Mixology Experience, dove il beverage incontra il food
Mixology Experience DEM cover
L’evento di riferimento per la bar industry sarà il cuore del padiglione beverage di Tuttofood, valorizzando il legame tra la cultura gastronomica e l’arte del bere miscelato. L’appuntamento è dal 5 all’8 maggio 2025 a Fiera Milano Rho

La quarta edizione di Mixology Experience sarà il cuore pulsante dell’area dedicata al settore beverage all’interno di Tuttofood 2025, la fiera B2B agroalimentare di riferimento in Europa per numeri, eccellenze e innovazioni. Potrete visitare il meglio della Bar Industry nel padiglione 14, completamente dedicato al mondo beverage nazionale e internazionale.

Un appuntamento imperdibile per un professionista del settore che potrà finalmente trovare la reale contemporaneità dell’offerta beverage che rappresenta i locali moderni e completarla con la visita agli altri padiglioni dedicato al mondo food.

I focus sul mondo beverage  

Oltre ai punti fermi della mixology – distillati e liquori, amari e bitter, vermouth e aperitivi, numerosi saranno i focus sul mondo beverage.

  • No & Low Alcohol: il trend della mixology a livello globale Vieni a Mixology Experience per scoprire, assaggiare e conoscere i prodotti più interessanti quali ingredienti fondamentali per la preparazione dei mocktail!
  • Mixology è anche sciroppi! Ingredienti immancabili nella preparazione di cocktail per donare dolcezza, ma soprattutto gusto, aroma e carattere: a Mixology Experience si troveranno i prodotti perfetti per proporre drink unici.
  • Frutta da miscelare. Succhi, estratti, centrifughe, tutte le forme della frutta per dare vita a bevande analcoliche o per dare fresche sfumature ai cocktail.
  • Coffee Mixology: dalla tazzina al bicchiere, è il format di Bartender.it che rende il caffè un vero protagonista in miscelazione, valorizzando la materia prima abbinata a tutti i distillati e liquori presenti sul mercato.
  • Soft Drink per il mondo bar Fresche e dissetanti da servire, divertenti da miscelare, indispensabili da avere: ogni bibita ha il suo spazio in tutti i banchi bar!
  • Beer… Experience La birra è protagonista indiscussa nel mondo del bar: prodotto storico da sempre affine alle ultime tendenze del beverage.
  • Bollicine&Co…cktail Immancabili in una carta dei vini, indispensabili in qualsiasi menù di un bar: in bottiglia o al calice c’è sempre l’occasione giusta per servire delle bollicine… senza dimenticare gli sparkling cocktail!
  • Acqua, anzi acque! Il mercato offre numerose soluzioni tra brand e caratteristiche organolettiche: scegliere quella ideale da servire è fondamentale tra formati, tipologie e posizionamento.

Diventa protagonista a Mixology Experience

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Red Bull Curates, il party che “mette le ali” alla bar industry
Red Bull Curates
Oltre 2500 esponenti della bar industry hanno partecipato al tradizionale party di Red Bull, andato in scena al Peter Pan di Riccione. Una serata all’insegna del divertimento e del business in un’atmosfera incantata. Durante l’ebento è stata presentata la nuova Red Bull Pink Edition Sugarfree al gusto di frutti di bosco

Anche quest’anno Red Bull ha “messo le ali” a Beer&Food Attraction. In occasione della kermesse riminese, tra i più importanti appuntamenti internazionali per il settore food & beverage, si è tenuta la nuova edizione del Red Bull Curates, il grande party organizzato dal marchio di energy drink.

L’evento è andato in scena il 17 febbraio al Peter Pan di Riccione, dove oltre 2500 esponenti della bar industry, tra grossisti, imprenditori del mondo della notte, influencer, calciatori e giornalisti, si sono ritrovati per vivere una notte indimenticabile, all’insegna del divertimento e del business, in una magica atmosfera. Lo storico Club della Riviera per l’occasione è stato infatti trasformato nel “Paese dei balocchi”, ambientazione ispirata dalla famosa favola di Collodi Le Avventure di Pinocchio.

L’allestimento a tema ricreato nel locale ha immerso gli ospiti in un mondo incantato, abitato dai personaggi della favola e animato da trampolieri, cantanti, ballerini e performer, rendendo ogni sala del locale un luogo fatato con una storia da raccontare. A rendere l’evento ancora più unico l’estro artistico di Tanja Monies, vocalist punta di diamante della scena dance internazionale, e i dj Mappa e Nicola Zucchi.

La nuova Red Bull Pink Edition Sugarfree ai succhi di bosco

La serata è stata anche l’occasione per Red Bull per presentare la nuova Red Bull Pink Edition, una versione Sugarfree della gamma di energy drink, al gusto di frutti di bosco impreziosito da note di verbena. In lattina dalla vivace colorazione rosa, la nuova arrivata arricchisce l’offerta del marchio che, oltre all’iconica lattina a rombi blu e argento, disponibile anche nelle versioni Sugarfree e Zero, è stata ampliata negli anni con le Red Bull Edition, che abbinano “le ali” di Red Bull Energy Drink con gusti specifici: White Edition al gusto cocco-açai, Red Edition al gusto anguria, Green Edition al dragoncello, Apricot Edition, albicocca-fragola. A queste si aggiungono le speciali edizioni lanciate a inizio inverno ed estate, ogni anno diverse e diventate un immancabile appuntamento stagionale.

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Fabio Verona: «Al bar è giunta l’ora dei veri professionisti»
Ora più che mai è il tempo di affrontare il lavoro del barista con serietà: formazione, preparazione, accoglienza, orientamento alla qualità non nascono spontanee. I suggerimenti di Fabio Verona, responsabile formazione di Costadoro e autore di “Professione barista”, edito da Tecniche Nuove

Formarsi, formarsi, formarsi! È l’imperativo per chi vuole intraprendere la professione del barista. Una professione da prendere sul serio e che richiede non solo passione, ma tanto studio e pratica. A spiegarlo negli studi di Bargiornale Tv al Sigep 2025 è Fabio Verona, responsabile formazione di Costadoro, figura iconica del mondo del caffè italiano e autore del libro Professione Barista – Manuale pratico per l’espresso perfetto, edito da Tecniche Nuove, dedicato a vuole avvicinarsi al mestiere di barista e a chi, già lavorando, vuole ampliare le sue conoscenze.

Oggi il mercato del caffè è vastissimo e un barista deve conoscere la materia prima, sapere individuare la giusta macinatura, la temperatura dell’acqua, l’estrazione più indicata in base al tipo di caffè, spiega Verona. Ma non solo, perché il barista deve essere anche maestro di ospitalità e guidare il cliente la scoperta di un mondo, quello della caffetteria, in costante evoluzione. Tutti aspetti che richiedono da parte del professionista il continuo aggiornamento delle proprie competenze. Nell’intervista con Ernesto Brambilla, l’esperto fornisce anche alcuni semplici e accorgimenti da mettere subito in pratica per migliorare la qualità dell’espresso.

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A Parigi il rhum cerca la sua strada
mondial du rhum 2025
Dal 12 al 14 febbraio si è svolta la seconda edizione del Mondial du Rhum, pensato per raccontare quello che viene definito “l’ecosistema del rum”. Le tendenze di consumo e lo sviluppo della cultura di prodotto sotto i riflettori

Dietro l’imponente colonnato di Palais Brongniart, ex palazzo della borsa di Parigi, per tre giorni si sono messi in mostra sapori e saperi del rum. Dal 12 al 14 febbraio si è svolta la seconda edizione del Mondial du Rhum, pensato per raccontare quello che viene definito “l’ecosistema del rum”. «Non vogliamo fare un altro evento sul rum», spiega a Bargiornale Patrick Loger, ideatore del mondiale e presidente di Imeg, la società che lo organizza. «Non è un salone di degustazione, ma un luogo di incontro in cui chi decide a livello politico ed economico si ritrova per disegnare un’altra storia. È la ragione per cui ci sono produttori di rum e di barili, aziende di packaging, società di formazione professionale, organismi del governo e dello stato. E ancora professionisti, politici e senatori, per costruire un ecosistema in cui tutti si possono incontrare».

Le tendenze del rhum in Europa

Presenti una ventina di distillatori da Guyana Francese, Polinesia Francese, Capo Verde, Martinica, Réunion, Guadalupa, Benin e Francia, a rappresentare la tradizione francese del rum (che storicamente si affianca a quelle spagnola e britannica, lasciti del colonialismo). Tanti i rum agricoli, ottenuti dalla fermentazione del succo di canna da zucchero in uno dei dipartimenti d’Oltremare francesi o nell’isola portoghese di Madera (quelli prodotti altrove non possono essere chiamati rhum agricole, ma rum da succo di canna). E ancora quelli tradizionali a base di melassa, quelli bianchi e quelli invecchiati in botte o in anfora. E un’ampia gamma di punch e rhum arrangés, rispettivamente rum agricoli e di melassa infusi con frutta, apprezzati in Francia. «In Europa si assiste allo sviluppo di due tendenze: i rum invecchiati e quelli con frutta infusa. In Asia i rhum arrangés hanno una penetrazione sul mercato molto importante», racconta Patrick Loger. «Inoltre le donne apprezzeranno rum non troppo forti come grado alcolico».

L’ecosistema del rhum

«Quando parliamo di rum, dobbiamo tenere conto che ci sono più di 80 paesi che lo producono nel mondo», continua l’ideatore del Mondial du Rhum, che punta a crescere nei prossimi anni. «È un ponte d’ingresso alla cultura di ogni paese. C’è tanta diversità, perché si beve in maniera diversa in ogni paese. È l’unico spirito al mondo che piace alle donne, agli uomini, ai giovani, ai meno giovani, che si beve bianco, ambrato, invecchiato, speziato, aromatizzato alla frutta, nei cocktail… E che si trova anche nella pasticceria e nella cucina. E nella farmacopea. E se recuperiamo i residui della canna da zucchero che abbiamo usato per fare il rum, chiamati bagassa, possiamo fare energia rinnovabile». Eccolo, l’ecosistema del rum che ha in mente Loger. Così nell’elegante Palais Brongniart convivono conferenze, enti che promuovo lo spiritourisme (l’equivalente dell’enoturismo), cantanti d’opera e statue di ghiaccio, persino una sfilata di moda. E a un certo punto fanno capolino pure l’ex presidente francese François Hollande e il rapper e attore JoeyStarr. Uniti nel segno del rum.

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Riprogettare il futuro piantati nel presente

Innovare non è più un lusso, ma una necessità. Nel mondo di oggi, dove il cambiamento è l’unica costante, l’innovazione è diventata una parte integrante della qualità in ogni settore, dal piccolo bar di quartiere alle grandi catene internazionali. La tecnologia, con la sua capacità di accelerare i processi, ci ha spinti a ridefinire il concetto stesso di innovazione: non si tratta solo di fare cose nuove, ma di fare meglio quelle che già conosciamo. Progredire significa sfruttare al meglio strumenti e materie prime contemporanei per migliorare ogni aspetto del lavoro. Pensate a un bartender che usa un mixer di ultima generazione per ottenere consistenza e precisione mai viste prima o un software gestionale che ottimizza gli ordini riducendo gli sprechi. Non è solo una questione di efficienza: è una filosofia che porta a risparmiare tempo, energia e risorse, permettendo di concentrarsi sull’esperienza del cliente. È come dire: “Il futuro non aspetta e nemmeno il ghiaccio nel bicchiere”.

Ma costruire il nuovo non è un esercizio isolato. Deve diventare un sistema, una cultura radicata nel Dna di un’azienda. Progettare il nuovo non può essere una questione occasionale: richiede metodo, costanza e il coraggio di affrontare i fallimenti. Sì, perché la paura di sbagliare è il primo ostacolo al processo creativo. Ogni errore è un’opportunità per imparare, crescere e affinare le proprie strategie. “Il successo non è altro che un fallimento ben raccontato”, diceva qualcuno, e non aveva tutti i torti.

Un aspetto cruciale di questa nuova era è l’intelligenza artificiale, che offre infinite possibilità di co-creazione. Dai chatbot che migliorano l’interazione con i clienti a strumenti che analizzano dati per prevedere trend e comportamenti, l’intelligenza artificiale sta cambiando il modo in cui concepiamo e realizziamo le novità. Tuttavia, sfruttare appieno queste opportunità richiede competenze, apertura mentale e una visione a lungo termine. È un po’ come avere un superpotere: utile solo se sai come usarlo. Innovare, però, non significa solo lanciare un nuovo prodotto o aprire un locale dal design all’avanguardia. Questo è solo l’inizio. Il vero valore dell’innovazione si vede nella capacità di costruire attorno a queste idee un ecosistema solido: un business plan efficace, un piano marketing e di comunicazione strategico, una brand activation capace di trasformare un progetto in un successo sostenibile. Come dire: non basta shakerare bene, devi anche saper versare nel bicchiere giusto. In altre parole, l’innovazione è molto più di una parola alla moda. È un impegno continuo che richiede creatività, coraggio e visione.

Che si tratti di un nuovo preparato per la prima colazione, di una formula gestionale più efficiente o di un locale che ridefinisce l’esperienza dell’ospite, innovare vuol dire accettare la sfida del cambiamento e trasformarla in opportunità. “Se non stai innovando, stai indietreggiando”, disse una volta Walt Disney e ribadì anni dopo Steve Jobs. E nessuno vuole rimanere indietro, nemmeno l’ultimo cliente al bancone. •

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Matteo Figura: «La colazione guida il recupero»
Consumatori più “attivi” sulla prima occasione di consumo della giornata, destinata a crescere più velocemente. Lo spiega il direttore Foodservice di Circana Italia, che traccia le prospettive per il mercato fuoricasa nel 2025. Un consiglio per i gestori? Differenziare per distinguersi

Dopo il rallentamento dell’ultimo anno, il mercato del fuoricasa tornerà a crescere, sebbene a ritmi più lenti rispetto a quelli che hanno caratterizzato il periodo postCovid fino al 2023. Matteo Figura, direttore Foodservice di Circana Italia, intervistato al Sigep da Andrea Mongilardi, vicedirettore di Bargiornale, traccia le prospettive per il settore per il 2025.

In un contesto generale che resta difficile, le prospettive migliori riguardano la colazione, destinata a crescere più velocemente rispetto ad altri momenti di consumo. Il consiglio dell’esperto ai gestori per essere competitivi e conquistare un pubblico di consumatori diventato negli ultimi anni più esigente e attento è differenziarsi, innovando l’offerta e puntando su prodotti ad alto valore aggiunto.

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Quanto è difficile avere un alambicco in un bar? L’esempio di Himkok
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Spoiler: difficilissimo, ma ne vale la pena. Dar vita a un cocktail bar con microdistilleria all’interno, anche in Norvegia, è un percorso a ostacoli

Si trova appena si accede al bar, passando per una porta stretta tra i mattoni di un palazzo storico e vincolato nel centro di Oslo: l’alambicco in rame che ha contribuito a rendere Himkok un unicum nel panorama dell’ospitalità mondiale (decimo agli ultimi World’s 50 Best Bars). Un cocktail bar che è anche microdistilleria: più dell’80% degli ingredienti alcolici utilizzati al bar, capitanato dal bar manager Maroš Dzurus, viene prodotto internamente grazie all’alambicco firmato da Christian Carl, marchio tedesco che risale addirittura al 1869. Centottanta litri di volume, struttura ibrida in rame e la possibilità di spaziare dall’utilizzo pot still a quello in colonna (sei piatti), che permette a Himkok di produrre praticamente qualsiasi tipologia di distillato, dalla ormai celebre aquavit alle referenze più complesse.

Sfida numero uno: il rebus di un palazzo storico risalente al 1826 e vincolato ai beni culturali, in condizioni fatiscenti. Potur e compagni combatterono con la proprietà e con le finanze risicate, rimettendo a posto tubi scassati e rispolverando materiale originale, prima di riuscire a trovare finalmente un finanziamento sufficiente a prendere il volo: «Ho commesso il grande errore di pensare di poter rinnovarlo da solo, senza il sostegno del proprietario, che anzi avrebbe accettato di concedermi un affitto più leggero, per questo. Così mi ci sono voluti due anni per una ristrutturazione completa e ben più complessa di quello che avevo previsto».
Nel progetto, uno degli ostacoli è stato incastrare l’alambicco dov’è adesso. Quando Himkok aprì i battenti nel 2015, aveva bisogno di una licenza che permettesse di produrre e vendere alcolici nello stesso posto. Talmente nuovo era il concetto, sviluppato dal proprietario Erk Potur (partecipò anche Yunus Yildiz, oggi a Svanen), che non esisteva una burocrazia specifica per certificare le intenzioni: «La Norvegia ha numerose regole complesse in merito alla produzione e vendita di alcol. Credo siamo l’unico bar al mondo che ha il permesso di custodire 1.000 litri di etanolo tecnico al 96% – di fatto moonshine, che è il significato del nome Himkok, ndr – dietro il bancone». E il vuoto normativo significò, alla fine, campo libero per procedere, dopo la stesura di un accuratissimo manuale di gestione, che include esercitazioni antincendio e linee guida per la salute. Anche il progetto del bar ruota attorno alla sicurezza, vista la presenza dell’alambicco. Un importante cortile alle spalle è stato previsto affinché un’eventuale esplosione dell’alambicco adiacente, che avverrebbe verso l’interno grazie a materiali appositamente resistenti, si scarichi lontano dalle persone presenti. Poi il divieto di distillare durante le ore di apertura del bar, un sistema d’aerazione di massima potenza, sensori per lo spegnimento automatico e un’intera parete di acciaio e vetro antiesplosione a protezione dell’ambiente. «È costato più il vetro (68.000 euro) dell’intera struttura per la distilleria, incluso l’alambicco (60.000 euro)! Ma è ovviamente stato necessario, è un vetro praticamente antiproiettile, che ci permette di operare nella massima sicurezza».
Dettaglio rilevante: quella norvegese è una delle tassazioni sugli alcolici più pesanti al mondo, tanto per non farsi mancare nulla. «Per una distilleria artigianale è una bella sfida», prosegue Potur, «perché generare un profitto diventa difficile. Al 2025, le bevande alcoliche con un volume superiore allo 0.7% hanno una tassazione di 9.03 Nok (0,77 euro) per punto percentuale su litro. Vuol dire che una bottiglia da litro di un distillato al 40% ci costa oltre 30 euro di accise, cui si aggiunge l’Iva al 25%. È vero, comunque, che tra ambizione e stupidità c’è solo una sottile linea rossa…». Ne è valsa la pena eccome, a guardarsi intorno qui.

 

 

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Sakè Boutique Izakaya è il nuovo indirizzo romano dove mangiare e bere come in Giappone
Dai soci di Sushi e Noodles, un format che riprende lo stile delle “trattorie” nipponiche, dove si va a bere e mangiare confort food dopo il lavoro

«Se pensavate di aver già visto un izakaya in Italia, forse non siete mai stati in un vero izakaya giapponese». Parole di Giovanni Zhou, fondatore di Sakè Boutique Izakaya, nuovo locale di Roma che si inscrive nel format nipponico che sta spopolando negli ultimi tempi (ne abbiamo parlato sul numero di novembre 2024 di Bargiornale). Tuttavia, dice Zhou, è spesso reinterpretato con qualche deviazione dal concetto originario: «La parola izakaya viene dall’unione di tre termini, la parola “i” (sedersi), “saka” (bevanda alcolica) e ya (negozio), quindi un posto semplice, dove andare a bere dopo il lavoro e dove la cucina è composta da piatti familiari, diremmo da confort food».

È a partire da questo concetto che è quindi stato impostato questo locale romano, in zona Aventino, che fa parte della società (che appartiene ai fratelli Yuri e Giovanni Zhou, affiancati dai soci Alessandro Hong e David Giannini) che già ha disseminato la città di insegne di Sushi e Noodles, una delle quali è a pochi passi. Garante dell’originalità del format, la graziosa Mari Kubota, originaria di Osaka, dove ha studiato cucina e lavorato in izakaya, mentre Giovanni Zhou si occupa in particolare della selezione dei sake, di cui è sommelier. Al momento la carta dei sake consta di una trentina di etichette (numero destinato ad aumentare), da esplorare sia in purezza che in miscelazione. Non manca anche una selezione di whisky e gin, mentre la cocktail list è firmata dal bar manager Giordano Ciccolini, che gioca sull’inserimento di queste referenze in stile orientale: sapori intriganti come il Fuji Winter a base di bitter, Sake junmai ginjo gekkeikan (aromatico e profumato), spuma hibiscus e rose, oppure il Sake Highball che combina il sake con la dolcezza del “banana liqueur” e la ricchezza della soda al cocco e Yuzu Ginger.

Il food pairing fa parte dell’esperienza, con piatti “da trattoria” come l’Oyakodon (chiamato anche Padre e figlio), un donburi di riso bianco con pollo, cipolla, e tuorlo crudo. E ancora l’Hitsumabushi, piatto tradizionale a base di anguilla arrosto unagi servita su riso, o una scelta fra Gyoza e Udon, i classici spaghetti giapponesi. Fra gli obiettivi di Sakè Boutique anche fare divulgazione. Nella sala da circa 20 coperti di questo locale dai colori chiari e con un arredamento che riprende in maniera moderna e delicata i riferimenti all’Oriente (come le lampade in carta di riso), l’intenzione è di organizzare degustazioni e abbinamenti guidati da sake sommelier, con masterclass e momenti di incontro per approfondire la cultura della bevanda di riso.

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Luciano Sbraga: «Segnali positivi per il 2025»
Con il direttore del Centro studi Fipe-Confcommercio analizziamo le prospettive del mercato del fuoricasa per il 2025

Il 2025 si prospetta come un altro anno di crescita per il settore del fuoricasa. Certo, di crescita moderata, per via di un quadro macroeconomico che resta ancora incerto, a causa delle tensioni che agitano il panorama internazionale e che potrebbe portare a una risalita dei prezzi delle materie prime e dell’energia, minando così la capacità di spesa dei consumatori. A tracciare le previsioni per l’anno in corso è Luciano Sbraga, direttore Centro Studi Fipe-Confcommercio, negli studi di Bargiornale Tv a Sigep 2025.

Nell’intervista con il nostro Ernesto Brambilla, Sbraga fa un bilancio anche dell’anno appena passato. Tra i diversi dati positivi quello relativo all’occupazione, che con oltre 1,4 milioni di addetti nei pubblici esercizi è tornata sui livelli pre-pandemici.

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Schmuck, a New York una nuova apertura di un cocktail bar tutt’altro che stupido
Dopo l’esperienza del Two Smucks di Barcellona, il duo Aljaff e Larrouy riparte da New York con un locale in stile Space Age diviso in due ambienti

«A fine giornata, non siamo altro che un gruppo di schmuck che si associano per fornire momenti memorabili ai nostri clienti», parole di Moe Aljaff, uno dei protagonisti, insieme a Juliette Larrouy, della nuova e attesissima apertura di New York, che si chiama proprio Schmuck. Il termine, di derivazione Yiddish, in slang americano sta per stupido, imbranato. Aperto a Manhattan, nell’East Village, a metà gennaio, questo locale è l’approdo di una serie di peregrinazioni fatte dai suoi fondatori.
Aljaff, nato in Iraq e cresciuto a Västerås, in Svezia, iniziò la sua carriera nei music club, con un passaggio per il famoso Himkok di Oslo. Lasciata la Svezia diciottenne, va in India, Thailandia, Amsterdam, e infine in Spagna, dove nel 2017 Aljaff aprì il five-star dive bar Two Schmucks nello storico quartiere El Raval di Barcellona, e fu un successo immediato, culminato con il raggiungimento del sesto posto nella classifica World’s 50 Best Bars nel 2022. Qui conosce la francese Larrouy, che dopo aver iniziato la sua carriera dai ristoranti stellati di Parigi, era passata al mondo del bar, prima nella capitale francese al Le Syndicat 2016, quindi a Barcellona al Two Schmucks.

Nel 2023 Aljaff e Larrouy lasciano Barcellona e decidono di trasferirsi negli Stati Uniti, senza dimenticare il progetto da cui erano partiti. In un primo passaggio a Miami conoscono il loro attuale business partner, Dan Binkiewicz (co-proprietario di Sweet Liberty e Medium Cool a Miami e Old Glory a Nashville) e con lui decidono di investire su New York, per aprire Schmuck.

Nel nuovo team newyorchese anche Floriane Groux ed Eliane Naeger, conosciuti al Two Schmucks. Tutte donne, a parte Aljaff, che dice: «Sono cresciuto con quattro sorelle, quindi per me è un feeling di sicurezza, inoltre New York mi ha dato subito una sensazione di familiarità, che si è rispecchiata anche sul lavoro: ho già aperto tre altri bar, ma non mi son mai sentito così confident come in questa città».

Il bar, su uno spazio di circa 150 metri quadri, è stato co-progettato da Aljaff e Larrouy, in collaborazione con Arash Ghassemi e Pauline Deckert, che hanno impostato un’estetica ispirata a Mid-Century Modern, Space Age e ai movimenti di design brutalista. Molti i pezzi d’arredo vintage dall’Europa che sono delle vere e proprie chicche di design, mentre per la parte operativa sono stati gli stessi Aljaff e Larrouy, muniti di attrezzi, a occuparsi della ristrutturazione, non senza consultare ChatGpt parecchie volte, come hanno ammesso.
Schmuck si divide in due ambienti, ciascuno con la sua drink list, una per la living room e una per la kitchen: in tutto sono 18 drink alcolici (tutti a 19 dollari) e un mocktail, il Melon Michelada (a 11 dollari). La Living room, che è la sala principale, conta una cinquantina di posti a sedere e ha un bancone bar in acciaio inossidabile. Qui si possono assaggiare drink come Fika (a base caffè, con Bacardi 8 e Mr Black), il cui nome è ispirato alla pausa caffè e merenda alla svedese; Blanka, ispirato dalla classica insalata francese invernale di finocchio, con vinaigrette di senape, whiskey Four Walls, finocchio e pecan; Larb Gai, con Remy Martin, arachidi, riso, erbe ed olio di chili. La sala più piccola, la Kitchen (24 posti a sedere), ha una sua entrata indipendente. Qui troviamo, tra gli altri, Le Banané, con vodka Grey Goose e banana; Muesli con Old Forrester Bourbon con fiocchi d’avena tostati, miele e lamponi. «I cocktail sono essenzialmente un linguaggio – spiega Aljaff -. Quando hai provato di tutto e l’hai poi riprovato, hai imparato le parole e poi lentamente impari a costruire frasi, a un certo punto scopri di parlarlo. Siamo sempre a caccia di sapori, Juliette ha lavorato in un ristorante stellato, per cui contribuisce con le sue conoscenze alla creazione dei cocktail». Non manca un accompagnamento food, con un menu degli snack creato in collaborazione con Lobb Berlino e il suo fondatore Arash Ghassemi.

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