Birrificio Ichnusa ha un nuovo direttore: è Paolo Ciccarelli
Ichnusa Paolo Ciccarelli - Direttore Birrificio Ichnusa
Il neo direttore vanta una solida esperienza nel settore della produzione. Nel gruppo Heineken dal 2018, subentra alla guida del birrificio sardo a Matteo Borocci

Cambio al vertice del Birrificio Ichnusa di Assemini (Cagliari). Lo storico stabilimento del brand sardo del gruppo Heineken ha un nuovo direttore: è Paolo Ciccarelli, manager che vanta una solida esperienza nel settore della produzione e che subentra nel ruolo a Matteo Borocci.

Classe 1984 e nato a Vico Equense (Napoli), Ciccarelli ha conseguito la laurea magistrale in Ingegneria Gestionale presso il Politecnico di Torino, dopo aver iniziato gli studi presso la facoltà di Ingegneria dell’Università Federico II di Napoli. Oltre alla laurea, ha conseguito l’Executive Master in Logistica distributiva presso la Graduate School of Management del Politecnico di Milano.

La sua carriera professionale inizia nel 2011 in Bacardi, nello stabilimento piemontese di Martini & Rossi, dove si è occupato di planning e confezionamento. Dal 2018, è entrato a far parte di Heineken, ricoprendo ruoli di crescente responsabilità nei birrifici del Gruppo in Italia e all’estero (Regno Unito, Portogallo e Olanda). Negli ultimi due anni ha guidato lo stabilimento di Pollein (Aosta).

Ora la sua carriera nel Gruppo prosegue si prepara a una nuova sfida che lo vede a capo di una realtà tra i simboli della Sardegna.«Sono entusiasta di intraprendere questa nuova sfida professionale alla guida di un birrificio così prestigioso e ricco di storia come quello di Ichnusa – ha dichiarato il neo direttore –. Questa terra, con la sua storia millenaria e la sua passione per le tradizioni autentiche, ha saputo creare una birra unica, capace di raccontare un’identità e un modo di essere. Raccolgo con entusiasmo l’eredità di Matteo Borocci e mi impegno a valorizzare questo legame con il territorio, mettendo le mie competenze e la mia passione al servizio di questo stabilimento e di tutta la comunità sarda».

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Belvedere Vodka debutta in Formula 1
Belvedere Official Vodka Partner Formula 1
Il brand è Official Vodka Partner della competizione automobilistica più prestigiosa al mondo. Sarà protagonista degli eventi esclusivi che accompagneranno le gare, a cominciare dall’After Party ufficiale del Gran Premio d’Australia che aprirà la stagione

Belvedere Vodka scalda i motori in vista dell’avvio della stagione 2025 della Formula 1, che prenderà il via domenica 16 marzo con il Gran Premio Louis Vuitton d’Australia, sul circuito di Albert Park, a Melbourne. La luxury vodka polacca è infatti Official Vodka Partner di questa stagione della competizione automobilistica più prestigiosa al mondo, che quest’anno festeggia il suo 75° anniversario.

La collaborazione segna l’ingresso di Belvedere nel circuito degli sport mondiali e unisce due marchi celebri per il loro heritage, l’eccellenza e la ricerca di prestazioni eccezionali. Valori che Belvedere incarna con il suo spirito moderno, capace di tenere insieme tradizione e innovazione. Prodotta artigianalmente nella più longeva distilleria della Polonia, fondata nel 1910, e utilizzando esclusivamente segale polacca, tra le più pregiate al mondo, si è subito imposta come emblema della vodka di alta qualità e di luxury spirit, lavorando costantemente per elevare sempre più in alto questi due aspetti, come con il lancio di Belvedere 10 (leggi Vodka, caviale e… patatine: il lusso irriverente di Belvedere 10) e più di recente con la transizione al biologico (leggi Svolta bio per Belvedere Vodka).

Protagonista del fuori pista

La partnership con F1 punta a creare esperienze uniche che esaltino l’atmosfera esclusiva del paddock e degli eventi legati alle gare e si inserisce nell’accordo di collaborazione decennale siglato a inizio anno da Lvmh, del quale Belvedere è parte, come Global Partner della Formula 1 a partire sempre da questa stagione. Partnership che coinvolge altri marchi del gruppo francese, tra i quali TAG Heuer, come cronografo ufficiale, e Moët & Chandon.

E se le bollicine della maison de Champagne saranno stappate dai primi tre piloti sul podio, Belvedere sarà la protagonista degli eventi fuoripista. A partire dall’After Party ufficiale del Gran Premio d’Australia, un evento esclusivo firmato dal marchio e all’insegna del divertimento, che riunirà alcuni dei più famosi dj del mondo. Inoltre, Belvedere Vodka sarà presente in tutte le tappe del campionato e sarà servita nei più prestigiosi spazi hospitality, tra i quali il Paddock Club e il Garage F1.

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Le etichette d’autore di Fine Spirits conquistano il Roma Whisky Festival 2025
Fine Spirits 7
L’azienda genovese è stata tra i grandi protagonisti della kermesse romana, guidando professionisti e appassionati in un viaggio sensoriale tra i grandi distillati che importa e distribuisce in esclusiva per l’Italia

Il Roma Whisky Festival 2025, svoltosi il primo weekend di marzo presso il Salone delle Fontane, ha visto la partecipazione di Fine Spirits. Durante la kermesse l’azienda genovese ha coinvolto i numerosi visitatori in una degustazione immersiva. Tra le realtà più apprezzate, Kilchoman, Ardnahoe, Springbank, The Dalmore e Mars sono emerse come le protagoniste assolute di questa edizione, raccontando storie di passione, innovazione e impegno verso la qualità.

L’animo torbato di Kilchoman

Fondata nel 2005, la distilleria Kilchoman è un’icona della produzione di whisky torbati sull’isola di Islay, una delle terre più ricche di storia nel panorama scozzese. L’azienda ha fatto parlare di sé per la sua unicità: la produzione di whisky all’interno di una fattoria. Kilchoman è famosa per il suo whisky fortemente torbato, che raggiunge i 50 ppm, una delle concentrazioni più alte di torba. Espressione massima di questi sentori torbati è Kilchoman Batch Strength che si è classificato terzo nella categoria Best Cask Strenght nel premio Whisky & Lode. Tuttavia, la distilleria non si limita a utilizzare botti di bourbon, ma sperimenta anche con botti di Sherry, creando espressioni molto apprezzate come il Lock Gorm e il Sanaig. Tra le novità presentate al festival, spicca anche la seconda edizione della Kilchoman Italian Cities – Editon N.2 Rome, invecchiato esclusivamente in botti di Porto. Una bottiglia speciale per il mercato italiano che celebra il connubio tra la tradizione scozzese e le eccellenze del nostro Paese.

La rivoluzione di Ardnahoe

La distilleria Ardnahoe, giovane ma già molto promettente, sta segnando una vera e propria rivoluzione nel panorama dello Scotch whisky. Fondata dalla famiglia Hunter Laing, una delle più longeve nel campo degli imbottigliamenti indipendenti, Ardnahoe ha lanciato il suo primo imbottigliamento, Inaugural Release, con un successo che ha sorpreso tutti. Il whisky di Ardnahoe è caratterizzato da una torbatura più leggera rispetto ai suoi rivali scozzesi, ma il suo profilo affumicato è accompagnato da note vegetali e un intrigante tocco di pepe bianco. «Uno degli aspetti più affascinanti della distilleria Ardnahoe è l’utilizzo del worm tub, un tipo di condensatore che dona al distillato un carattere unico e autentico, rimanendo fedele alla tradizione pur mantenendo un approccio moderno alla distillazione», racconta Mirko Turconi, responsabile commerciale di Fine Spirits. Con il suo primo imbottigliamento continuativo, presentato nell’autunno 2024 e chiamato Infinity Loch, Ardnahoe sta già attirando l’attenzione dei collezionisti e degli appassionati del settore.

Torbatura e morbidezza: il perfetto equilibrio di Springbank

Springbank tra le distillerie più antiche e rispettate in Scozia, nel 2025 celebra il suo centenario con un’impronta che rimane fedele alle radici. Situata a Campbeltown, un tempo capitale del whisky scozzese, Springbank è l’unica distilleria che ancora oggi utilizza il pavimento di maltaggio al 100%, un processo tradizionale che richiede una cura artigianale in ogni fase della produzione. Il whisky di Springbank è rinomato per la sua torbatura leggera e per le note minerali derivanti dalla torba locale. Le sue espressioni sono caratterizzate da un equilibrio perfetto tra il fumo e la morbidezza, con sentori che ricordano la polvere da sparo, un elemento distintivo del profilo organolettico di questa distilleria. Nonostante questa nota affumicata, il whisky mantiene una morbidezza che bilancia la sua forza. «Un elemento chiave che distingue Springbank da altre distillerie è l’oleosità del whisky, che deriva dalla lavorazione manuale dell’orzo e dall’uso di alambicchi alimentati a fiamma diretta. Ogni alambicco è alimentato direttamente dalla fiamma, un metodo che conferisce al whisky una maggiore corposità e un profilo oleoso unico nel panorama delle distillerie scozzesi», racconta Jacopo Grosser, brand manager e whisky expert.

I distillati luxury di The Dalmore

Fondata nel 1839, The Dalmore è una distilleria che ha saputo coniugare la tradizione alla modernità, diventando uno dei marchi più apprezzati nel mondo del whisky di lusso. «Un aspetto distintivo di The Dalmore è la sua eleganza e facilità di bevuta, che la rende adatta sia ai bevitori occasionali sia a quelli esperti. La distilleria non spinge troppo sulle alte gradazioni alcoliche, mantenendosi tra i 40 e i 43 gradi, e solo alcune espressioni superano i 46 gradi», prosegue Turconi. La qualità dei distillati è frutto di un equilibrio perfetto tra diverse maturazioni, usando un mix di botti di bourbon, botti di vino e botti di sherry. A differenza di molte altre distillerie, infatti The Dalmore non usa botti di sherry comuni, ma si avvale della collaborazione con la rinomata bottega Gonzalez Byass, per ottenere botti di sherry di altissima qualità. Questa collaborazione permette alla distilleria di lavorare con botti che sono fuori dalla portata di molte altre realtà, creando così una stratificazione complessa nei suoi whisky. Un esempio di questa stratificazione si trova nel The Dalmore 12 anni, maturato per i primi 9 anni in botti di bourbon e successivamente diviso in tre differenti botti di sherry molto vecchie. Le botti provengono da una selezione esclusiva di sherry che sono invecchiate per almeno venti anni, dando al whisky una componente di sherry molto marcata. Negli ultimi anni, The Dalmore ha introdotto anche le edizioni vintage, che sono imbottigliamenti speciali di whisky provenienti da un singolo anno di distillazione, simili ai millesimati del vino. Questi imbottigliamenti possono partire da un invecchiamento di 15 anni, ma arrivano anche a età più avanzate.

La special edition esclusiva di Mars per Fine Spirits

Mars è una distilleria giapponese che si distingue per la sua tradizione e la qualità dei suoi prodotti. La distilleria è stata creata da un allievo di Masataka Taketsuru, un nome fondamentale nella storia del whisky giapponese, noto per aver importato e perfezionato la produzione di whisky scozzese in Giappone. Con un profilo elegante e pulito, Mars è apprezzata per l’equilibrio e la morbidezza che caratterizzano tutte le sue espressioni. Tra le peculiarità l’uso di una piccola percentuale di whisky scozzese nelle sue produzioni, ma con un’alta percentuale di whisky distillato all’interno delle sue due distillerie, che supera il 60%. Nonostante la limitata produzione e la difficoltà di reperibilità, il whisky giapponese di Mars rappresenta un’ottima alternativa ai marchi più noti, mantenendo un prezzo competitivo senza compromettere la qualità. Un esempio esclusivo della distilleria è il “single cask” distillato a Shinshu nel 2016, imbottigliato nel 2022 con un volume alcolico del 62%, che ha suscitato grande interesse tra i collezionisti. «Questo è un imbottigliamento esclusivo per Fine Spirits – racconta Jacopo Grosser – ed è una edizione limitata da una singola botte di 230 bottiglie. Il whisky ha una struttura intensa e esplosiva, con un perfetto equilibrio tra cereale, legno, e note fruttate di frutta gialla, vaniglia e cocco. È un prodotto che si distingue per la sua pulizia e l’intensità delle sue sfumature aromatiche, rendendolo unico nel suo genere».

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Eurovo acquisisce Waffelman per crescere nella colazione
Eurovo Waffelman crepes-surgelate
Con l’acquisizione dell’azienda toscana, il Gruppo punta a crescere nel mercato del primo pasto della giornata arricchendo la sua offerta con i prodotti pronti da forno

Eurovo punta a rafforzarsi nel mercato della colazione e mette le mani su Waffelman, azienda con sede a Monsummano Terme (Pistoia) e specializzata nella produzione di waffle, pancake, crepes e prodotti semilavorati.

Un’acquisizione strategica con la quale il Eurovo punta a consolidare il proprio know-how sulle uova come ingrediente fondamentale nei numerosi ambiti della gastronomia e in particolare in quello dei prodotti da forno per la colazione. Mercato quest’ultimo che negli ultimi anni ha dimostrato un particolare dinamismo nell’offerta di waffle e pancake di alta qualità e che offre solide prospettive di crescita.

Con un arricchimento di gamma in questa direzione Eurovo, in quanto già fornitore di riferimento per uova e ovoprodotti, potrà sfruttare le sinergie di una distribuzione commerciale e logistica già molto presidiata che permetterà di ottimizzare gli attuali clienti comuni ed espandere ulteriormente la penetrazione nei canali del food sevice e della gdo, con waffle e pancake.

Un’offerta più ricca nei canali professionali

Senza trascurare, che Waffelman è una realtà in salute e dalle ottime prospettive: l’azienda nel 2024 ha registrato un fatturato superiore a 2,6 milioni di euro, in crescita del 28% rispetto all’anno precedente.

«Da tempo abbiamo avviato con Waffelman una collaborazione per la produzione dei nostri pancake a marchio le Naturelle e ProUp e questa acquisizione è la naturale evoluzione di un rapporto consolidato e duraturo – ha commentato in una nota che annunciava l’operazione Federico Lionello, della direzione commerciale e marketing di Gruppo Eurovo -. Grazie a questa operazione, puntiamo a rafforzare la nostra esperienza e presenza nel settore alimentare. Un’opportunità che va oltre il mercato consumer, perché una maggiore profondità di gamma rende ancora più ricca la nostra offerta nei canali professionali che già oggi, grazie al portafoglio specifico di uova e ovoprodotti, ci consente una capillarità importante in tutti i segmenti del food service».

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Cocktail Gin Mare & toast gourmet firmati Chef Andrea Aprea
Presentati a Milano i migliori abbinamenti dei toast gourmet di Chef Andrea Aprea con i cocktail a base di Gin Mare Mediterranean Gin.

Quando l’Arte dell’Aperitivo incontra la maestria della Cucina Stellata. Gin Mare ha voluto così celebrare il Toast Day (ultimo giovedì di febbraio) con una collaborazione d’eccezione, firmata dallo chef a due stelle Michelin Andrea Aprea.

Dalla colazione alla merenda, dal lunch break allo spuntino di mezzanotte, il toast è da sempre una formula ristorativa sinonimo di semplicità e piacere immediato: due fette di pane in cassetta abbrustolite che diventano croccanti, da farcire a scelta in versione salata (formaggio, prosciutto, sottaceti) o dolce (burro, marmellata).
Fino agli anni Venti, il toast (o pane tostato) era preparato semplicemente, rivoltandolo su piastre metalliche o pietre roventi. Con l’invenzione americana di Charles Strite del tostapane elettrico con timer, la sua preparazione è diventata più facile e veloce, alla portata di tutti, invadendo cucine, caffè e bar, come alternativa da preparare al momento, più leggera e gustosa rispetto ai panini farciti già pronti.

Istituito nel 2014 da Tiptree World Bread Awards con Brook Food, Toast Day ha sdoganato questo tramezzino composto da due fette di pane tostato e farcito che, da soluzione popolare, in mano a chef creativi, a cominciare dai fratelli Cerea, è diventato una alternativa interessante anche per i gourmand più esigenti.

Un’evoluzione che Gin Mare, da sempre legato al mondo della gastronomia e alle sue tendenze, ha voluto cogliere e valorizzare. Il brand che interpreta la cucina non solo come fine dining ma anche come sperimentazione e innovazione, ha scelto quest’anno di celebrare il Toast Day in collaborazione con lo Chef Andrea Aprea, già noto per aver proposto una variante dell’inglese Club Sandich premiata dal londinese Monocle Magazine. Ricordiamo che Club Sandwich è nato nel Settecento per nutrire senza far alzare dal tavolo da gioco un irriducibile Lord Sandwich.
La sua continua ricerca dell’equilibrio tra tradizione e innovazione si concretizza ora in una nuova espressione grazie alla partnership con Gin Mare.

Le prime ricette di Chef Andrea Aprea

Sono nati così Gin & Mare Toast e il Toast Mediterraneo, due creazioni che esaltano i sapori del Mediterranean Gin con la firma inconfondibile dello chef nato a Napoli e cresciuto a Roma, oggi titolare del Ristorante (2 Stelle Michelin) & Caffè Bistrot Andrea Aprea di corso Venezia 52 a Milano.

Chef Andrea Aprea

Il loro abbinamento ideale è il classico Gin Mare Tonic, guarnito dall’iconico rametto di rosmarino che ne amplifica le sfumature aromatiche. Ma non sono mancate altre proposte come il cocktail Glover e Mediterranean Trip.

Gin & Mare Toast
Crudo di gamberi rosa, salsa al Gin Mare, foglie di capperi.

Gin & Mare Toast


Così lo Chef racconta la sua ispirazione: «In questo toast la delicatezza del gambero rosa si abbina perfettamente con la freschezza delle note aromatiche ispirate alle botaniche di Gin Mare: il lime, il profumato basilico e il cappero, che aggiunge un tocco di sapidità. Un viaggio sensoriale tra i profumi della costa mediterranea».
Ingredienti
Pane in cassetta artigianale bianco 15x15cm, tartare di polpa di gamberi rosa, Olio Evo. sale, pepe, scorzetta di lime, basilico fresco tagliato à julienne, salsa Gin Mare (emulsione di maionese, Worchester Sauce, Tabasco, succo di lime con Gin Mare), foglie di cappero sottaceto.
Preparazione
Posizionare sul piatto una fetta di pane bianco tostato, spalmare con l’aiuto di una spatolina la salsa al Gin Mare, adagiare sopra la polpa di gambero, coprire con le foglie di cappero e chiudere il sandwich con un’altra fetta di pane tostato. Parare i bordi e dividere in quattro cubi.

Toast Mediterraneo
Mozzarella di bufala, pesto di pomodori secchi, acciughe, emulsione di basilico.

Toast Mediterraneo


Questa ricetta racchiude «L’essenza della mediterraneità dello Chef, dei ricordi della sua terra, un connubio di sapori che lo riportano all’infanzia e raccontano i luoghi in cui è nato. Un abbinamento che si sposa perfettamente con le note aromatiche di Gin Mare, un’esplosione di freschezza. È letteralmente il Mediterraneo in un morso».

Le altre proposte di Chef Andrea Aprea

Classico Contemporaneo
Prosciutto cotto, formaggio Asiago, tartufo nero.

Club Sandwich Aprea
Pomodoro, tacchino, insalata romana, pancetta tostata, uovo fritto.

Club Sandwich Vegetariano
Fettine sottilissime di melanzane, zucchine e pomodori, pesto di uvetta e pinoli, crema di Grana Padano Riserva.

Fassona Crock
Crudo di Fassona, cavolo cappuccio acidulo, maionese alla senape.

Tutte le proposte di Chef Andrea Aprea

 

Gin Mare, la macchia mediterranea in una bottiglia

Gin Mare Mediterranean Gin è nato vicino Barcellona come un viaggio nei sapori della macchia mediterraneo. Botaniche come oliva Arbequina, basilico, rosmarino e timo, selezionate dalle terre fertili di Grecia, Italia, Spagna e Francia, conferiscono al gin il suo carattere distintivo (42,7% alc).
Viene prodotto con distillazione discontinua in Alambicco Fiorentino, con macerazione separata per ciascuna botanica per 24-48 ore, mentre gli agrumi (limoni e lime) vengono fatti macerare per un intero anno per esprimere al meglio le qualità uniche di ciascun ingrediente. Fornito in bottiglia 70 cl in vetro chiaro serigrafato, il cui tappo può essere utilizzato come un misurino da 7 cl, quantità ideale per un Gin Mare Tonic (acqua tonica a piacere). Gin Mare Mediterranean Gin è prodotto e distribuito da Brown-Forman.

Gin Mare Mediterranean Gin 70 cl

Brown-Forman Corporation da oltre 150 anni crea marchi premium di alcolici eccezionali, restando fedele alla promessa originaria: Nothing Better in The Market (Niente di meglio sul mercato).
Il portafoglio di marchi premium include:
Jack Daniel’s Tennessee Whiskey
Woodford Bourbon Kentucky Whiskey
Tequila Herradura
Tequila El Jimador
Korbel Champagne
Old Forester Bourbon Kentucky Whiskey
Coopers’ Craft Bourbon Kentucky Whiskey
The Glendronach Scottish Whisky
Glenglassaugh Scottish Whisky
Benriach Scottish Whisky
Ron de Venezuela Diplomático
Chambord Rapsberry Liqueur
Gin Mare
Fords London Dry Gin
Slane Irish Whiskey
New Mix Ready To Drink.
Produzione assicurata da circa 5.700 dipendenti in oltre 170 paesi di tutto il mondo.

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Gold Plast firma i calici infrangibili in materiale riciclato per Moët & Chandon
Gold Plast Calici e bicchieri Drink Safe
Progettati per esaltare l’esperienza di degustazione dello champagne, i nuovi calici, realizzati per la maison francese in collaborazione con Lehmann, sono prodotti con un innovativo polimero ad alte prestazioni ottenuto per il 50% da riciclo

Eleganti, funzionali e sostenibili. Possiedono tutte queste virtù i calici infrangibili realizzati, e interamente personalizzati, da Gold Plast per Moët & Chandon. Ma non solo, perché altro elemento caratterizzante dei nuovi calici è che non sono in cristallo e in vetro, ma in polimero, ovvero in materiale plastico, ad alte prestazioni e in più prodotto da riciclo.

Gold Plast calice Moët & Chandon
Il calice realizzato da Gold Plast per Moët & Chandon

Il progetto è nato dalla volontà della prestigiosa maison de Champagne di ridurre il proprio impatto ambientale anche agendo sul servizio dei suoi vini, in linea con le politiche sostenibili che porta già avanti in vigna e in cantina. Per tradurlo in realtà si è affidata all’azienda lombarda, specializzata nello sviluppo e produzione di accessori infrengibili per la tavola, in materie prime di qualità e interamente riciclabili, per il mondo del fuoricasa. Azienda che già fornisce al gruppo il gruppo Lvmh, del quale Moët & Chandon è parte, i suoi calici che, grazie a una tecnologia di produzione brevettata, dispongono di un bordo arrotondato e sottile molto apprezzato dai cultori del vino e del buon bere.

Lo studio del nuovo calice, condotto da Gold Plast su specifiche della maison, ha puntato alla ricerca della massima qualità funzionale, compresa l’infrangibilità, e produttiva e a preservare le proprietà organolettiche dello champagne, per garantire un’esperienza di degustazione all’altezza del marchio Moët & Chandon. Nel portarlo avanti l’azienda ha coinvolto un terzo partner di eccellenza, Lehmann Glass, con sede a Reims (Francia) e specializzata nella produzione di bicchieri e calici per la degustazione di vini e champagne, il cui know how nel settore ha contribuito a sviluppare un prodotto finale con tutti gli accorgimenti necessari per esaltare l’esperienza di degustazione delle bollicine.

Un materiale ad alte prestazioni e amico dell’ambiente

Essenziale per il conseguimento di tutti gli obiettivi è stata la scelta del materiale: il Tritan Renew, un copoliestere di nuova generazione, che non contiene Bisfenolo (BPA), bandito dallo scorso 20 gennaio per tutti i prodotti a contatto con gli alimenti, prodotto e brevettato da Eastman, colosso Usa della chimica.

Un materiale amico dell’ambiente, ottenuto utilizzando fino al 50% di materiale riciclato attraverso un processo di riciclo chimico avanzato che permette di mantenere le proprietà della materia prima originale senza degradazione. Una soluzione che, oltre a ridurre la quantità di rifiuti destinati alle discariche o potenzialmente dispersi nell’ambiente, genera anche meno emissioni di gas serra rispetto ai metodi di produzione tradizionali basati su materie prime vergini. Al basso impatto ambientale il materiale unisce una serie di proprietà che lo rendono perfetto per la produzione di calici di alta gamma, quali l’elevata trasparenza e brillantezza, unite a una non meno elevata resistenza chimica e termica.

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L’effetto farfalla e il caffè al bar

La frase più famosa di Edward Lorenz, matematico e metereologo americano fondatore della teoria del caos, recita: “Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?” Oggi potremmo attualizzarla così: può una (mancata) pioggia in Brasile provocare un terremoto nei bar italiani?

Ma andiamo con ordine: il mondo del caffè è in forte fibrillazione. Il costo della materia prima non è mai stato così alto negli ultimi 40 anni. A gennaio, l’indice composito dei prezzi del caffè, secondo l’Ico (Organizzazione Mondiale del Caffè) ha registrato un +75% rispetto al gennaio 2024.

Le ragioni? Un misto di realtà e di fantasia (leggi speculazione). La realtà sono i cambiamenti climatici: la siccità ha colpito contemporaneamente Brasile e Vietnam, i due maggiori produttori di caffè al mondo.
Gli effetti sul mercato già si vedono anche da noi, con il fallimento dei primi broker del caffè verde e lo stato di crisi di alcune torrefazioni.

I listini delle torrefazioni nel 2024 hanno registrato i primi ritocchi, che in alcuni casi hanno superato l’euro al chilo. Nel 2025 gli adeguamenti saranno ancora maggiori. Inevitabile un adeguamento del prezzo della tazzina al bar, già ritoccato verso l’alto lo scorso anno, che potrebbe arrivare ai 2 euro (come, peraltro, è già avvenuto in Paesi come Francia o Spagna).
Un bene? Un male? Dipenderà da come verrà fatto, oltre che dal quanto. Innanzitutto c’è il contesto generale, che parla di un potere d’acquisto in calo per i consumatori (-7,9% negli ultimi 5 anni). Ergo: ogni aumento dei prezzi va ben ponderato, ben comunicato, ben giustificato.

Ma del contesto generale fa parte anche il fatto che gli avventori dei bar sono sempre più attenti nelle scelte, oltre che più informati e più consapevoli. Tradotto: i clienti “di bocca buona” sono una categoria a rischio estinzione.
Un elemento nuovo, per i gestori dei bar, è che la forbice di prezzo tra i caffè di primo prezzo e quelli di qualità si è ridotta di molto. In altre parole: continuare a scegliere un caffè di scarsa qualità non è più un risparmio significativo. Sempre ammesso che fosse un risparmio e non una scelta poco lungimirante.

Ecco allora che, se aumento del prezzo della tazzina dovrà essere, non andrà sprecata una grande occasione. Quella di chiedersi con maggiore consapevolezza rispetto al passato quale caffè scegliamo di servire ai clienti. E come scegliamo di servirlo. Non potendo più servire un caffè scontato (nel senso di “a un prezzo irrisorio”), non si potrà nemmeno più “darlo per scontato” (della serie: “Ma sì, uno vale l’altro”).

L’auspicio, quindi, è che il battito d’ali di una farfalla in Brasile (o in Vietnam) faccia alzare la qualità della tazzina del caffè al bar in Italia.

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Leonardo Milani: «Una squadra vincente si costruisce con il benessere»
Per 20 anni mental coach delle Frecce Tricolori, autore di Squadre vincenti, edito da Tecniche Nuove, Leonardo Milani detta le regole per la costruzione di un gruppo di lavoro d’eccellenza

Costruire un team vincente è determinante per il successo di ogni attività imprenditoriale e le realtà del fuoricasa non fuggono a questa regola. A spiegare come si fa è Leonardo Milani, psicologo e per 20 anni mental trainer delle Frecce Tricolori. Esperienza questa che ha raccontato nel volume Squadre vincenti, edito da Tecniche Nuove, dove spiega i segreti del successo della pattuglia acrobatica italiana, la migliore al mondo, per spiegare cosa rende un team efficiente e vincente. Per formare una squadra non basta mettere insieme le persone, né è sufficiente dire a ognuno cosa deve fare. Motivazione, senso di appartenenza e condivisione di obiettivi comuni sono invece i pilastri che permettono a ogni membro di dare il meglio di sé e che mantengono saldo il gruppo nel tempo. Più che le competenze tecniche, che si possono sempre apprendere e costantemente migliorare, a fare la differenza è dunque l’elemento umano, ovvero la capacità delle persone di applicarle con passione e impegno.

Nell’intervista con Andrea Mongilardi negli studi di Bargiornale Tv a Sigep 2025, Milani si sofferma su altri aspetti cruciali che concorrono a costruire una squadra e a cementarla, come il ruolo del leader, l’evoluzione del concetto di leadership, l’importanza di creare momenti di confronto, che concorrono a migliorare  l’affiatamento tra le persone dello staff e svilupparne la solidarietà, gli elementi sui quali fare leva per relazionarsi con le nuove generazioni e i clienti, la corretta gestione degli errori, che inevitabilmente si compiono, e come questa permetta di trasformarli in occasioni di crescita per tutto il gruppo. Buona visione!

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Prezzo del caffè alle stelle, adesso che succede alla tazzina?
tazzine caffè

Ci siamo fatti contagiare da chi, come Davide Cobelli, monitora quotidianamente il prezzo del caffè e ne dà testimonianza su Instagram. Occhi puntati sui siti che danno in tempo reale le quotazioni delle materie prime: mentre scriviamo (5 marzo) l’arabica brasiliana quotata alla borsa di New York è a 8,93 dollari al chilo. «A gennaio 2020 era a 2,25 dollari al chilo», ricorda Cobelli. È un aumento di oltre 6 dollari al chilo, quasi il 300%, che coinvolge anche la robusta (quotazioni alle stelle sul mercato finanziario londinese). Un’impennata epocale.

Un mondo nuovo

Se ne parla dallo scorso anno, tra analisti che non vedono un rapido stop dell’escalation e trader e torrefattori intimoriti da un mondo nuovo. Un mondo in cui il prezzo della materia prima è diventato improvvisamente pesante nella composizione del costo dell’espresso. In parte questa spinta inflazionistica è arrivata sul banco: secondo Assoutenti nel 2024 il prezzo medio della tazzina al bar in Italia ha raggiunto 1,21 euro, con un aumento del 18% rispetto al 2021. Sullo sfondo, la voce di tanti baristi che chiedono uno sforzo di settore per portare il prezzo più su, chi ha 1,50, chi a 2 euro.

Strategie per il rilancio

Non vogliamo trasformare questo piccolo approfondimento in un dibattito sul prezzo dell’espresso, ma provare a riassumere le ragioni e le dinamiche dell’escalation dei prezzi e la strategia che gli esercenti dovranno implementare in questo “mondo nuovo”.

Perché sale il prezzo del caffè

Quella del prezzo del caffè è una dinamica simile a quella che abbiamo visto con tante altre materie prime nel quinquennio post pandemia. Un’azione combinata di diversi fattori. Guerre e tensioni geopolitiche, sofferenza lungo le catene di approvvigionamento, container che costano improvvisamente cinque volte tanto, porti chiusi, rotte delle navi cargo più lunghe: c’è più difficoltà nel movimento delle merci, e si paga. Ma queste forze sono sullo sfondo.

caffè piantagione raccolta

Il consumo globale sale

C’è anche più domanda di caffè, specie in Asia. Secondo il più recente rapporto dello United States Department of Agriculture (dicembre 2024), il consumo di caffè in Cina è aumentato di quasi il 150% negli ultimi 10 anni e si prevede che raggiungerà i 6,3 milioni di sacchi (da 60 kg) nel 2024/25. Con una produzione nazionale che si aggira intorno ai 2 milioni, la crescente sete di caffè si soddisfa con l’import per la maggior parte. Nell’ultimo decennio, le importazioni totali di caffè in Cina sono quasi triplicate. Vietnam e Indonesia erano inizialmente i primi fornitori, poi superati da Brasile e Colombia.

Ok la Cina, ma il consumo globale? Si prevede un aumento da 5,1 milioni di sacchi, per toccare quota 168,1 milioni, con le maggiori crescite in Unione Europea, Stati Uniti e Cina (appunto). Anche la più recente indagine dell’International Coffee Organization (datata dicembre 2023) stimava una crescita del 2,2% per l’anno 2023/24, con i Paesi non-produttori a dare il maggior contributo alla crescita della domanda

L’offerta è in preda all’incertezza

Intanto il caffè subisce anche uno shock negativo di produzione? Ni. Più che altro, subisce l’incertezza. E l’incertezza fa diminuire le scorte e stressa i prezzi. Sempre dal report dello United States Department of Agriculture (dicembre 2024): la produzione mondiale di caffè per il periodo 2024/25 è di 6,9 ​​milioni di sacchi in più rispetto al periodo precedente, per arrivare a quota 174,9 milioni. Crescita dovuta principalmente alla ripresa della produzione in Vietnam e Indonesia. Si prevedono esportazioni mondiali leggermente maggiori rispetto al 2023/24, con i guadagni di Vietnam e Indonesia che andrebbero a più che compensare la riduzione di spedizioni dal Brasile.

Però, c’è un però: il report attesta qualche sofferenza nella produzione. In Brasile, a causa di siccità e alte temperature durante il periodo di sviluppo e maturazione dei frutti, le rese di arabica e robusta sono scese al di sotto delle proiezioni iniziali. C’è una importante correzione nel report: rispetto alle ultime stime di giugno 2024, la produzione globale è scesa di 1,2 milioni di sacchi. Cos’altro va giù? Le scorte: si prevede che le scorte diminuiranno di 1,5 milioni di sacchi per arrivare a quota 20,9 milioni. Erano intorno ai 37 milioni nel 2020/21.

Meno rese, meno persone

Ci spiega Davide Cobelli, consulente, proprietario di Garage Coffee Bros e – tra le altre cose – ex coordinatore nazionale Sca: «Il caffè sta subendo sempre di più gli effetti del cambiamento climatico. Vale sia per l’arabica che per la robusta. Stiamo parlando di piante che hanno un delicato ecosistema di riferimento e l’innalzamento delle temperature unito a più frequenti fenomeni di siccità causa problemi di produzione. In aggiunta, in tanti Paesi produttori si assiste alla migrazione della popolazione verso le città, a discapito delle aziende agricole. Ricordiamo che degli aumenti beneficia una parte della filiera del caffè e chi specula sul prezzo, e che i soldoni non vanno certo a finire nelle tasche dei farmers. C’è meno forza lavoro per curare coltivazioni e raccolte».

«Il caffè c’è»

Andrea Matarangolo, consulente esperto di caffè con una lunga esperienza proprio nel commercio di caffè crudo, smonta l’idea che tutte queste tensioni possano aver generato una crisi di offerta così forte da causare una tale escalation dei prezzi (ricordiamo quel +300% dal 2020 che citavamo in apertura). «Il caffè c’è», dice. Può avere meno raccolta uno specifico Paese in uno specifico anno, ma si trovano sempre le alternative. Siccità in Brasile? Va bene, io sto dirottando clienti su altre origini con caratteristiche simili al caffè brasiliano, con prezzi anche inferiori in qualche caso. Io resto convinto che il climate change possa influenzare i raccolti con una resa minore, ma non stiamo parlando di una dinamica che può influenzare così tanto il prezzo del crudo. È una questione di speculazione finanziaria, di grandi fondi di investimento che stanno realizzando soldi a palate».

Può fermarsi, questa pazza corsa al rialzo? Di nuovo Cobelli: «A maggio arrivano le prime stime di raccolto dal Brasile che si chiuderà a luglio, riferimento per l’arabica. A ottobre/novembre quelle del Vietnam, riferimento per la produzione di robusta. Se saranno buone, potrebbe essere un bene per il mercato e si potrebbe raffreddare il prezzo. Il timore? Che nel frattempo, in Italia, dove siamo costretti per tradizione culturale e problemi congeniti a tenere il prezzo del caffè al bar piuttosto basso, ci si ritrovi più deboli sul mercato. E che si finisca con l’abbassare la qualità pur di riuscire ad approvvigionarsi a prezzi bassi».

«Nel frattempo è crisi nera come non si era mai vista, perché tantissimi torrefattori e crudisti piccoli e più esposti finanziariamente chiuderanno nel 2025», prevede Andrea Matarangolo. «Le torrefazioni non possono alzare di colpo il prezzo, perché trovano ostruzionismo da parte del mondo bar». Ed ecco che siamo finiti dove ci aspettavamo: al banco.

barista genericoChe cosa può fare il barista

«Come risolvi un aumento di prezzo di approvvigionamento? Vendendo qualcosina in più, ma soprattutto vendendo meglio», dice Matarangolo. «Cioè differenziando l’offerta, non basando il business del bar sul prezzo basso, ma sulla qualità alta. Per fare tutto questo, non puoi essere un improvvisato, ma devi investire in formazione tecnica e formazione sulla vendita, rivedere le procedure». Una provocazione, sempre dell’esperto giramondo: «Metti un banco bello ma non “firmato”, che costi un po’ meno e che permetta di lasciarti risorse per investire in formazione dei dipendenti e in strumentazione». Nel mirino torna la pratica di farsi finanziare macchinari e fornitura insieme dal torrefattore.

Gianni Tratzi di Mezzatazza Consulting ha seguito e accompagnato nel mondo del caffè di qualità un centinaio di locali, tra indipendenti e piccole catene, negli ultimi cinque anni. «Che cosa fare sul fronte retail in questa situazione? Studiare business!», dice. «Se hai in mano una materia prima che di colpo è più preziosa, devi sapere che cosa stai usando, come trasformarla, quanta usarne e come venderla. Perché per quanto tu voglia alzare il prezzo del caffè, non puoi farlo di botto. Perdi markup sul caffè al banco perché costa troppo di più la fornitura? Lo recuperi da un’altra parte, svecchiando la proposta di bevande caffè e introducendo pezzi di offerta nuovi. Un esempio: introducendo il filtro, con un prezzo di 3 euro, si arricchisce il menu con una proposta che è ad alto margine, perché il costo in tazza si può stimare in 50 centesimi. È una bevanda con tempi di consumo lunghi, facile da abbinare a una proposta food dolce o salata (alzando così lo scontrino), che il consumatore non conosce e quindi svincolata dalla tradizione rigida che caratterizza l’espresso». Una novità da scoprire. Un menu della caffetteria da ripensare.

Test, valutazione, decisione

Con un processo ponderato, però, e non con un cambio di rotta drastico. «Suggerisco sempre di procedere con una sequenza di test e valutazioni, per correggere il tiro piano piano. Inserisci un nuovo alimento, lo provi, vedi se funziona, vedi se cambiarlo o se toglierlo. Allestisci diversamente il banco o il corner caffè, concedi al nuovo assetto un periodo di prova, monitora e vedi se e cosa cambiare», spiega Tratzi. Sempre in un’ottica di miglioria che fa bene al business, a vendere di più e meglio.

Allora, siamo nel mezzo delle tenebre o c’è una piccola luce a dare speranza? «C’è che questa, secondo me, è una fase preziosa. Una fase in cui lo schiacciamento verso l’alto del mercato può imporre a tutto il settore di guardarsi allo specchio e dirsi che è ora di cambiare». In meglio, naturalmente.

L’articolo Prezzo del caffè alle stelle, adesso che succede alla tazzina? è un contenuto originale di bargiornale.