Non ha deluso le aspettative la tredicesima edizione della manifestazione ateniese, tra i principali appuntamenti internazionali dedicati al bertending. Il racconto dell’evento dal nostro inviato speciale
Il 2010 segnò l’inizio della terribile crisi economica che ha solo recentemente smesso di attanagliare le casse della Grecia. Lo ricorda bene Babis Eleftheriadis Kaidalidis, che proprio in quell’anno diede vita all’Athens Bar Show: giunta oggi alla tredicesima edizione (una è andata persa causa pandemia), la manifestazione ateniese è arrivata in cima agli appuntamenti da non perdere, nel calendario internazionale degli eventi dedicati al bartending, e anche quest’anno non ha deluso le aspettative.
Babis Kaidalidis, fondatore dell’Athens Bar Show
Due giorni di fiera (7-8 novembre), l’unica del circuito che si tenga completamente all’aperto, a spasso per il Technopòlis, un ex centro di produzione di gas (risalente al 1857) riconvertito in spazio per eventi, che ancora conserva le ciminiere in mattoni. Copiosa l’affluenza dei brand e degli operatori da tutto il mondo, molti dei quali trattenutisi fino al giovedì successivo alla kermesse per il party di chiusura, e importantissime le novità: una sezione “newcomers” dedicata ai prodotti nuovi sul mercato o non presenti in Grecia, con maggioranza di Ready to Drink; il ritorno della luxury section, per prodotti da oltre 50 euro di listino, e la Tomas Estes Agave Embassy. Aggiunto inoltre un palco per i seminari, rispetto ai cinque dello scorso anno.
L’evoluzione della scena mixology greca
Paradossalmente, però, l’innesto più importante si è avuto al di fuori di Technopòlis: il lancio della Athens Bar Week. «Un ombrello per tutto quello che succede nella settimana dell’Athens Bar Show» racconta Babis Kaidalidis, «abbiamo avuto cinquanta eventi in quattro giorni, instaurando un sistema virtuoso tra espositori, organizzatori e bartender». Proprio grazie a questo sistema, e a una rete di bar di impressionante solidità, Atene si è nel tempo affermata come una delle capitali del bere miscelato, complice la presenza di alcune delle insegne più note al mondo, la quasi totalità delle quali concentrate nel caratteristico quartiere di Monasteraki.
«Quando abbiamo fondato Athens Bar Show», ricorda Kaidalidis, «ad Atene esisteva solo Baba Au Rum, in tutta la Grecia c’erano forse quattro bar di livello decente. Si miscelavano i famigerati cocktails “TGIF”, c’erano i Martini del Galaxy Bar dell’Hilton, nulla più. Oggi, nel centro dell’Attica ci sono settanta bar, Atene da sola ne conta trenta, e la maggior parte di questi non sfigurerebbero nelle città del mondo a maggiore cultura dei cocktail. Quando si crea un buon sistema, la qualità cresce, ed è così che la nostra scena si è evoluta negli anni».
I messaggi chiave dell’Athens Bar Show
Qualora vi foste persi la possibilità di essere ad Atene, o non abbiate potuto girare la fiera come avreste voluto, ecco i 7 messaggi chiave che portiamo a casa dall’ultimo Athens Bar Show.
Formarsi, prima di tutto – L’Athens Bar Show è a mani basse il congresso di settore che più di tutti propone appuntamenti formativi di altissimo profilo. Se eventi simili come il Berlin Bar Convent hanno caratteristiche più B2B, Atene ospita da sempre una impressionante sequenza di personalità del bartending mondiale, permettendo ai presenti di approcciarsi da vicino ai migliori rappresentanti del settore: Monica Berg, Ago Perrone, Simone Caporale, Lauren Mote, Matt Whiley sono solo alcuni dei nomi che si sono alternati nella due giorni di seminari, spaziando attraverso ogni argomento del mondo bar.
Non solo miscelare – Ferma restando la quasi ovvia importanza della tecnica e del perfezionamento delle ricette, i riflettori stanno virando sempre più spesso sul tema dell’ospitalità in senso stretto. Il seminario di Ago Perrone A journey of exceptional hospitality: 15 years of Connaught Bar ha raccontato come il pluripremiato bar d’albergo di Londra sia riuscito a costruire la sua aura di tempio dell’accoglienza, mentre il seminario Kinetic Hospitality di Angus Winchester (Director of Drinks del Wild West Group) si è concentrato sull’approccio pseudo-scientifico all’arte dell’ospitalità. Un cocktail eccellente perde qualsiasi allure se contaminato da un’esperienza complessiva mediocre, e tutto parte dall’attenzione ai dettagli. Il drink è anzi l’ultimo elemento cui un ospite farà caso, quando visiterà un nuovo locale.
Bartender imprenditori – Altrettanto in rampa di lancio è il tema della gestione manageriale di un bar. I bartender contemporanei puntano sempre più spesso ad aprire un proprio locale, motivo per cui è per loro necessario formarsi su temi che vadano oltre la dimensione del bancone o della sala: si va dall’organizzazione del magazzino alla gestione del personale, fino alle problematiche logistiche del quotidiano. Everything you ( don’t ) want to know about opening a bar, il seminario di Monica Berg, ha sviscerato ogni aspetto dell’essere bartender e imprenditori al tempo stesso, coprendo l’esperienza di Tayēr+Elementary dalla pianificazione alla soluzione dei problemi di carattere materiale. C’è molto di più, oltre alla semplice miscelazione, per un bartender che voglia davvero arrivare ai piani alti dell’ospitalità.
Creatività al potere – Il ruolo del bartender si è ormai allontanato, inoltre, da quello di mera esecuzione di ricette codificate. I signature cocktails sono il biglietto da visita di un bar, e sono lo strumento con cui un bartender può esprimere le proprie idee e le proprie visioni. Che si tratti di un prodotto (come ha spiegato Simone Caporale in Create creativity con Grappa Nonino) o del circondario (Margarita Sader e Gianluca Basso in The Creativity process behind Paradiso), ogni momento del quotidiano è buono per poter trarre ispirazione, a patto che ci si formi a sufficienza per poterla incanalare in un cocktail.
Atene e la sua scena bar – Monasteraki è il quartiere più vivo e caotico di Atene, e nei suoi pochi incroci di vie strette e rumorose raccoglie il meglio della scena notturna locale. Grandi nomi dell’industria miscelata come Baba au Rum e The Clumsies sono a pochissima distanza l’uno dall’altro, inframmezzati dalle nuove leve che cominciano ad affiorare anche sulla scena internazionale. È il caso di Odori Vermuteria, Barro Negro (incentrato sui prodotti messicani), The bar in front of the bar; il meno collegato tra tutti è Line, a sud ovest verso Petralona, che è al tempo stesso il più interessante grazie al suo laboratorio di fermentazione e la sua proposta di comfort food d’alto livello.
L’inclusività come motore – Gli sforzi della comunità internazionale del bar hanno portato le problematiche dell’inclusività e della diversità finalmente alla ribalta: non basta avere un team che rappresenti le varie sfaccettature dell’essere umano (religione, etnia, orientamento sessuale), ma è necessario mettere in condizione tutti i professionisti di poter esprimere al meglio il proprio talento. Ne ha discusso per esempio Ginevra Castagnoli, ceo e fondatrice di Ellas Empowerment, nel seminario Inclusivity And Diversity In Hospitality, e le ha fatto eco Raiza Carrera con il suo Coctelerìa sin etiquetas: equità di retribuzione, rispetto degli usi e dei costumi delle varie minoranze, totale assenza di discriminazione. Sono solo alcuni dei punti chiave per rendere il settore del bar ancora più aperto e proficuo.
A tutto agave – Tutt’altro che un trend: i distillati di agave sono più in forma che mai, e la massiccia presenza di brand internazionali e seminari tematici ad Atene continua a dimostrarlo. Varie e composite sono le possibilità di affrontare l’argomento, dalle peculiarità del terroir alle singole denominazioni, fino all’impiego in miscelazione di referenze storiche o contemporanee: c’è chi parla di rischio “bolla” come per il gin, ma l’attenzione e la specificità con cui l’agave viene trattato oggi, fanno ben sperare. La Tomas Estes Agave Embassy, confermata per il secondo anno consecutivo, è stato addirittura il luogo deputato alla sola dimensione dell’agave per tutta la manifestazione.
Per gli altri serve tempo – Sebbene se ne parli ormai da svariati anni, i prodotti locali o regionali, greci ma anche originari di altre zone del mondo, stentano ancora a raggiungere il mercato mondiale. Come segnala Kaidalidis, «Abbiamo un paio di prodotti che provano a spingere, come lo tsipouro O/Purist soprattutto, ma credo manchino ancora brand innovativi che possano fare la differenza. Manca un traino, per cui è improbabile che nel prossimo futuro vedremo referenze di tsipouro o ouzo su larga scala». Abbastanza immediato il paragone con la grappa, che seppur forse più utilizzata dai bartender, rimane un prodotto di nicchia.