Adriano Cafiso racconta l’esperienza nel continente indiano di piantagioni sperimentali protette da alberi da ombra nella regione di Odisha.
Con l’amico Giovanni Balistrieri, Adriano Cafiso, field operation manager, gestisce la Finca Balistrieri, la più antica piantagione di caffè italiana con sede a Santa Croce Camerina (Ragusa). Opera quale coffee finder e ha trascorso più anni in varie aziende agricole durante il periodo della raccolta e della lavorazione, aiutando gli agricoltori. Riportiamo con piacere il racconto di un incontro e un’esperienza molto interessante con l’Odisha Coffee, in India.
«Una delle mie esperienze più significative e impattanti in una piantagione di caffè è stata sicuramente l’incontro con il dottor Pradeep Mohanty nella sua Farm House of Deomali Plantation, nella parte nord orientale dell’India. Dieci anni fa decisi di seguire per la prima volta una stagione di raccolta di caffè in India, da novembre a gennaio; da quel momento e per tutti gli anni successivi, sono tornato.
A parte il fascino che può esercitare in generale il Paese, il perché di questa scelta non risiedeva nel particolare sapore del suo caffè, né nella sua fama di essere molto consumato in Italia (siamo i primi importatori di caffè dall’India); quello che mi colpiva di più era il sistema di coltivazione: in India non esiste una sola piantagione non interamente ricoperta da alberi da ombra, un sistema chiamato agroforestale.
Il maggiore problema che avevo riscontrato durante i miei viaggi riguardava i sistemi di coltivazione aperti o senza ombra, ad esempio in Brasile dove per le coltivazioni estensive si era perso quasi il 97% dell’Amazzonia Atlantica o in Colombia e in Congo dove la deforestazione era incontrollata: sistemi aperti insostenibili e che avrebbero dovuto essere in qualche modo contrastati. Al contrario, l’India si presentava come esempio concreto e di alternativa nella produzione del caffè. La legislazione europea ha recentemente accolto questa visione, forse in maniera anche troppo ambiziosa, bandendo le origini provenienti da deforestazioni: questa potrebbe essere una rivoluzione ma manca ancora una definizione certa e occorrerà stabilire le procedure secondo cui potranno avvenire i controlli.
Le coltivazioni di caffè in un sistema chiuso o agroforestale permettono tantissimi vantaggi, tra cui la possibilità di coltivare negli stessi spazi altri prodotti, come frutta, spezie e legumi, una riduzione significativa dell’uso di concimi e una lotta alle avversità atmosferiche; dunque l’idea di ripiantare alberi da ombra in piantagione, spesso alberi indigeni, ha tutta una serie di vantaggi che danno al caffè, bevanda criticata per il suo passato coloniale e di sfruttamento, un significato finalmente diverso, quasi salvifico.
Quando a febbraio 2022 era già terminata la stagione della raccolta in Tamil Nadu, Marc Tormo, instancabile viaggiatore ed esperto di caffè, mi mostrò un video di un suo recente viaggio a Koraput, e alcuni articoli riguardo le coltivazioni di caffè in Odisha.
Situata nei Ghati orientali, ad un’altezza di mille metri sul livello del mare, l’Odisha si affaccia lungo la costa orientale sul Golfo del Bengala, fuori dal belt tropico, quindi lontano da dove normalmente si coltiva il caffè.
Il mio primo incontro a Koraput fu con la direzione del Coffee Board e il suo direttore, Upendra Kumar. Mi raccontò la storia delle piantagioni, che esistevano già in via sperimentale nel 1930; negli ultimi anni, l’amministratore del progetto dell’Agenzia per lo sviluppo tribale integrato di Koraput, Karu Suram, ha ricevuto centinaia di richieste da parte delle comunità tribali per aiutare a convertire terre desolate e terre comuni in piantagioni di caffè. Tanto che il governo a deciso di stanziare dei fondi per riforestare ben cinquantamila ettari di terra con piante di caffè, una sfida al cambiamento climatico e ai fenomeni erosivi, insieme ad un concreto e grande interesse delle comunità tribali, che tendono a diversificare il proprio reddito attraverso le piantagioni di caffè e che coltivano all’interno una grande varietà di spezie.
Lo stesso giorno Upendra mi portò a visitare le nuove nursery dove decine di donne erano impegnate a germogliare e preparare la terra per centinaia di nuove piante, lui stesso si offrì di accompagnarmi poi per l’incontro più importante, avevo infatti deciso di alloggiare alcuni giorni presso la Deomali Plantation.
Erano appena passate le tre del pomeriggio e il caldo afoso e l’umidità delle risaie rendevano l’aria quasi irrespirabile, quando all’improvviso mi immersi in una collina lussureggiante di circa cento ettari, completamente riforestata. Upendra mi fece notare da subito la differenza di temperatura e la frescura che entrava dai nostri finestrini, «questa piantagione risale al 1986, ha solo 35 anni, ed è un esempio lampante di come l’uomo può intervenire favorevolmente sull’ambiente».
Pradeep Mohanty, gestore e fondatore della piantagione, è un botanico che decise di lasciare il suo incarico presso l’Istituto Central Rice Research di Cuttack nel 1982 e intraprese un viaggio in Odisha per localizzare la terra per quello che era il suo “sogno” trovando la sua destinazione a Sundhiput. Piantò diversi ettari già divisi in microlotti per singole varietà di Arabica. «È stata molto dura – fu la prima cosa che mi disse quando iniziammo la visita -, soprattutto nei primi anni, ma sapevo cosa fare con il terreno ostile. Attraverso le piantagioni scientifiche sono riuscito a convertire le avversità in vantaggi, il segreto di tutto è questo».
Oggi, circa 72 ettari della sua piantagione producono 45 tonnellate di caffè l’anno che la popolazione locale definisce il caffè Koraput.
Senza strade ed elettricità, Mohanty operava dalla sua tenda portatile cercando di convincere la gente del posto a riprendere i terreni incolti. Poi acquistò altra terra nell’adiacente villaggio di Nuaput e coinvolse la popolazione nella sua ricerca. Oltre al caffè e all’agricoltura biologica, addestrava gli abitanti del villaggio, che affettuosamente lo chiamano “coffee Buddha”, a proteggersi dalla malaria e dai morsi di serpente. «Le banche non erano interessate a concedere prestiti a un coltivatore esordiente in un terreno inospitale. Sono stato costretto a coltivare lenticchie e varie verdure per sopravvivere, perché ci vogliono cinque anni perché i chicchi di caffè crescano», ricorda.
La vasta gamma di varietà di Coffea Arabica coltivate nella piantagione Deomali offrono oggi un ricco arazzo di aromi e profili di sapori, ciascuno strettamente legato alla composizione genetica delle piante. Il gusto del caffè Koraput differisce sensibilmente dagli altri indiani.
Mohanty fu un apripista e molte persone provenienti dalle città e altri locali hanno iniziato a coltivare il caffè. Adesso esiste anche un sindacato chiamato Odisha Coffee Growers Association e ci sono ampi margini per la sua crescita.
«Karnataka, Kerala e Tamil Nadu hanno raggiunto un punto di saturazione ed è il momento opportuno per l’Odisha di espandersi e investire nel settore del caffè, poiché disponiamo di terreni – riprende -. La regione produce circa 250 tonnellate di caffè all’anno, ancora troppo pochi per poter esportare da soli e non dipendere dalle aziende con sede a Bangalore. Se il governo estenderà il sostegno, sono sicuro che l’Odisha diventerà il caffè del paese capitale in futuro».