato a una bevanda, oppure delle fascette da porre sul manico, che di nuovo con il colore o con il nome del contenuto guidano al corretto utilizzo. Anche le lance dovranno essere dedicate: una al latte vaccino, la seconda alle bevande vegetali, da flussare e pulire con un panno a ogni utilizzo. Metabolizzate queste poche ma importantissime attenzioni, non resta che mettere in moto la fantasia con preparazioni che piacciono, stupiscono e fanno cassetto. 

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Il fuori casa inizia il 2025 al rallentatore
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Stima negativa nel 2025 per bar e ristoranti: -1,6% le visite nel fuori casa, con duri colpi ai bar serali e ai diurni. Male aperitivo e dopocena. Tiene solo la cena, specie nei ristoranti di fascia alta. Tornano i turisti, ma a mancare sono i clienti italiani. Le ragioni? Il contesto economico incerto, le nuove preferenze di consumo e un comparto imprenditoriale che fatica ad adattarsi

La prima previsione sul 2025 di bar e ristoranti non è rosea. Si stima una contrazione pari a -1,6% delle visite, stando a quanto ha raccolto TradeLab proiettando su tutto l’anno una tendenza già marcatamente negativa nei primi mesi del 2025. Non sono buone notizie per il fuori casa, complice un inizio d’anno segnato dagli effetti della normativa “alcol & guida” – che ha penalizzato in special modo le occasioni di consumo serali -, il ritorno dell’inflazione a colpire ulteriormente il potere d’acquisto dei consumatori e il rafforzamento della tendenza a mantenere uno stile di vita sano ed equilibrato (per l’82% dei giovani è addirittura questione prioritaria rispetto al desiderio si sicurezza finanziaria e di stabilità lavorativa).

La ricerca di TradeLab è stata presentata durante un evento dedicato al mercato del fuori casa organizzato da Centromarca a Milano (“Consumi fuori casa: industria di marca, dinamiche di mercato e rapporti di filiera”, alla presenza di oltre oltre 250 manager delle più importanti aziende che operano nell’away from home), in concomitanza con interventi di Fipe-Confcommercio, Nomisma e Federturismo.

Il ritorno dei turisti, la fuga dei giovani

Il 2024 aveva già mostrato qualche segnale poco incoraggiante: -1,1% di visite sull’anno precedente, con una contrazione tutta sui clienti domestici e numeri positivi riguardo alle visite degli stranieri. In altre parole, nel fuori casa stanno mancando gli italiani e si registra un importante ritorno dei turisti. Se si guarda al confronto tra generazioni, si nota subito che a crescere sono le visite dei Baby Boomers (over 55),: +4,4%. Gen Z e Gen X in calo del 3,1% e del 2,5% rispettivamente, ma a colpire è il dato dei Millennials (i 40enni): -6,9%. I territorio più in difficoltà sono il Nord e le grandi città sopra i 100mila abitanti.

I bar soffrono, aperitivi e notti ancora di più

Nella generale contrazione del mercato 2024, a soffrire di più sono il food delivery (-7,4%), i bar serali (-2,7%), i bar diurni (-1,7%). Ristoranti complessivamente fermi (-0,03%) ma crescono i ristoranti top e le pizzerie, mentre crescono in maniera più netta le catene (+2%).

Importante notare come già a gennaio e febbraio 2025 la normativa “alcol e guida”, ossia l’inasprimento delle pene per chi viene fermato alla guida dopo aver assunto alcolici, si sia sommata a un contesto di consumi già difficile, colpendo il dopo-cena e la notte (-15%) e l’aperitivo (-13%). Più contenute le contrazioni di colazione (-3%) e pranzo (-1%), in sostanziale parità la cena (+0,3%). Circa un quarto dei clienti che dichiarano di aver cambiato comportamento in seguito alla normativa ha scelto di ridurre i consumi di bevande alcoliche. La stima di TradeLab dell’impatto sui consumi di alcolici nei locali è di un -14% , quasi pari al mercato del “secondo giro”.

Sul 2025 pesano incertezze e nuovi trend di consumo

A portare a una stima negativa (quel -1,6% di cui sopra) sul 2025 concorrono diversi fattori. L’incertezza geopolitica e lo spauracchio dei dazi, unite alla corsa al rialzo di alcune materie prime come il caffè, generano nei consumatori una previsione di ulteriore indebolimento del loro potere di acquisto, peraltro già sceso (-7,9% rispetto al pre-Covid). Decrescita demografica e debole previsione di crescita economica (solo +0,8% del Pil) fanno il resto.

Ci sono poi le specificità del settore. I locali devono adeguarsi ai nuovi consumatori, i Gen Z, che hanno abitudini di frequentazione diverse, priorità diverse e portafogli più piccoli. Ma devono anche continuare a tenersi stretti i Boomers, che hanno maggiore propensione alla spesa e una più alta disponibilità di tempo libero. Come ha sottolineato anche Fipe durante incontro organizzato da Centromarca, in Italia permangono criticità di settore come l’altissima densità imprenditoriale (ci sono 4,5 imprese del fuori casa ogni mille abitanti, in Europa solo Grecia, Spagna, Cipro e Portogallo sono sopra l’Italia), le persistenti difficoltà nella ricerca di personale e la bassa produttività del lavoro in questo comparto (il 41% sotto il valore medio dell’intera economia italiana). Fipe ha anche sottolineato come i prezzi al consumo nella ristorazione siano cresciuti meno dell’indice generale dei prezzi dal 2021 al 2024 (generale +15,4%, fuori casa +14,6%). Insomma, c’è molto da fare per recuperare, e se da un lato serve che i gestori ripensino bene ogni pezzo del loro business focalizzandosi sul cliente e sulle sue esigenze, dall’altro ci sono questioni più macro che dovrebbero trovare risposte di sistema più strutturate.

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Origini e la miscelazione sperimentale a Melfi
Origini - Esperienza Liquida
Ritorno alle origini per il giovane bartender Paolino Nigro che ha aperto nella sua cittadina natale un cocktail bar focalizzato sulla ricerca e la sperimentazione. La prima drink list è dedicata all’imperatore Federico II di Svevia

Le vie della miscelazione sono infinite e ormai da qualche tempo hanno imboccato anche la direzione della provincia, mettendo radici anche nei piccoli centri al di fuori del classico circuito delle metropoli. A portarla a Melfi, cittadina all’ombra del Monte Vulture, in provincia di Potenza, ha pensato Paolino Nigro, giovane e talentuoso bartender, finalista in diverse edizioni di Baritalia (primo classificato per il team Galvanina nel 2023), che, dopo diverse esperienze dietro il bancone di importanti locali in Italia e all’estero, tra i quali il Mag a Milano e il Sips di Barcellona, ha fatto ritorno nella città natale, dove lo scorso autunno ha aperto Origini – Esperienza Liquida, un cocktail bar con piccola cucina.

«Origini è un progetto che ha il suo focus sulla miscelazione sperimentale, una tipologia di locale che mancava nell’area del vulture-melfese, che comprende Melfi e altri 15 comuni che la circondano, dove ci sono diversi locali che propongono drink, ma nessun cocktail bar. Il più vicino è la Barmacia (premiato con la menzione Menzione speciale Video promo dell’anno agli ultimi Barawards, ndr), che però si trova a Potenza, distante oltre 60 chilometri, racconta Nigro.

Una novità accolta positivamente dal pubblico. «Il locale sta riscuotendo un bel successo, perché forte è la domanda di vivere esperienze che generalmente si possono fruire solo nei grandi centri urbani – prosegue il bartender -. La soddisfazione più grande è l’apprezzamento per il lavoro di ricerca che portiamo avanti, tanto che le nostre creazioni sono gettonatissime a discapito dei classici, che pure proponiamo. Un bel risultato in una terra molto legata alla cultura del vino, siamo nel cuore della Docg dell’Aglianico del Vulture, che testimonia come i consumatori siano ben disposti ad avventurarsi in percorsi di gusto per loro inusuali».

Alla ricerca delle origini

Creazioni che prendono vita nel laboratorio del locale, dove Nigro e il suo giovane team, sperimentano e costruiscono nuove combinazioni di sapori, lavorando con tecniche e attrezzature all’avanguardia, alle quali a breve si aggiungerà un Rotavapor, ingredienti di prima qualità, con un occhio di riguardo alle materie prime del territorio e stagionali e l’altro allo zero waste.

A orientare la ricerca è il tema delle origini: il nome scelto per il cocktail bar, oltre a richiamare l’esperienza del patron, è infatti anche un manifesto programmatico del lavoro di sperimentazione della squadra. «Tutte le drink list saranno sviluppate alla luce di questo concetto, applicandolo ai più diversi argomenti dei quali, appunto, andremo a indagare e raccontare le origini. Con il primo menu proponiamo un racconto liquido delle origini di Melfi, attraverso Federico II di Svevia, il grande imperatore che aveva eletto la nostra cittadina a sua residenza estiva – racconta Nigro -. Nella prossima, alla quale stiamo già lavorando e che lanceremo a giugno, esploreremo le origini dell’uomo».

Una drink list per l’imperatore

A buon cavaliere non manca bicchiere, è il nome del menu dedicato all’imperatore e composto tredici cocktail, tre dei quali analcolici. Uno dei più iconici e scenografici è Castelli in aria, servito all’interno di una riproduzione, realizzata con la stampa 3D del castello di Melfi, dal quale Federico II nel 1231 promulgò le Costituzioni di Melfi, il codice unico di leggi per l’intero Regno di Sicilia, pietra miliare nella storia del diritto. A comporlo una base di rum Zacapa Centenario 23 yo, cordiale homemade di mandorla e castagna, nello specifico il Marroncino di Melfi, un’eccellenza del territorio, e succo di limone.

Un alto esempio dell’offerta del menu è Un Lucano!, dedicato ai castelli federiciani in Basilicata, oltre quello di Melfi c’è quello di Lagopesole, dove l’imperatore si dedicava alla caccia con il falco, pratica sulla quale scrisse anche un trattato e che aveva appreso dagli arabi. Un sour, ma dalla struttura più importante, fatto con l’iconico Amaro Lucano, prodotto a Pisticci, miscelato con Bulleit Rye Whiskey, succo di limone e bitter al caffè e completato da una bolla sempre al caffè.

O ancora, Nel bene e nel male, un twist sul Negroni, più giocato sulla parte bitter, che racconta i contrasti tra Federico II e la Chiesa – l’imperatore fu scomunicato per ben due volte e da due diversi papi -. È preparato con Mancino Sakura Vermouth, Bitter Martini, brandy italiano e tintura d’incenso homemade e servito con un’ostia come guarnizione.

A comporre il racconto contribuiscono anche i cocktail analcolici, parte non trascurata dalla ricerca di Origini. «Il best seller del locale è proprio un drink no alcohol, Chicchi d’oro, che rende omaggio al frutto preferito di Federico II, la melagrana, che al di sotto della sua buccia custodisce tanti chicchi, ognuno differente dall’altro, formando un tutt’uno: una rappresentazione perfetta del mondo, dove uomini diversi l’uno dall’altro stanno insieme e cooperano per il bene di tutti – spiega Nigro -. La ricetta è composta da Martini Vibrante, aceto di melagrana e sciroppo al lampone homemade e ginger beer.

La proposta della cucina

Ad accompagnare la bevuta una proposta di cucina espressa. «Per il momento è un piccolo menu, con una selezione di piatti tipici di regioni dell’Italia o di altre parti del mondo che avessero un legame con Federico II – racconta il patron -. Per esempio, abbiamo le polpette al sugo napoletane, l’hummus di ceci, per il fecondo rapporto dell’imperatore con il mondo arabo, pane e panelle, street food tipico di Palermo, capitale del regno di Sicilia, la tartare di manzo servita con peperone crusco, prodotto tipico della cucina lucana, pomodori secchi e una maionese al Mojito, ovvero aromatizzata con menta e lime, il tortino di patate e verdure di stagione».

Stare bene insieme

I colori caldi, verde petrolio per le pareti e bordeaux per i soffitti, il lungo bancone in legno con due cocktail station, tavoli dal piano in marmo con bordo e piede dorato, il leggero sottofondo musicale, uniti all’accoglienza fresca e amicale dello staff concorrono all’atmosfera tranquilla e rilassata di Origini, aperto dal mercoledì alla domenica dalle 18.30 all’1.30. Atmosfera alla quale si conforma anche l’offerta di intrattenimento, studiata per accontentare il variegato pubblico che frequenta il locale, che va dai ventenni agli over 50, e che prevede diversi appuntamenti nel mese, come serate con musica dal vivo, per lo più jazz, un appuntamento ludico e spettacoli di stand-up comedy. Tutto è finalizzato a coinvolgere e far interagire il pubblico, perché il nostro obiettivo è di essere un punto di riferimento nella zona per il bere di qualità, ma anche un luogo dove i nostri ospiti possano vivere un’esperienza piacevole all’insegna dello stare bene insieme», conclude Nigro.

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Gabriele Ferrieri: «Così si crea una cultura dell’innovazione»
I consigli presidente dell’Associazione nazionale giovani innovatori per costruire una vera cultura dell’innovazione, aspetto fondamentale la competitività delle aziende. Anche nel fuoricasa

II tema dell’innovazione è sempre più centrale per la vita e il successo delle realtà del fuoricasa e, più in generale, del settore food & beverage, mercati dove il livello di competitività è molto elevato. Per sapere la direzione da intraprendere occorre però possedere a monte una vera cultura dell’innovazione. Come si costruisce lo spiega Gabriele Ferrieri, presidente dell’Associazione nazionale giovani innovatori (Angi). Il primo passo è superare la paura del fallimento, investendo su capitale umano, branding e controllo qualitativo.

Nell’intervista negli studi di Bargiornale Tv a Sigep 2025 con Andrea Mongilardi, vicedirettore della rivista, Ferrieri affronta il tema a 360°, illustrando le evoluzioni in termini di prodotto, processi e tecnologie che riguardano i due settori, toccando diversi altri punti cruciali, come il problema del reperimento dei fondi con il quale si scontra chi vuole trasformare un’idea innovativa in una soluzione concreta. Senza trascurare aspetti quali le nuove modalità di comunicazione, dove le più avanzate tecnologie digitali, quali la realtà virtuale e la blockchain, permettono di compiere un salto qualitativo notevole nella fidelizzazione e del cliente e nella valorizzazione dell’attività. O come il tema dell’automazione di processi e attività, dagli smart payment ai robot camerieri.

 

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