Ottanta (drink) e non sentirli: la scommessa di Indaco a Riccione
C’è una ex lavanderia che è diventata giardino segreto e cocktail bar, a Riccione. Un locale – si chiama Indaco – che va orgogliosamente contro tendenza con certe scelte. Altro che “sottrazione”, qui le garnish paiono numeri da circo. Altro che “drink list corta”, qui i signature riempiono tre pagine e il menu conta in tutto 80 cocktail includendo i classici e gli analcolici. Però funziona tutto.
Geolocalizzamoci: siamo a 200 metri dalla spina dorsale del centro di Riccione, il mitologico Viale Ceccarini, dentro agli spazi che furono dell’altrettanto mitico Grand Hotel, struttura che per decenni è stata il simbolo della vocazione turistica della cittadina. Progettata nel 1929 su iniziativa del milanese Commendator Ceschini sull’area dove una volta sorgeva l’Ospizio Amati-Martinelli (costruito a sua volta nel 1877), chiusa da una ventina d’anni, oggi è di nuovo parzialmente operativa, tanto da ospitare eventi e convention aziendali nel salone principale.
Tre soci diventati famiglia
Negli spazi adibiti a lavanderia ha trovato casa Indaco, iniziativa di tre soci e aperto nel 2019. Francesco Ricci, di Città di Castello, è il bar manager, 46enne, di solida preparazione; Cinzia Battarra, chef con esperienze importanti (è stata la seconda di Igles Corelli e ha lavorato con Raffaele Liuzzi e Alberto Faccani); Luca Gallucci, compagno di Cinzia, è il restaurant manager e si occupa della sala.
Luca, Francesco e Cinzia: i tre soci di Indaco, a Riccione
Era una lavanderia, dicevamo. «Prima che entrassimo noi – ci racconta Francesco – c’era un altro locale, si chiamava Evviva. Avevano cambiato di molto arredi e mood del posto. Noi abbiamo ripristinato l’esistente, volevamo a vista tubi e impianti del vecchio locale di servizio, uno stile industriale genuino». Il vecchio rullo da stiro è diventato un tavolo da esterno, ruote di ingranaggi fuori uso si sono trasformate in basi per i tavoli del ristorante.
Oggi indaco è il “figlio” – parole sue – di Francesco, Cinzia e Luca. E un po’ anche dei ragazzi che lavorano con loro. Il team conta 12 persone in tutto compresi i titolari. Francesco ha iniziato con dei corsi in Planet One, poi ha collaborato con la scuola stessa, ha aperto cocktail bar con ristorazione a Città di Castello, a Perugia, a Riccione. Con Luca aveva il Royal Caffè, sempre in centro, poi il Flamingo, con spiaggia e ristorante, per sei anni. Serate da 600 persone, drink facili, bicchieri in plastica e sabbia. Lì i due amici hanno conosciuto Cinzia, lì è nata l’idea di fare un qualcosa di diverso. Di più sofisticato.
Sembrava uno svantaggio, era un plus
«Il sindaco ci portò a vedere questo spazio e ci convinse subito. All’apertura eravamo tesi: in quel momento aprivano altri sei cocktail bar nella zona centrale di Riccione», racconta il bar manager. «Pensavamo di essere in una posizione svantaggiata. E invece era un plus: un giardino segreto in centro, ma defilato. Volevamo impostare una miscelazione curata, coccolare il cliente. Proprio mentre prendeva piede il trend di una mixology essenziale, con garnish basiche, mi sono detto “io rischio”, provando a giocare con presentazioni di grande impatto. Creiamo un bel vestito. Il culto dell’immagine ha fatto il resto e oggi lavoriamo benissimo con una clientela locale, che torna e rimane affascinata dal nostro modo di presentare i drink».
Dalla attuale drink list di Indaco abbiamo preso tre cocktail che si distinguono per effetto scenico e per vendite: sono i tre best seller al momento, fra i signature. Sono Bailaoras (Pisco Porton Mosto Verde, Celery Bitters e gazpacho chiarificato), Zen (sakè infuso al gelsomino, tè verde, mandarino) e Chicago (Vodka 42 Below infusa con pop corn, caramello salato, cheddar liofilizzato, quest’ultimo ideato per il Lions Club di Riccione, rende omaggio alla città di Chicago, dove nel 1917 nacque il Lions Club, e al suo fondatore Melvin Jones).
«La prima drink list – continua Ricci – aveva 110 cocktail in carta, oggi sono scesi a 80 tra signature, classici e analcolici». Comunque tanti. «Anche in questo caso, temevamo che un menu lungo potesse annoiare, invece i fatti ci hanno dato ragione. I prezzi ci collocano in fascia medio-alta per Riccione (analcolici tra gli 8 e i 10 euro, signature tra i 12 e i 15, classici a 10, ndr), lavoriamo molto bene con gli analcolici e stiamo spingendo molto la miscelazione con tequila e mezcal. Qui non è ancora conosciuta e apprezzata come nelle città, ma stiamo provando a dare noi il ritmo, senza pensare di essere migliori di altri, intendiamoci, ma solo per far conoscere prodotti ancora poco fortunati fuori dai grandi circuiti».
Cucina e banco in contatto costante
Un valore aggiunto di Indaco è il rapporto con la cucina. «L’altra sera, in pieno servizio, mi è venuta in mente una possibile variazione su una garnish: su un drink uso una marinatura che usiamo anche sulle entrée in cucina e volevo trasformarla in una cialda da accompagnare al drink. Mi è venuto da parlarne con la chef, nel mezzo della serata. Lei fa lo stesso con me. Questo è lavoro di squadra, anche se sembriamo piacevolmente pazzi». Al ristorante colpisce il servizio del pane, prodotto internamente, che prevede focaccia di semola, pane ai cereali, pane alla portulaca, pane alla zucca, uvetta e cipolla, grissini al sesamo nero, cracker piccante alla paprika e peperoncino, cracker al timo. Tra i piatti più fortunati, il polpo alla paprika affumicata che diventa ripieno di una patata dell’orto cotta al forno intera; i cappellacci grezzi integrali ripieni di cinghiale, serviti con zucca marinata e crema di carciofo; l’anatra marinata al cipollotto, poi affumicata al legno di ciliegio, con mela, riduzione di saba e porro fritto. Il tutto servito ai 40 coperti del ristorante, mente il cocktail bar ne conta 60 in inverno e circa 300 (il giardino segreto è grande) in estate.
Per le materie prime si punta tutto o quasi sull’autoproduzione: il 70% dei vegetali da un terreno situato a Montefiore Conca, a 30 minuti di auto dalla riviera, dove vengono coltivate una trentina di specie di ortaggi, erbe silvestri, mele e pere cotogne, pesche, albicocche, susine, corbezzoli, prugnoli, more di gelso e sambuco. I 70 olivi permettono una piccola produzione di olio extravergine di oliva da utilizzare al ristorante.
«Nel contatto con il cliente c’è tutto»
Tornando al bar, c’è il bartender Alessandro ad aiutare il veterano Francesco. «Ci alterniamo tra sala e banco durante la serata, così entrambi riusciamo a vedere tutto. Per me è fondamentale trasmettergli anche la sensibilità della sala, perché il fulcro del nostro lavoro è lì, nel contatto con il cliente. Se lavoriamo bene al bancone, ma non sappiamo fare buon servizio e buona spiegazione dei cocktail, siamo all’anno zero. E poi il contatto umano è la cosa che rende bellissimo il nostro lavoro e che ci fa arrivare a fine giornata affaticati, ma mai davvero stanchi».
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