Sette cocktail Perrier per sette locali della Milano Design Week
In occasione della Milano Design Week, Perrier ha presentato la nuova bottiglia ltd edition firmata da Philippe Starck e la Cocktail List di drink creati appositamente dai barman di sette locali top di Milano.

In occasione della settimana Milano Design Week (16-21 aprile 2024), il gruppo Sanpellegrino (Nestlé Waters) ha lanciato 7 inediti signature cocktail a base della storica (1903) eau pétillant Perrier, coinvolgendo altrettanti mixologist milanesi, le cui ricette sono state raccolte in una apposita The Perrier Cocktail List.

Allo stesso tempo è stata lanciata una limited edition firmata dal geniale designer francese Philippe Stark della iconica bottiglia in vetro verde e tappo a vite a forma di clavetta. Realizzata nei formati 31,1 e 72,7 cl, la bottiglia si caratterizza per l’aggiunta di una serie di anelli in rilievo, ispirati alle lenti ottiche Fresnel (adottate nei fari di marina), che la rendono antiscivolo, più maneggevole e dai particolari giochi ottici.
Nota per la sua marcata frizzantezza, l’acqua Perrier sgorga dalla sorgente di Vergèze, al confine tra la Camargue e Nîmes.

Perrier by Philippe Starck

Fragumball by Cà-ri-co

Fondato nel 2020 da i mixologist Domenico Carella e Lorenzo Ferraboschi, Cà-ri-co è un cocktailk bistrot dedicatio al casual dining and drink (via Savona 1, zona Porta Genova). Creato da Francesco Polo, Fragumball è un mix di whiskey, umeshu (liquore giapponese alle prugne), succo di fragola e Perrier, con un tocco di assenzio. Servito in un bicchiere highball con iceblok, vanta una guarnizione di “cuoio di fragola”.

Gazé Vert by Officina Milano

Come dice lo stessa insegna, Officina Milano è un cocktail bar ricavato in una preesistente officina meccanica di cui mantiene l’atmosfera, con l’aggiunta di un arredo vario e “barocco” (via Giovenale 1, zona Porta Genova). Fabio Cassini presenta Gazé Vert, drink che fonde gin, basilico & lemongrass, verjus (succo acido di uva) e Perrier, rifinito con un garnish di ghiaccio al basilico.

Stel by Moebius 

Noto tapas bistrot & cocktail bar in zona Stazione Centrale (via Cappellini 25), Moebius propone Stel, vera “arte liquida” di Lorenzo Querci e Giovanni Allario composto da blended whiskey infuso al Palo Santo (incenso) con crema di pesca, succo di limone, vaniglia e panna miscelati nel foamer, con aggiunta di Perrier.

La Flemme by Casa Tobago

Sorto al posto della mitica discoteca Plastic di viale Umbria 120 (zona Porta Vittoria), Casa Tobago è un oven grill bar dagli arredi caraibici. Albero Corvi vi ha creato La Flemme, mix di gin, sherry amontillado (invecchiato), cordiale al pandan (pianta tropicale) e Perrier. Servire con metodo stir & strain, su cubo di ghiaccio, arricchire con uno spray di torba e una meringa.

La Belle Vie by Nik’s & Co

Raffinato cocktail bar restaurant in zona Stazione Centrale (via Schiaparelli 14), Nik’s & Co propone il drink La Belle Vie firmato da Marco Garavaglia composto da gin con un cordiale di Champagne, guarnito con una foglia di ostrica e Perrier.

Starlight by Dry Milano

Edris Al Malat del Dry Milano, noto pizza & cocktail bar della zona di Brera (via Solferino 33), ha miscelato Starlight, mix di vodka, vermouth bianco, cordiale al kiwi e Perrier, guarnito da una chips di kiwi disidratato.

The Dome P by The Dome

Sulla terrazza di The Dome, italian restaurant & rooftop bar di via Mazzini 2 (nei pressi di piazza Duomo), Michele Celozzi prepara The Dome P, mix di vodka salata al mou, vodka liscia, sciroppo di toffee, un tocco di succo di lime, Perrier, guarnito con una spuma di albume e sale nero sull’esterno del bicchiere.

 

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Don Papa Experience al Fuorisalone tra cultura del rum, design ed eco-sostenibilità
Debutto in grande stile alla Design Week milanese per Don Papa, premium rum filippino distribuito da Rinaldi 1957. Tante le iniziative in calendario al Bobino, trasformato per l’occasione in una lussureggiante giungla, tra laboratori, degustazioni, feste a tema e riflessioni sul tema Materia Natura. Da ammirare anche i complementi d’arredo eco-sostenibili dell’allestimento e un’opera esclusiva dell’artista urbano TVBOY

Un evento nell’evento. È proprio il caso di dirlo parlando della Don Papa Experience Lab in onda al Fuorisalone presso il Bobino di piazzale Genova 4 a Milano convertito per l’occasione in una “giungla” dove andare ad esplorare la cultura del rum e del design, le creazioni di Rippotai, start up di home decor eco-sostenibile, e una nuova opera intitolata “Save Planet Earth” creata da TVBOY, artista urbano fra i più celebrati e riconoscibili. A fare gli onori di casa, nella giornata di apertura dell’evento, Giuseppe Tamburi, presidente di Rinaldi 1957, e Valentina Ursic, direttore marketing, che hanno spiegato la filosofia di un’iniziativa perfettamente aderente all’immaginario e al concept di Don Papa: rum filippino ispirato alla figura di Papa Isio, eroe rivoluzionario e sciamano dell’isola di Negros. Tante le iniziative in cartellone a partire dal Sensory Tasting Don Papa Rum, laboratorio per scoprire le sfumature sensoriali di Don Papa attraverso degustazioni guidate dal brand ambassador Paolo Vercellis. Tra le proposte The Darker Don, inedito cocktail creato per celebrare il Fuorisalone (in fondo all’articolo la ricetta).

Don Papa Masskara, arredi eco e un’opera che invita alla riflessione

In scaletta anche il Masskara Party ispirato all’iconico Masskara Festival, tradizionale festa in maschera che si tiene a Bacolod capitale dell’isola di Negros nelle Filippine e con protagonista Don Papa Masskara, edizione premium che viene invecchiata all’interno di botti di rovere americano, prima di essere miscelata con un’infusione di ingredienti tropicali delle Filippine. Il tutto all’interno di una cornice sintonizzata con i valori di Materia Natura, il tema del Fuorisalone 2024, che pone risalto la sostenibilità come principio guida e valore fondamentale nel processo creativo e nella progettazione. Ed è, infatti, proprio il caso dell’allestimento dell’oasi al Bobino curata per Don Papa da Rippotai, start-up di home decor eco-sostenibile, con sedute e tavoli realizzati in cartone FSC con sistemi ad incastro senza uso di colle.  Tra i complementi anche il SOUNDPOTAI, pouf musicale che connettendosi via Bluetooth diffonde il suono grazie alle vibrazioni del cartone, trasformando l’ascolto in un’esperienza multisensoriale inclusiva. Al centro di tutto, l’opera “Save Planet Earth” creata ad hoc da TVBOY, artista urbano, che invita a una riflessione in tema e, in particolare, sui rischi ambientali che corre il nostro pianeta.

RICETTA COCKTAIL “THE DARKER DON”

Ingredienti 
1,5 oz Don Papa Rum
1/2 lime
3,4 oz Ginger Beer
ghiaccio

Procedimento
Spremere metà di un lime in un tumbler alto. Versare il rum, aggiungere il ghiaccio, la ginger beer e mescolare.

 

 

 

 

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A cosa servono i campioni
L’editoriale del numero di aprile 2024 di Bargiornale a firma dei vicedirettori Andrea Mongilardi e Stefano Nincevich. Dedicato ai campioni dell’ospitalità

Questa volta, lasciamo da parte nomi come Sinner, Carlos Sainz o Bagnaia.
Parliamo di Sabia, Pinna & Co.
Abbiamo dedicato la copertina al primo, Antonio Sabia da Potenza, vincitore dell’ultima edizione dell’Artista del Panino, il concorso di Vandemoortele in collaborazione con Bargiornale, che può ormai vantare una galleria di campioni.
Il secondo, Federico Pinna da Treviglio (Bg), si è fatto notare nel campionato italiano dei baristi, insieme a molti altri colleghi che hanno trionfato nelle diverse specialità messe in pista da Sca. Questi sono solo due esempi della grande professionalità che si trova anche nelle province e dimostrano come si possa raggiungere l’eccellenza anche lontano dai riflettori delle grandi città.

Le loro vittorie sono il risultato di competenza, determinazione e abilità. Ma anche della cura dei dettagli, quasi maniacale. Perché spesso la vittoria dipende da piccole sfumature che ti danno quel mezzo punto in più per primeggiare su colleghi altrettanto validi. Non c’è nulla di meglio che mettersi in gioco, partecipare e respirare l’atmosfera della competizione per affinare queste qualità. Sono preziose perché aiutano a migliorare le capacità di ideazione, concentrazione, reattività agli imprevisti e resilienza. Senza dimenticare che ogni gara è, prima di tutto, un’opportunità per conoscere nuovi colleghi, scambiare opinioni, raccogliere spunti e idee, e arricchire il proprio bagaglio di competenze. È anche un modo per dare spazio alla parte più giocosa ed esibizionista del proprio lavoro. Questo è un momento importante da ricordare, soprattutto ora che Baritalia sta per ricominciare. Questa competizione è stata per molti bartender il “battesimo del fuoco”, un momento festoso e piacevole, ma non privo ostacoli. Parlare dei vincitori non è solo un esercizio fine a sé stesso. È un invito implicito rivolto a tutti i professionisti che ogni giorno cercano di migliorare le proprie performance.
Non si tratta solo di fare spettacolo una volta all’anno per una finale, ma di rendere l’interazione con i propri ospiti ogni giorno migliore. Studiare il percorso dei vincitori, visitare i loro bar e scambiare quattro chiacchiere sono momenti formativi che valgono come un corso di formazione.
E se questo dovesse anche farvi venire la voglia di mettervi in gioco…

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Odisha Coffee, piantagioni agroforestali oltre il tropico
Adriano Cafiso racconta l’esperienza nel continente indiano di piantagioni sperimentali protette da alberi da ombra nella regione di Odisha.

Con l’amico Giovanni Balistrieri, Adriano Cafiso, field operation manager, gestisce la Finca Balistrieri, la più antica piantagione di caffè italiana con sede a Santa Croce Camerina (Ragusa). Opera quale coffee finder e ha trascorso più anni in varie aziende agricole durante il periodo della raccolta e della lavorazione, aiutando gli agricoltori. Riportiamo con piacere il racconto di un incontro e un’esperienza molto interessante con l’Odisha Coffee, in India.

«Una delle mie esperienze più significative e impattanti in una piantagione di caffè è stata sicuramente l’incontro con il dottor Pradeep Mohanty nella sua Farm House of Deomali Plantation, nella parte nord orientale dell’India. Dieci anni fa decisi di seguire per la prima volta una stagione di raccolta di caffè in India, da novembre a gennaio; da quel momento e per tutti gli anni successivi, sono tornato.

A parte il fascino che può esercitare in generale il Paese, il perché di questa scelta non risiedeva nel particolare sapore del suo caffè, né nella sua fama di essere molto consumato in Italia (siamo i primi importatori di caffè dall’India); quello che mi colpiva di più era il sistema di coltivazione: in India non esiste una sola piantagione non interamente ricoperta da alberi da ombra, un sistema chiamato agroforestale.

Il maggiore problema che avevo riscontrato durante i miei viaggi riguardava i sistemi di coltivazione aperti o senza ombra, ad esempio in Brasile dove per le coltivazioni estensive si era perso quasi il 97% dell’Amazzonia Atlantica o in Colombia e in Congo dove la deforestazione era incontrollata: sistemi aperti insostenibili e che avrebbero dovuto essere in qualche modo contrastati. Al contrario, l’India si presentava come esempio concreto e di alternativa nella produzione del caffè. La legislazione europea ha recentemente accolto questa visione, forse in maniera anche troppo ambiziosa, bandendo le origini provenienti da deforestazioni: questa potrebbe essere una rivoluzione ma manca ancora una definizione certa e occorrerà stabilire le procedure secondo cui potranno avvenire i controlli.

Le coltivazioni di caffè in un sistema chiuso o agroforestale permettono tantissimi vantaggi, tra cui la possibilità di coltivare negli stessi spazi altri prodotti, come frutta, spezie e legumi, una riduzione significativa dell’uso di concimi e una lotta alle avversità atmosferiche; dunque l’idea di ripiantare alberi da ombra in piantagione, spesso alberi indigeni, ha tutta una serie di vantaggi che danno al caffè, bevanda criticata per il suo passato coloniale e di sfruttamento, un significato finalmente diverso, quasi salvifico.

Quando a febbraio 2022 era già terminata la stagione della raccolta in Tamil Nadu, Marc Tormo, instancabile viaggiatore ed esperto di caffè, mi mostrò un video di un suo recente viaggio a Koraput, e alcuni articoli riguardo le coltivazioni di caffè in Odisha.

Situata nei Ghati orientali, ad un’altezza di mille metri sul livello del mare, l’Odisha si affaccia lungo la costa orientale sul Golfo del Bengala, fuori dal belt tropico, quindi lontano da dove normalmente si coltiva il caffè.

Il mio primo incontro a Koraput fu con la direzione del Coffee Board e il suo direttore, Upendra Kumar. Mi raccontò la storia delle piantagioni, che esistevano già in via sperimentale nel 1930; negli ultimi anni, l’amministratore del progetto dell’Agenzia per lo sviluppo tribale integrato di Koraput, Karu Suram, ha ricevuto centinaia di richieste da parte delle comunità tribali per aiutare a convertire terre desolate e terre comuni in piantagioni di caffè. Tanto che il governo a deciso di stanziare dei fondi per riforestare ben cinquantamila ettari di terra con piante di caffè, una sfida al cambiamento climatico e ai fenomeni erosivi, insieme ad un concreto e grande interesse delle comunità tribali, che tendono a diversificare il proprio reddito attraverso le piantagioni di caffè e che coltivano all’interno una grande varietà di spezie.

Lo stesso giorno Upendra mi portò a visitare le nuove nursery dove decine di donne erano impegnate a germogliare e preparare la terra per centinaia di nuove piante, lui stesso si offrì di accompagnarmi poi per l’incontro più importante, avevo infatti deciso di alloggiare alcuni giorni presso la Deomali Plantation.

Erano appena passate le tre del pomeriggio e il caldo afoso e l’umidità delle risaie rendevano l’aria quasi irrespirabile, quando all’improvviso mi immersi in una collina lussureggiante di circa cento ettari, completamente riforestata. Upendra mi fece notare da subito la differenza di temperatura e la frescura che entrava dai nostri finestrini, «questa piantagione risale al 1986, ha solo 35 anni, ed è un esempio lampante di come l’uomo può intervenire favorevolmente sull’ambiente».

Pradeep Mohanty, gestore e fondatore della piantagione, è un botanico che decise di lasciare il suo incarico presso l’Istituto Central Rice Research di Cuttack nel 1982 e intraprese un viaggio in Odisha per localizzare la terra per quello che era il suo “sogno” trovando la sua destinazione a Sundhiput. Piantò diversi ettari già divisi in microlotti per singole varietà di Arabica. «È stata molto dura – fu la prima cosa che mi disse quando iniziammo la visita -, soprattutto nei primi anni, ma sapevo cosa fare con il terreno ostile. Attraverso le piantagioni scientifiche sono riuscito a convertire le avversità in vantaggi, il segreto di tutto è questo».

Oggi, circa 72 ettari della sua piantagione producono 45 tonnellate di caffè l’anno che la popolazione locale definisce il caffè Koraput.

Senza strade ed elettricità, Mohanty operava dalla sua tenda portatile cercando di convincere la gente del posto a riprendere i terreni incolti. Poi acquistò altra terra nell’adiacente villaggio di Nuaput e coinvolse la popolazione nella sua ricerca. Oltre al caffè e all’agricoltura biologica, addestrava gli abitanti del villaggio, che affettuosamente lo chiamano “coffee Buddha”, a proteggersi dalla malaria e dai morsi di serpente. «Le banche non erano interessate a concedere prestiti a un coltivatore esordiente in un terreno inospitale. Sono stato costretto a coltivare lenticchie e varie verdure per sopravvivere, perché ci vogliono cinque anni perché i chicchi di caffè crescano», ricorda.

La vasta gamma di varietà di Coffea Arabica coltivate nella piantagione Deomali offrono oggi un ricco arazzo di aromi e profili di sapori, ciascuno strettamente legato alla composizione genetica delle piante. Il gusto del caffè Koraput differisce sensibilmente dagli altri indiani.

Mohanty fu un apripista e molte persone provenienti dalle città e altri locali hanno iniziato a coltivare il caffè. Adesso esiste anche un sindacato chiamato Odisha Coffee Growers Association e ci sono ampi margini per la sua crescita.

«Karnataka, Kerala e Tamil Nadu hanno raggiunto un punto di saturazione ed è il momento opportuno per l’Odisha di espandersi e investire nel settore del caffè, poiché disponiamo di terreni – riprende -. La regione produce circa 250 tonnellate di caffè all’anno, ancora troppo pochi per poter esportare da soli e non dipendere dalle aziende con sede a Bangalore. Se il governo estenderà il sostegno, sono sicuro che l’Odisha diventerà il caffè del paese capitale in futuro».

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Specialty e tap bar: Mostro a Roma «sarà un contenitore all day long»
Dai ragazzi del Blind Pig al caffè specialty, con la mano di Daniele Deidda: Mostro è all day long che vuol essere contenitore e laboratorio di idee

Una nuova creatura “mostruosa” sta per aprire. Una creatura dal nome autoironico, Mostro, ma solo perché è destinata ad essere multiforme, grazie ai tanti ingegni che stanno entrando nel progetto: dietro c’è l’imprenditore Marco Pucciotti, ma soprattutto i ragazzi del Blind Pig di Roma, Mattia Ria ed Egidio Fidanza, pronti a questa nuova avventura. Andiamo sul pratico: apertura a giorni, siamo ancora al cantiere, ma manca davvero poco al taglio del nastro. «L’idea – preannuncia Mattia Ria, già fondatore di Blind Pig – è di essere operativi entro il fine settimana, con un orario ridotto, per poi iniziare dalla metà della prossima settimana con l’orario all day long, dalle 8 a mezzanotte. Avremo circa un mese di rodaggio e poi speriamo di essere a regime per il Roma Bar Show».

Il “dove” è cruciale: siamo praticamente davanti alla Piramide Cestia, in un vecchio chiosco che guarda la Stazione Ostiense, crocevia di pendolari e snodo ferroviario. Ma anche a metà strada dall’elegante quartiere Aventino, dalla Testaccio un tempo popolare oggi radical-chic, dalle terrazze di Ostiense dei film di Ozpetek. Uno di quei posti della città che meritava una riqualificazione, per questo Ria e co. hanno già incassato la promessa dell’assessore del mini-municipio di aiutarli quanto prima a sbloccare la seconda zona del progetto, che apre con uno spazio ridotto: pochi posti interni, per lo più al bancone, e circa 25 esterni, con mensole che corrono attorno alla struttura, a cui si potrà aggiungere il giardino che conterrà altri 80 coperti. Obiettivo: far diventare questo spazio un luogo di ritrovo per il quartiere, ma anche un posto dove si possano ospitare presentazioni di libri, musica e così via. «Mi piace definire questo posto un contenitore – commenta Ria – dove possano incontrarsi idee e interessi diversi, si possa far cultura e networking, anche fuori dalla bar industry».

E con un orario così prolungato la proposta non può che essere variegata: si comincia dalla mattina con la parte caffetteria in modalità Specialty Coffee, che sarà affidata a Daniele Deidda (ex Pergamino caffè), che lavorerà le miscele della roastery romana Aliena: «Come espresso inizieremo con un monorigine Brasile con un gusto abbastanza morbido, che si presta a bevande con il latte e si avvicina di più al gusto medio. Per chi vuole spingere un po’ di più avremo però anche l’Etiopia, con un’acidità più spiccata». La nuova scintillante Marzocco è appena arrivata, ma si estrarrà non solo in macchina ma anche in V60, aeropress e cold brew (16-18 ore di infusione di caffè in acqua). Grande attenzione alla parte latte, per la quale è stata selezionata un’azienda di latte bio dell’agro romano, dall’Azienda Agricola Faustini di Paliano, a cui si aggiunge una piccola proposta di latti vegetali, inizialmente avena e soia. «Con l’arrivo del caldo aggiungeremo anche proposte sull’Ice Latte e lavoreremo anche con latte di cocco e di mandorla».

Fra i focus di questo progetto c’è anche il tramezzino, che è un’ossessione romana: per crederlo leggere le righe in cui Antonio Manzini, per bocca del suo romanissimo vicequestore Rocco Schiavone, dice “dovremmo essere a Roma per avere un tramezzino”. Benché i ragazzi di Mostro abbiano scelto la versione del tramezzino alla veneziana, quella con la “pancia” di ripieno al centro.

Veniamo al cosa si beve e qui le spine saranno le protagoniste, non c’è bottigliera a vista, anticipa Ria, ma sotto al bancone si muoveranno mani esperte a preparare i drink, comprese quelle di Lorenzo Siri (già Rude Centocelle) e un nuovo acquisto in arrivo, ma Ria non va oltre la definizione «è uno forte». Dieci linee di spine che saranno occupate da 5 cocktail, 3 birre (collaborazione con i ragazzi di Rebels, un birrificio sull’Ardeatina), un vino alla spina e un analcolico (si parte con la kombucha di Laverve). Fra i cinque cocktail alla spina qualche classico e special a rotazione: «L’obiettivo a breve termine è di partire con un nostro laboratorio, in cui produrre cocktail alla spina e soft drink home made. Mi piacerebbe lavorare anche nell’unire le due anime, con un focus sui cocktail al caffè, e per il food andiamo cauti, iniziando solo con i tramezzini o poco più. Saranno le risposte del pubblico a indicarci la strada».

(Foto di Stefano Casavecchia)

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Una verticale di Bisol1542 per scoprire il Prosecco: la Docg più venduta al mondo
Presentato in anteprima il Crede 2023 di Bisol1542 (Gruppo Lunelli), la cantina che da 12 generazioni produce prosecco dal perfetto rapporto qualità-prezzo

Re indiscusso delle wine list di bar e wine bar, il prosecco ha una produzione che solo lo scorso anno ha sfiorato gli 800 milioni di bottiglie e si conferma la prima denominazione enologica italiana nonché lo spumante più venduto al mondo. Il consumo di prosecco coinvolge anche una non trascurabile fetta di consumatori appartenenti alla Generazione Z ed è anche a questo mercato che punta Bisol1542, la linea di etichette della famiglia Bisol, che appunto dal 1542 produce prosecco nel Valdobbiadene.

Entrata nel Gruppo Lunelli, Bisol1542 vanta 100 ettari dislocati nelle zone più vocate della denominazione, ed è impegnata da dodici generazioni nella produzione di vino spumante. Una verticale organizzata all’hotel Rome Cavalieri, sede romana di Bibenda, è stata l’occasione per scoprire in anteprima l’ultima annata (2023) di Crede, Prosecco Superiore Brut, che, come gli altri vini della cantina Bisol1542, segue un sistema d’allevamento tradizionale con doppio capovolto da vigneti ripidi, o eroici. Per produrre Prosecco Superiore, quello cioè proveniente dalle zone più alte del Conegliano Valdobbiadene, servono circa 900 ore annue per ettaro, una stima che si dimezza se si guarda alle produzioni in pianura. Altro focus della produzione dei Bisol è quello di condurre una viticoltura dall’approccio sostenibile, capace anche di incrementare la biodiversità dei vigneti arricchendo i terreni di piante e fiori autoctoni e prendendosi cura dei boschi circostanti. Infine, le etichette di Bisol1542 si caratterizzano per i prezzi non eccessivamente impegnativi, a fronte di prodotti sartoriali.

Se Crede è un vino proveniente da terreni argillosi, dai sentori agrumati e floreale, mela e pera, pulito al palato e cremoso, Relio è l’Extra Brut dal vigneto Rive di Guia, uno dei vigneti più verticali ed esposto a nord. Anche quest’ultimo ha note fruttate e floreali, una piacevole freschezza e vivacità al palato. I Gondolieri è un Brut Millesimato nato per omaggiare Venezia, con una bassa gradazione alcolica. Un vino innovativo, realizzato con il mosto d’uva del vigneto senza zuccheri aggiunti. L’Extra Dry Molera proviene da suoli morenici, ossia ricchi di morene, residui di rocce delle glaciazioni che sono scese verso la pianura. Molera è un vino con un residuo zuccherino lievemente più alto che ben si lega bene con le sue note sapide, dalla trama morbida e setosa.

Discorso a parte va fatto per il Cartizze Dry, uno spumante da vigneti con una posizione privilegiata e in un microclima particolare, a metà strada tra il mare e Cortina, che gode sia dall’aria temperata del mare che di quella fredda delle Dolomiti. Questo, in aggiunta al suolo di matrice sia arenaria che morenica, permette di sprigionare tutte le sue qualità, esaltate anche dal fatto di poter lasciare dai 10 ai 15 giorni in più le uve a maturare sulle bucce, creando un vino tra i più dolci pur non essendo un passito e che non perde la sua acidità. Infine, Jeio, dal nome del nonno di Gianluca Bisol, Desiderio Bisol, chiamato Jejo dagli amici, un prosecco Superiore Brut o Extra Dry che incarna a pieno lo spirito del tempo.

 

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Non più Freni e Frizioni Draft, ora è il momento di Slap
Arriva come uno schiaffo il cambio format del locale di Cristian Bugiada e Riccardo Rossi, che divide gli ambienti in tap/pizza bar e listening bar

Slap in inglese vuol dire schiaffo. E schiaffo in romanesco si dice pizza. Ecco spiegato il calembour che sta dietro al rebranding di Freni e Frizioni Draft, che cambia non solo il nome, ma anche qualche elemento del format. Un twist on classic, potremmo dire, per cui il tap bar che abbiamo conosciuto e apprezzato fin dall’apertura del locale (a metà 2022) trova una nuova identità, quella di Pizza cocktail club. E, soprattutto, per attirare i foodie capitolini, un nuovo innesto: le pizze di Jacopo Mercuro di 180g.

A proposito di identità, il cambio nome serviva proprio a questo nelle intenzioni dei fondatori di Slap: essere una costola e portare il nome di Freni e Frizioni, il locale di Trastevere punto di riferimento della miscelazione e dell’aperitivo dei romani, a più riprese inserito nella classifica dei World’s 50 Best Bars, era un vantaggio ma anche un’arma a doppio taglio. «È certamente servito in termini di reputazione – commenta Riccardo Rossi, uno dei fondatori insieme a Cristian Bugiada – ma, essendo due format totalmente differenti, rendeva problematico il paragone. Senza contare tutte le volte che i clienti hanno sbagliato locale, nelle prenotazioni o nell’indirizzo».

Nome nuovo, punti di riferimento vecchi: cocktail on tap e pizza. Poco cambia all’ingresso, dominato dal grande bancone con le 12 spine di cocktail draft (classici e signature drink) e alle 6 birre. Alle spalle la bottigliera, con al centro la scenografica drink list “a placche”, che cambiano con le proposte, a cui si affianca sempre la possibilità di richiedere un cocktail craft. Qui i bartender sono coordinati da Daniele Gambucci, ma Bugiada e Rossi, rispettivamente anime de La Punta Expendio de Agave e di Freni e Frizioni, ci mettono sempre del loro nel dare la linea e nel pensare i drink signature. Questa sarà la zona più focalizzata sui cocktail, che continuerà ad essere punto di riferimento per la bar industry, nonché, come lo hanno descritto i fondatori del progetto «vetrina per la nostra linea di fornitura di cocktail alla spina a marchio Freni e Frizioni Bar Selection». l servizio food è da “pizza bar”, con cibi pensati per la condivisione. Ci saranno i supplì che hanno reso celebre Mercuro (li ha portati anche a Masterchef), insieme a slice di pizza in stile newyorkese e altre proposte un po’ American style.

Lo stile di pizza romana “alla 180g”, bassa e scrocchiarella, lo troviamo qualche gradino più sotto, superata la zona “galleria d’arte” dell’ammezzato, nella grande sala che sarà pizzeria a tutti gli effetti. A gestire forno e impasti nel quotidiano Vincenzo Docimo; il ruolo di Mercuro sarà di dare la linea gastronomica. Qui il servizio di cocktail è previsto in modalità ready to drink o pre-batch. La vera novità è che in questa zona troviamo anche il listening bar, sul modello dei locali per gli appassionati di musica che spopolano negli Stati Uniti (leggi Negli Usa esplode la moda dei Listening Bar). Quello che era il bancone secondario del Freni e Frizioni Draft è stato trasformato in console per mettere i dischi, con un impianto audio da far invidia ai più famosi dj e una collezione di vinili a portata di mano, ma non senza la possibilità di portare la propria musica da casa.

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Eudr e mondo del caffè, il punto della situazione con CSC
Il regolamento dell’Unione Europea contro la deforestazione entrerà in vigore il 30 dicembre 2024: i tempi sono stretti e i problemi che si prospettano numerosi.

L’Unione Europea ha introdotto una normativa che mira a contrastare la deforestazione in ambito agricolo, che accanto a conseguenze positive, lascia intravedere tanti effetti negativi che potrebbero ricadere sui piccoli produttori nei Paesi più poveri. Con Enrico Romano, responsabile dei caffè dell’India per CSC – Caffè Speciali Certificati e Vittorio Barbera di Barbera 1870, una delle torrefazioni che aderiscono al Consorzio, abbiamo delineato un rapido quadro della situazione del nuovo regolamento.

Tra gli addetti ai lavori la preoccupazione è grande, insieme a numerosi dubbi, riguardo il regolamento dell’Unione Europea contro la deforestazione (Eudr) che entrerà ufficialmente in vigore a partire dal 30 dicembre 2024. Prevede che gli importatori di prodotti di consumo e di materie prime come caffè, cacao, soia, olio di palma, bestiame, legname, gomma, carbone e carta – e di loro derivati come carne bovina, mobili o cioccolato – debbano essere in grado di dimostrare che i beni acquistati non provengono da terreni frutto di deforestazione o degradazione dopo il 31 dicembre 2020. La nuova legge è una parte importante dei piani di Bruxelles per raggiungere le emissioni nette zero nell’Unione entro il 2050.

«Si tratta di un’azione che nelle intenzioni è lodevole, ma nella pratica rischia di far ricadere le conseguenze sull’anello più debole della catena: i paesi produttori più poveri – osserva Enrico Romano, titolare di C.B.C., Coffee Brokers Company, di Roma e responsabile dei caffè dell’India per CSC -. L’European Deforestation-free products Regulation è entrato in vigore il 29 giugno 2023, ma non sono ancora stati pubblicati i decreti attuativi, ovvero i provvedimenti necessari per completate gli effetti della norma stessa. In Europa può essere relativamente semplice soddisfare requisiti di geolocalizzazione e tracciabilità di beni prodotti nel Vecchio Continente, ma questo è decisamente complesso, costoso e in molti casi pressoché impossibile in numerosi Paesi d’origine del caffè. 

A cominciare dall’Etiopia, dove sembra che il governo abbia proibito qualsiasi attività di geolocalizzazione a causa del conflitto armato in atto nel Paese. E comunque ben poche tra le di famiglie (5 milioni) che dipendono dal caffè, spesso proprietarie di piccolissimi appezzamenti, avrebbero gli strumenti (prima di tutto economici) per soddisfare le richieste europee. Lo stesso vale praticamente per tutta l’Africa, l’Indonesia ed anche per l’India, con cui ho rapporti diretti. Qui i nostri fornitori si sono detti pronti a soddisfare quanto verrà richiesto, ma CSC fa da sempre della tracciabilità, dell’alta qualità del prodotto e del rispetto di chi lo produce un suo punto di forza. Quando si scende – anche di poco – nella scala di valore si possono incontrare realtà difficilmente codificabili. Se si tratta di piccoli produttori ci può essere un terreno che fu del nonno che lo divise tra i due figli che a loro volta li hanno suddivisi tra i loro discendenti: non c’è un catasto, ma il rispetto di “confini” definiti da un corso d’acqua, un albero, una roccia… come si può procedere? Fortunatamente, in India da tempo si è compreso che la via per far fronte ai cambiamenti climatici è la coltivazione del caffè sotto la vegetazione, quindi non si disbosca, ma si pianta. 

E se si compra da una cooperativa alla quale centinaia di produttori conferiscono il caffè, come lo si geolocalizza e a chi si attribuisce la coltivazione? Sono solo pochi esempi che sottolineano la difficoltà di applicazione della nuova normativa Europea e potrei proseguire a lungo. Ci sono poi Paesi come l’Indonesia che pare abbiano già dato forfait: non essendo in grado di fornire alcuna documentazione, si dice che il governo abbia preso la decisione di non esportare i propri prodotti in Europa». 

I tempi si fanno sempre più stretti in quanto, come osserva Vittorio Barbera, rappresentante della sesta generazione di Barbera 1870 e import-export manager della Torrefazione siciliana socia di CSC, «effettuiamo i nostri acquisti di caffè con 6-8-10 mesi di anticipo: quali potremo acquistare e come possiamo prendere oggi la decisione? La nostra torrefazione da sempre acquista caffè etiope; ora stiamo cercando di capire se possiamo procedere o meno». Frattanto, una testata attenta al continente africano qual è Nigrizia, già lo scorso dicembre denunciava il fatto che alcune aziende europee avessero pianificato una riduzione degli acquisti dei caffè di piccoli produttori etiopi: una strategia che rischia di aumentare la povertà nelle terre d’origine e di far crescere i prezzi per i consumatori dell’UE.

Nel frattempo gli ambasciatori di 27 Paesi produttori lo scorso luglio hanno inviato ai principali responsabili del Parlamento Europeo una lettera in cui denunciano l’entrata in vigore di una norma quale l’Eudr “a senso unico”, ovvero cucita sulle particolari esigenze dell’UE senza avere aperto un dialogo con i Paesi produttori e ignorando la realtà delle diverse nazioni, le loro capacità di organizzarsi e di adeguarsi a quanto richiesto. Questo atteggiamento è considerato discriminatorio e punitivo per le parti più deboli: «i piccoli proprietari terrieri – si legge – potrebbero essere esclusi non perché hanno deforestato i loro terreni, ma a causa della loro incapacità di dimostrare il rispetto dei severi requisiti imposti». Per questi vengono richiesti un sostegno speciale e linee guida più semplici da soddisfare. Gli interlocutori sottolineato l’importanza di realizzare accordi con obiettivi di tipo ambientale, per i quali chiedono all’Unione Europea l’impegno ad una cooperazione efficace.

«Siamo in una fase di stallo – riprende Enrico Romano -: come detto, i decreti attuativi non ci sono quindi per le aziende ad oggi non è possibile adeguarsi alle disposizioni Eudr entro il 30 dicembre 2024; per le imprese più piccole il termine slitta a giugno 2025. È auspicabile un intervento rapido delle maggiori associazioni del settore sia italiane sia europee al fine di fare chiarezza e comprendere se e come ci si dovrà adeguare alla nuova normativa, se ci potranno essere proroghe dei termini, differenti modalità in base alla particolare situazione dei Paesi produttori. È un passo urgente che un mercato immenso – penso alla globalità dei prodotti interessati, non solo al caffè – sollecita. L’auspicio è che si possa proseguire in un cammino di sostenibilità in modo più semplice e sostenibile, per tutti».

L’8 marzo scorso The Financial Times ha scritto riguardo l’intenzione da parte dell’Unione Europea di ritardare la rigorosa sorveglianza delle importazioni da aree soggette a deforestazione. Se in un primo tempo si era pensato di utilizzare un sistema di classificazione dei Paesi in alto, medio o basso rischio di deforestazione, ora si pensa di indicare un solo rischio standard per dare più tempo di adattarsi al regolamento; inoltre Bruxelles potrebbe adottare un approccio regionale piuttosto che nazionale, dunque, ad esempio, le pianure del Sud del Brasile sarebbero classificate con un rischio inferiore rispetto a quelle della regione amazzonica. 

L’agricoltura è la principale causa di deforestazione. Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), tra il 1990 e il 2020 sono andati persi 420 milioni di ettari di foresta a causa della deforestazione, un’area equivalente a quella dell’UE. Un processo inverso sta avvenendo in Europa, dove tra il 1990 e il 2000 le foreste sono aumentate del 10%.

Le cause della deforestazione e del degrado forestale si trovano soprattutto nell’agricoltura che è la causa di almeno il 50% del fenomeno, principalmente per far posto alla produzione di olio di palma (34%) e di semi di soia (32,8%) nonché di legno (8,6%), cacao (7,5%), caffè (7%), gomma (3,4%), mais (1,6%). Seguono il pascolo del bestiame (40%) e l’urbanizzazione (6%): quest’ultima è la causa principale della deforestazione in Europa.

Il cambiamento climatico è sia causa sia conseguenza della deforestazione: gli eventi estremi che provoca, come incendi, siccità e inondazioni, colpiscono le foreste, la cui perdita è dannosa per il clima in quanto esse svolgono un ruolo in portante nel fornire aria pulizia, regolare il ciclo dell’acqua, catturare CO2, prevenire la perdita di biodiversità e l’erosione del suolo.

L’articolo Eudr e mondo del caffè, il punto della situazione con CSC è un contenuto originale di bargiornale.

Nick Maltese: «Il design del cocktail bar? Dispettoso e identitario»
Una delle firme più apprezzate dell’architettura d’interni del mondo dell’hospitality racconta come nasce il progetto di un cocktail bar e le tendenze nel mondo del design

Fondatore con Fede Pagetti di Nick Maltese Studio, Nick Maltese è una delle firme più apprezzate all’architettura d’interni del mondo dell’hospitality. Ha progettato, tra tanti altri, il Dirty di Milano (Bar Rivelazione dell’anno ai BarAwards 2023). Negli studi di Bargiornale Tv, a Mixology Experience, racconta come nasce il progetto di un cocktail bar e le tendenze nel mondo del design.

Intervistato da Ernesto Brambilla, Maltese spiega come la progettazione di un cocktail bar è la costruzione di un racconto, quello della storia che c’è dietro il locale stesso e che si vuole trasmettere all’ospite. A costruire questo racconto è il disegno degli spazi, la scelta degli arredi, materiali, colori che insieme alla proposta di mixology e food vanno a comporre un tutto armonico e coerente, capace di esprimere l’identità del locale e regalare al cliente un’esperienza totale. Un perfetto esempio è proprio il Dirty, che con i suoi ambienti ispirati alla corrente brutalista e alle architetture undergroung, il tutto mescolato con lo stile di Jean-Michel Basquiat, artista tra i massimi esponenti del grafitismo degli anni Ottanta, esprime il carattere dispettoso e irriverente di questo locale notturno.

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Primi Ciak – Premio Burdlaz

13, 23, 30 aprile; 7, 14 maggio; settembre e ottobre 2024

Cineteca Comunale, via Gambalunga, 27 – Rimini centro storico

Evento di Amarcort Film Festival in Cineteca

Il premio è dedicato ai registi sotto i 40 anni che abbiano realizzato il loro primo lungometraggio, ma non basta, il film deve avere al suo interno qualche suggestione felliniana.
Il premio quest’anno triplica le sue opere in concorso, infatti se l’anno scorso erano 3 i finalisti, quest’anno saranno 9 le opere in programma.
Tra aprile e ottobre, tutte le opere verranno proiettate e giudicate da una giuria di esperti e dal pubblico in sala. Dei tre film finalisti, che concorreranno per il Premio Burdlaz alla 17a edizione di Amarcort Film Festival a dicembre, due saranno scelti dalla giuria di esperti mentre il terzo lo deciderà la giuria popolare. Nelle serate di proiezione il regista, da remoto, presenterà il suo film.
E’ possibile far parte della giuria popolare scrivendo una mail a: giurie@amarcort.it
I prossimi appuntamenti:
13 aprile: Trentatré di Lorenzo Cammisa
23 aprile: La terra delle donne di Marisa Vallone
30 aprile: Billy di Emilia Mazzacurati
7 maggio: L’età giusta di Alessio Di Cosimo
14 maggio: Noi Anni Luce di Tiziano Russo
Settembre/Ottobre:
Non credo in niente di Alessandro Marzullo
Io e il secco di Gianluca Santoni
La fortuna è in un altro biscotto di Marco Placanica
Gli attassati di Lorenzo Tiberia

Orario: 
alle ore 21

Ingresso: 
gratuito

Telefono: 
0541 704494