Strategie per crescere: tre idee (più una) da Luca Salvioli, manager del Gaia Bar sul Lago di Como
Consigli per migliorare l’offerta da una start up sul Lago di Como, il cocktail bar Gaia del boutique hotel Musa. Condivisione, sorrisi e un abbraccio alla concorrenza: così Luca Salvioli e il suo team puntano a fare la differenza

«Non servono braccia, ma persone. Non servono imposizioni, ma condivisione delle scelte, anche di quelle importanti. La concorrenza? Li abbiamo invitati tutti qui». Luca Salvioli ha 29 anni e un passato da judoka a livello professionistico. Determinazione e disciplina si notano subito. Nel 2023 ha vinto, gareggiando per Campari Academy, la tappa di Genova di Baritalia. Quest’anno era fra i semifinalisti della Campari Bartender Competition. E ci vuole riprovare l’anno prossimo. «Merito del judo: quando mi metto in testa una cosa, quella è».

Luca Salvioli, bar manager del Gaia Bar presso l’hotel 5 stelle Musa Lago di Como

Da prima dell’estate Salvioli è il bar manager del Gaia Bar, all’interno del boutique hotel 5 stelle Musa Lago di Como, a Sala Comacina. Posizione ereditata dopo l’uscita del predecessore Edoardo Felsini, che lo aveva voluto come suo assistant all’apertura del Musa, nel 2022.

L’hotel di lusso – con 12 camere appena e annessi cocktail bar e ristorante, aperti anche al pubblico – ha appena festeggiato, a giugno, i suoi primi due anni. Ancora una start up, guidata a distanza dal principale investitore, la famiglia Grey – con tanta esperienza nel mondo hospitality – e in loco dai giovanissimi (25 anni) Matteo Corridori e Robert Moretti, Executive Director & Chef di Musa Lago di Como, e dal Food & beverage manager Corrado Casiraghi.

Tre cose da fare per alzare il livello

Torniamo a Salvioli e al suo team, cinque persone lui compreso (in tre sono al banco, in due al servizio) per il Gaia Bar, che apre alle 7 del mattino e chiude a mezzanotte. Tutti insieme stanno lavorando per far crescere il livello e il nome del cocktail bar e del ristorante al contempo. «L’obiettivo è migliorare, lavorare bene, entrare in qualche classifica importante e, insieme, stringere ancora di più la relazione con i nostri clienti». A Luca abbiamo chiesto che cosa serve per arrivare dove vuole essere di qui a un anno.

«Prima di tutto, dobbiamo finire di costruire il team. Io non ho bisogno di braccia, ma di persone che devono credere in quello che crediamo noi. Solo così, e solo se stanno bene, si può crescere. Sembra retorica, invece è tutto molto reale. Trovare le persone giuste è la sfida dell’oggi».

Secondo punto ancora sulla squadra, ma con un altro taglio. «Direi che è fondamentale impostare un lavoro di squadra anche per le decisioni importanti, come ideare la nuova drink list. Io posso proporre la migliore idea al mondo per me, ma poi sono i nostri ragazzi che devono venderla al tavolo. Se non ne sono convinti o se non conoscono la proposta, abbiamo un problema. Quindi va trovata la scelta giusta per tutti, e per me lo si fa coinvolgendo tutti fin dal momento creativo». Per inciso, la nuova drink list è in lavorazione e vedrà la luce nella primavera 2025.

Terzo pilastro, la concorrenza. «Il mio suggerimento è: invitare tutti da te. Fare network e confronto significa azzerare l’astio o le invidie. Al nostro secondo compleanno abbiamo invitato i team di Villa d’Este, del Mandarin Oriental e de Il Sereno al Lago. Il top dell’offerta di cocktail sul territorio. Abbiamo apparecchiato una guest di cinque ore, tutti insieme, e ci siamo confrontati su tutto. Una vittoria grande per tutti».

C’è poi una quarta indicazione, che più che un consiglio è una parola chiave. «Confidenza. Quella è la forza di un bar team. Noi possiamo fare la qualunque là dietro, ma se non creiamo tutto il contesto attorno al drink, il drink sarà inconsistente. Confidenza che si deve creare con il cliente, nella giusta misura. È una questione di atteggiamento e di fiducia, parte dai sorrisi e arriva ai gesti».

Gli interni del Gaia Bar, con bancone e bottigliere

Da locale notturno allo chef stellato: gavetta a 360 gradi

Luca ha un bel po’ di esperienza alle spalle: i primi passi al bar li ha mossi a 13 anni. «Dopo la gavetta in un piccolo paese in provincia di Salerno, a 18 anni ho deciso di spostarmi a Milano. Un sogno. Ho fatto di tutto, dai locali notturni ai baretti. Ho fatto una esperienza importante a Prima Cafè (oggi chiuso, ndr). Seguivo mille corsi, ma il Campari Bar Master è stato il più importante e quello che mi ha segnato di più. Dopo mi si sono aperte mille strade. Mi sono spostato a Livigno per l’apertura di Kosmo Taste the Mountain di chef Norbert Niederkofler. Lì, con altri del team, abbiamo ideato un bellissimo concetto di drink list, tutta basata sul no waste e su prodotti di montagna, in linea con la filosofia che guida lo chef. Devo tantissimo a quella esperienza».

Far parlare le drink list con il brand dell’hotel

Altro concetto quello che ha contribuito a sviluppare al Musa. Un menu che ha tenuto perfettamente durante i primi due anni di vita del cocktail bar e che è apprezzatissimo dai clienti. La drink list dei signature (dalla quale derivano più del 55% degli scontrini del Gaia) replica i nomi delle 12 camere dell’albergo. Rita Levi Montalcini, Eva Peron, Emmeline Pankhurst, Virgina Woolf, Marie Curie, Amelia Earhart, Giovanna d’Arco, la Regina Elisabetta, Coco Chanel, Margaret Thatcher, Rosa Parks e Serena Williams: per ciascuna di queste muse il bar team ha inventato un cocktail che ne richiamasse le origini e le gesta.

I cocktail signature sono in carta tra i 22 e i 24 euro. Il best seller porta il nome di Amelia Earhart, celeberrima aviatrice statunitense. Espolon blanco, Mezcal Montelobos, mais, cajun («una miscela piccante di spezie tipica degli Stati Uniti, scelta per dare un mood da bbq al drink in onore delle origini di Amelia, che era del Kansas») e aria di sale, come a riprodurre le nuvole che l’aviatrice attraversava nei suoi viaggi da record. Fortunatissimo al banco il Rita Levi Montalcini, un Negroni ridistillato home made con un tocco in più di bitter e di gomma arabica al polline. Particolare e furbo il Virginia Woolf: Vodka Ketel One, pomodorino giallo e pomodorino rosso bilanciati a seconda dell’umore del cliente («chiediamo come si sente e ci regoliamo di conseguenza», spiega Salvioli, «ispirati dal bipolarismo della Woolf. Come avessimo due drink in uno»), mezcal e spezie.

Preziose e curate le illustrazioni dei 12 drink, accompagnate dalla “legenda” a pallini, per far capire subito al cliente quanto il drink sia bitter o quanto sweet, quanto speziato e quale il livello di acidità. «Preferiamo che sia subito chiaro che cosa si sta bevendo, pensiamo sia ancora più importante per guidare il cliente. Anche se, va detto, mediamente abbiamo al bar una clientela attenta e, spesso sotto mentite spoglie, con una cultura del bere sviluppata. Specie se sono clienti che arrivano dall’estero. Ricordiamo un insospettabile signore inglese in maglietta e pantaloncini, capace di darci del filo da torcere su distillati e cocktail», spiega Salvioli. «Uno stimolo in più per tutti».

La carta vincente all’ora dell’aperitivo è un curatissimo menu di snack studiato in collaborazione stretta con la cucina del ristorante. La lezione sulla criticità dell’offerta food per fare risultati al cocktail bar è perfettamente esposta grazie ai bao al vapore,  con gambero di Mazara del Vallo marinato e cipollotto, o agli assaggi di riso croccante con ossobuco di vitello e limone.

Verso la nuova drink list a primavera 2025

Ora la sfida è fare di più. Massima riservatezza sul prossimo progetto di drink list, sulla quale c’è un grande investimento di energie. Scappa solo uno spoiler: si lavora attorno al concetto di inconscio. Tutti insieme, naturalmente.

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