Le emozioni, i colori, la realtà dell’Etiopia, il Paese africano dove ebbe origine la specie arabica, attraverso le parole di Paola Campana.
Paola Campana e Alberto Poljac
Vincitrice come barista dell’anno a Barawards 2021, Paola Campana, che gestisce la caffetteria Caffè Campana a Pompei (NA), ha ricevuto dallo sponsor della categoria, Bloom Specialty Coffee, il premio di un viaggio in Etiopia. Riportiamo il resoconto di un’esperienza che l’ha arricchita e appagata a pieno.
«Un viaggio in Etiopia significa scoprire la “culla del caffè”, dove ebbe origine la specie Arabica, insieme a un mix di natura incontaminata, colori, etnie e tradizioni legate a un passato remoto mai messo da parte. Un’esperienza unica, soprattutto per i professionisti e gli appassionati del settore del caffè; un sogno che coltivavo da quattro anni e che si è avverato. Ringrazio per questo Alberto Polojac, ceo di Imperator che ha organizzato questo viaggio, con cui mi sono recata in questa splendida terra. Ci ha guidati lungo tutto il viaggio Adriano Cafiso, field operation manager nelle principali aree di produzione del caffè in Africa.
Ci siamo recati in Etiopia la prima settimana di gennaio, raggiungendo in volo Addis Abeba, che subito si è presentata trafficata e povera. Raggiunta la nostra sistemazione di soggiorno, una giovane donna ci ha preparato il caffè nella classica Jebena: un rito considerato di buon auspicio per gli ospiti al loro arrivo. Il caffè viene tostato al momento, macinato con un mortaio e fatto bollire nella classica caffettiera etiope.
Ci siamo poi recati nelle zone interne del Sud, con un nuovo scalo ad Hawassa, da cui abbiamo viaggiato su strade sterrate a bordo di un suv, attraversando paesaggi verdi, zone desertiche con più di 40 gradi, villaggi con capanne di paglia e terra e strade affollate da mandrie di bestiame, persone e tanti bambini.
Le nostre giornate si sono divise tra Guji e Yrgachefe, tra le regioni di produzione più conosciute per la qualità dei caffè coltivati, che rappresentano un’importante fonte di guadagno per le popolazioni che vi abitano insieme alle banane, ai cereali e ai legumi. Visitiamo dei piccoli coffee garden (piccoli appezzamenti che circondano le abitazioni, dove il caffè cresce tra altre piante): le drupe sono di un colore rosso purpureo. Tra le varietà coltivate la 74110 (74 è l’anno in cui è stata scoperta, 110 è un codice) è resistente alla ruggine del caffè (CLR) e ha una produttività annua di circa 1,5 kg (superiore alla media). In Etiopia esistono più di 10mila varietà e tutte vengono catalogate sotto con il nome Heirloom.
Tipica della produzione africana ed etiope è la presenza di piccoli e micro produttori che portano le drupe nei centri di lavorazione più vicini, dove in genere subiscono un processo di lavorazione naturale (le ciliegie vengano disposte sugli african bed per l’essiccazione), o lavato: dopo un primo passaggio nelle spolpatrici, i grani vengono immersi in vasche di fermentazione per poi essere lavati e essiccati al sole.
Nelle stazioni di lavaggio che visitiamo nella regione di Guji, sono praticati diversi sistemi di fermentazione: aerobica, anaerobica fino a quelle più sperimentali. I Q-processor della stazione di lavaggio ci spiegano che la fermentazione anaerobica naturale è considerata un valore aggiunto al caffè, perché più dei metodi tradizionali (lavato e naturale) comporta una serie di vantaggi: aiuta a sviluppare un flavour migliore, più fruttato, nonché ad avere una tazza più pulita. L’uniformità del caffè dipende dal controllo del processo di fermentazione; il gusto deve essere consistente.
Sugli African Bed vengono disposti ad asciugare vari nanolotti e microlotti di caffè dopo la delicata fase di fermentazione, ognuno con il suo cartellino su cui sono indicate le date di inizio processamento, il tipo di fermentazione, i dati di monitoraggio del pH e il contenuto di umidità. Le ciliegie vengono continuamente smosse per evitare il formarsi di fermentazioni e difetti non voluti. Il processo di asciugatura del caffè termina una volta che il contenuto di umidità ha raggiunto l’11%.
La resa produttiva di quest’anno è stata di 8,3 m milioni di sacchi da 60 kg con 498mila tonnellate di caffè rispetto agli 8,2 milioni dell’anno scorso con 492.000 tonnellate di caffe. La crescita del raccolto è dovuta alla realizzazione di nuove aree di coltivazione e ci si aspetta che per il prossimo anno aumenterà ancora.
È stato bello ascoltare i canti intonati dai lavoratori. Nella regione di Guji un gruppo di uomini cantava, canzoni africane mentre smuoveva i semi di caffe con delle scope nelle vasche di lavaggio. In quella di Yrgacheffe invece un gruppo di donne intonava canzoni religiose mentre selezionava chicchi di caffè; il loro ritmo era contagioso. In ogni stazione di lavaggio visitata, le donne ci hanno preparato il caffè così da come tradizione Etiope.
Abbiamo trascorso due giorni intensi, di sveglie all’alba, lunghi viaggi in strade sterrate e polverose, camminate per le piantagioni e stazioni di lavaggio. Ma abbiamo compensato la nostra stanchezza davanti al tramonto più bello che abbia mai visto, sul lago di Hawassa, dove domina una fauna selvatica, ricca e incontaminata. È stato uno dei momenti più belli di questo viaggio.
Tornati ad Addis Abeba vi siamo rimasti due giorni per assaggiare e valutare caffè in altre aziende, compilando e appuntando varie schede di assaggio per poi scegliere i migliori.
Tra i caffè delle zone di Guji, Yrgachefe, Sidamo, Limu e Nensebo, alcuni caffè risultano più complessi di altri; globalmente prevalevano note di amarena, frutti rossi, gelsomino, rosa canina, con un buon corpo, cremoso e vellutato e un’acidità vivace ed elegante.
Sono tornata con la consapevolezza di avere fatto un’esperienza unica e nello zaino ho portato con me una jebena e sei tazzine tipiche dell’Etiopia, una terra che suggerisco di visitare agli amanti del caffè con spirito di avventura: la culla del mondo è popolata da gente meravigliosa».