Amara Agricolo: storia di terra e di famiglia
«Se vedessi come è bella da vicino la nostra Etna! Dal Belvedere del convento si vedeva come un gran monte isolato, colla cima sempre coperta di neve; adesso io conto le vette di tutti codesti monticelli che gli fanno corona, scorgo le sue valli profonde, le sue pendici boschive, la sua vetta superba, su cui la neve, diramandosi per burroni, disegna immensi solchi bruni».
Giovanni Verga nel celebre Storia di una capinera tratteggia il vulcano come un dono, pennellato di romanticismo e intriso di una forza maestosa e vitale che tutto irradia. Ed è cosa vera. Qualsiasi cosa venga piantata sul territorio lavico cresce forte e rigogliosa, come sospinta da magmatiche energie. Le arance della pianura di Catania (‘A Chiana per gli autoctoni, ndr.) sono forse l’emblema di un popolo che vede nell’agricoltura non solo sostentamento, ma anche riscatto. Se questo passa soprattutto attraverso alcoliche opere d’ingegno il risultato non può che essere apprezzabile.
La storia dell’azienda Rossa Agricola, produttrice del pluripremiato Amaro Amara (leggi Amaro Amara “best digestive” per i World Liqueur Awards) s’intreccia saldamente con i valori della terra tramandati attraverso saperi e mestieri. Quest’anno Amara compie dieci anni e non sarà forse un caso che l’ultima etichetta sia un omaggio proprio a quella terra che fu donata a Edoardo Strano, fondatore dell’azienda e produttore di Amara, dal nonno. Cento ettari di terreno, parte dell’eredità del nonno, produttore e commerciante astuto e intelligente, che riesce in pochi anni a cambiare le sorti della sua famiglia e delle generazioni a venire con il commercio delle arance e il duro lavoro nei campi. Nato senza terra riuscirà a lasciare a tutti i figli un tesoro di terra nera, vulcanica, fertilissima, interamente piantata ad agrumi.
Ed è proprio da questa terra e dall’amore per la campagna che Edoardo ebbe l’intuizione nel 2014 di declinare tutto quel patrimonio di arance in una bottiglia di amaro che riuscisse a esprimere la quintessenza della Sicilia e del suo vulcano. Nasce così Amara, amaro prima e brand poi.
La “famiglia” Amara
Nel corso degli anni, sotto questo cappello profumato e agrumato, nasceranno interessanti release a iniziare da quella ottenuta in partnership con Caroni attraverso il distributore Velier e il suo patron Luca Gargano. L’amaro prodotto riposa per 24 mesi nelle botti del famoso rum di Trinidad dando così vita a un liquore originale e distintivo.
Due anni fa nasceva invece Bark, l’etichetta di Amara dedicata alla corteccia degli alberi di arancia. Sembra strano realizzare un amaro partendo dalla corteccia, eppur si muove, avrebbe detto qualcuno. Durante la potatura estiva viene prelevato un legno ricco di linfa e dal profumo intenso che dona sentori e profumi unici per la realizzazione di quest’etichetta.
Un omaggio alla terra e al lavoro
E si arriva ai giorni nostri con l’ultimo nato in casa Amara: Agricolo, focus del nostro articolo. «Amara Agricolo vuole celebrare la natura e il lavoro nei campi – ci spiega il fondatore Edoardo Strano. Il mio amore per la campagna doveva essere onorato anche attraverso le maestranze che ogni giorno con il loro impegno rendono unica questa terra. Un omaggio alla terra e al lavoro quindi, in una bottiglia speciale per festeggiare la bellezza di vivere».
E in questa bella passeggiata fra gli aranceti, ci siamo diretti verso la sala degustazione dove ad accoglierci c’era Ivan Scavo, instancabile liquorista di Amara che, come un novello Efesto nella sua fucina, ci ha raccontato il prodotto in esclusiva nazionale.
Ivan Scavo, sei liquorista di Amara dalla notte dei tempi. Parte del successo di questi prodotti è naturalmente anche tuo. Com’è scattata questa passione per i liquori e come ti sei ritrovato in Amara?
Inizia tutto negli anni Novanta. I miei avevano un bar e io praticamente sono cresciuto dietro il bancone. Tenevo molto a questo locale tant’è che successivamente lo presi in gestione. Conobbi Edoardo Strano ai tempi dell’università e fu proprio in quel periodo, mentre studiavamo in quella che poi diventerà l’azienda di famiglia, che iniziavamo i primi esperimenti. Producevamo liquori veramente home made come il cannellino, la crema di limone, la crema di cacao e così via. Una produzione divertente e senza pretese, da offrire a parenti e amici. Ci siamo persi per un tot di anni e poi riapparve un giorno con questa grande idea, Amara. Dovevo stare lì solo qualche mese per dare una mano nella fase di start-up e sono ancora qui. Era il 2016. Pensi che volevo andare all’estero per aprire un ristorante, strana la vita!
Com’è cambiata l’azienda col suo ingresso? Si ricorda quegli inizi pionieristici?
Li ricordo come fosse oggi! Eravamo davvero una piccola realtà, pensi che quando arrivai in azienda i contrassegni sulle interfalde erano inseriti col pennellino, inimmaginabile ai tempi odierni! Per dare un’idea della crescita che ha avuto l’azienda in questi anni basta guardare i lotti di produzione. Quando arrivai erano da 400 litri, oggi siamo oltre i 6.000.
Non c’è il rischio che l’aumento di questi numeri tolga un po’ di artigianalità al prodotto?
Direi proprio di no, paradossalmente il processo è più artigianale oggi. Prima l’infusione era di sessanta giorni esatti, oggi inizia a gennaio e si conclude entro maggio, tempo permettendo, e le scorze d’arance vengono cambiate con intervalli di 15 giorni. Ho parlato di arance al plurale perché prima, durante l’infusione di sessanta giorni, veniva utilizzata solo una varietà, adesso vengono utilizzate tutte le migliori qualità dei nostri agrumeti. Un bel salto in avanti nel segno dell’artigianalità.
In principio fu Amaro Amara, poi Caroni, successivamente Bark e adesso il neonato Agricolo. Cos’ha di diverso quest’ultimo rispetto agli altri in termini di gusto e produzione?
Beh, tutto direi. Con questo etichetta volevamo qualcosa di veramente diverso e pensiamo di esserci riusciti. Nello specifico mentre le botaniche di Bark sono le stesse di Amara, per Agricolo sono proporzionate in maniera totalmente differente. Inoltre cambia radicalmente il carico zuccherino. Consideri che gli amari in genere hanno quella tendenza al dolciastro e viaggiano su una grammatura di 200 per litro. L’Amara classico è già a 130. Agricolo si attesta sui 70 grammi per litro, un amaro decisamente più strong, anche perché il volume alcolico è passato da 30 a 35 gradi.
Quindi più amaro e più alcolico, come mai questa virata?
Volevamo creare una bevuta diversa, pur facendolo restare morbido e senza il classico pizzico in gola, anche grazie al lavoro incredibile, devo ammettere, fatto sulla ginestra. La ginestra è una pianta difficile e non immediata. Non si può andare sull’Etna, raccogliere la prima ginestra che si trova e metterla in infusione. Alcune varietà sono tossiche. Ecco, il lavoro è stato davvero meticoloso.
Direi che è arrivato il momento di assaggiarlo e sospetto non lo berremo ghiacciato come le tendenze marketing suggeriscono.
E dice bene! Si perderebbe tutto il buono di questo amaro: arancia in testa, amaricante al centro e nel retrogusto una gradevole evoluzione floreale data dalla ginestra. Ghiacciato sembra tutto buono, anche il diesel! (Ride) Il problema è dopo. La temperatura di servizio ideale è fra gli 8 e 10 °C, in modo da apprezzare meglio le botaniche. Se proprio vogliamo rinfrescarlo di più consiglio un utilizzo nella mixology come spalla per un Negroni o un Americano, ottimo per esempio per il taglio di un bitter.
Beh, mi pare ci siamo detti tutto, o quasi. Prossima uscita?
È davvero un work in progress, non c’è ancora di definitivo, forse nel 2025, ma è solo un esperimento…
Stia tranquillo, non lo dirò a nessuno.
Beh, diciamo che abbiamo acquistato 16 botti, tutte con legnami diversi. Stiamo affinando Amara a 40 gradi, blendandolo con questi legni, tutti di primo passaggio. Il risultato dovrebbe essere un amaro tipo “barricato” con tutta una serie di sentori provenienti dalle diverse botti, ma ripeto è solo un’idea.
A proposito di idee, per i 10 anni di Amara non avete nulla in programma, magari una festa?
Sarebbe bello, grazie per l’idea, ci pensavo anche io. Mi farò portavoce, del resto ambasciator non porta pena, ma amaro (Amara) in questo caso.
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