Cronache di un Dry January… piuttosto alcolico
Protagonista della bar industry, firma di Bargiornale e appassionato bevitore, Julian Biondi quest’anno ha aderito al “mese asciutto”. Il racconto della sua esperienza e dell’insegnamento professionale che ne ha tratto

Il Dry January è un’iniziativa nata in Gran Bretagna nel 2013 da un’idea di Alcohol Change UK, un’associazione che sensibilizza le persone a un consumo più consapevole di alcol (leggi Storia e fenomenologia del Dry January). Negli ormai 10 anni di campagna, il movimento ha raccolto sempre più proseliti e – per quanto difficile fare una stima ufficiale – quest’anno hanno aderito ufficialmente al “mese asciutto” nove milioni di persone.

Personalmente, essendo un individuo dotato di una forza di volontà quantomeno malleabile, non sono nuovo a queste prove di determinazione, e saltuariamente mi faccio dei mesi “senza qualcosa”. Ovviamente il mese di gennaio – quella terra meravigliosa dove risiedono tutte le buone intenzioni – è il momento più adatto. Per cui, quest’anno, ho anch’io aderito al Dry January (a onor del vero, l’ho fatto anche l’anno scorso, ma il 9 gennaio il nobile intento è naufragato, in occasione del mio anniversario di matrimonio).

Un appassionato bevitore

Facciamo una fotografia del soggetto: mi definisco un “appassionato bevitore”, vale a dire che con cadenza quotidiana bevo almeno una porzione di alcol; in casa perlopiù birra o vino, mentre fuori bevo cocktail. Normalmente almeno due. Non esco molto la sera, ma ammetto candidamente che mi regalo una sonora sbornia con cadenza trimestrale.  Questo mese, avendo preso la cosa sul serio, mi sono dato alcune regole:

non si fanno eccezioni
non si modificano le proprie abitudini sociali
non si modificano le proprie abitudini alimentari (nel mio caso, dieta quasi del tutto vegetariana, ad alto contenuto di pizza)
non si modificano le proprie abitudini sportive (nel mio caso, da zero sport sono passato a zero sport)

Questo articolo/testimonianza non avrebbe alcun senso di esistere e la mia esperienza non sarebbe diversa da quella delle altre nove milioni di persone citate sopra, se non fosse che la mia vita lavorativa è letteralmente sommersa nell’alcol. Oltre ad aver il piacere di scrivere per questa rivista ormai da sei anni, le mie attività principali si dividono tra il fare consulenze per bar e brand di spirits, fare formazione sul mondo della miscelazione ed essere titolare di una distilleria che produce diversi brand di gin e liquori. In altre parole, non esiste un singolo giorno dell’anno in cui – per un motivo o per un altro – io non sia a contatto con una bevanda alcolica.

La cronaca del mese

Partiamo con la cronaca. Il primo dell’anno è stato atipico, con un Capodanno sobrio coronato dalla fine dell’influenza stagionale. Per cui, quella tipica repulsione all’alcol che accomuna molte persone il giorno dopo il Capodanno, nel mio caso non c’è stata. Il primo vero scoglio è stato il giorno successivo: tasting pomeridiano della drinklist che ho ideato (saggiamente, entro il 31 dicembre) per l’imminente apertura di un ristorante con cocktail bar. Spiegare il perché non assaggi i tuoi drink senza essere guardato strano non è cosa facile, ma in realtà mi sono reso conto che la parte più difficile è stata pensare a degli analcolici che io stesso avrei bevuto volentieri. Qualcosa di buono è uscito fuori, ma allo stesso tempo mi sono reso conto quanto lontano fossi dal pensiero “no alcol” finché non mi ci sono trovato dentro. Mentre da un lato mi lanciavo in infusioni all’anatra alla pechinese e chiarificazioni al latte di cocco (sì, è un ristorante asiatico), dall’altro riuscivo solo a partorire analcolici con soft drinks, sciroppini e poco più. Ho deciso quindi che dovevo aggiungere alla mia lista di regole del mese, quella di cercare di conoscere proattivamente sempre più alternative all’alcol.

Ed è così che il 6 gennaio, durante un aperitivo in casa, mi sono trovato a bere insieme alla moglie incinta di un amico, una sorta di succo d’uva gassato e pieno di zuccheri che viene usato durante le feste dei bambini. Lievemente depresso per questa nuova scoperta, una volta versata dell’acqua tonica all’interno di una coppa Martini assieme a un’oliva, un meccanismo celebrale abbastanza primordiale che non saprei spiegare, mi ha fatto sentire un po’ meglio.

Il 7 gennaio di Dry January è statisticamente il corrispettivo del secondo anno di biotecnologie per uno studente: il momento in cui almeno il 50% molla per dedicarsi ad altro. Per me il giorno più difficile è invece il 9, quando tradizionalmente vado a mangiare e bere bene con mia moglie per il nostro anniversario. Che fare per non rovinarsi la giornata? Una belle giornata alle terme e in una spa. Esco da lì cotto come un raviolo a vapore, rigenerato e fresco, di buon umore, ma con il pensiero che tutto sommato una birra fresca dopo tutta questa perdita di liquidi, me la sarei anche meritata. La giornata successiva mi mette davanti molti ostacoli: ho due appuntamenti con clienti in distilleria per fare assaggi delle ricette che gli stiamo preparando, ai quali per fortuna i miei soci mi fanno da spalla, mentre io mi limito a dare descrizioni pittoresche sull’interessante lato olfattivo di ogni prodotto. Ora davanti ho solo un caro amico da Bologna che viene a trovarmi per la prima volta, nell’occasione di una masterclass e guest shift di Simone Caporale. Nel mondo del bar, l’equivalente di andare a un concerto degli Stones con i tappi nelle orecchie. Martina Bonci, bar manager di Gucci Giardino 25, mi mette in mano uno degli analcolici più buoni mai assaggiati, a base di anguria fermentata. Lo bevo di gusto, ritrovo fiducia nei prodotti analcolici, e puntualmente questa viene tradita nelle 24 ore successive, quando esco con un amico per il trittico aperitivo/cena/dopo cena. La prima parte va bene. Assaggio la versione zero gradi prodotta da un grande brand di gin, e devo dire che la trovo piacevole. A cena casco nel tranello prosecco analcolico. Alla richiesta gentile della cameriera di un altro bicchiere, mi sorprendo a rispondere seccamente «nemmeno con la bocca di un altro». Mi scuso, ma capisco che anche lei è del mio stesso parere. Nel dopocena invece vinco un Basil Smash analcolico che, grazie al fatto che il Basil Smash in fondo sa solo di basilico, mi risulta piuttosto gradevole.

A metà del percorso

Siamo alla metà di gennaio e finalmente, dopo un anno di attività della distilleria, con i soci e le rispettive compagne ci regaliamo la nostra prima cena aziendale. Si stappa un ottimo Dom Perignon. Che sia ottimo lo deduco dagli sguardi soddisfatti degli altri…

Dover fare rinunce era parte del gioco, ma trovarsi per lavoro a sviluppare la drink strategy per un brand su un mercato emergente estero non è così facile, quando non puoi contare sulle tue papille gustative. L’unica via d’uscita è pensare ai cocktail, farli e puntare sul parere di chi ti fidi: per fortuna a mia moglie le papille gustative funzionano bene, così come il suo senso critico. Missione compiuta, i drink erano (quasi) tutti buoni… prima o poi li assaggerò anch’io.

I giorni scorrono sul calendario, siamo al 19 gennaio e devo dire che sono due i significativi cambiamenti che ho riscontrato a livello fisico: ho il volto visibilmente meno gonfio, la pelle meno grassa e la bilancia mi dice che ho perso 2 chilogrammi. Strano, perché da quando non bevo ho spesso voglia di dolci, cosa che generalmente non mi accade; mi viene da pensare che il mio corpo voglia soppiantare in qualche modo gli zuccheri che è abituato ad assumere tramite l’alcol. Un fatto curioso, anche un po’ inquietante. Il 20 è il giorno in cui ammetto pubblicamente un (spero) trascurabile sgarro. Sono ospite a Rieti per una masterclass pomeridiana e un turno serale da Depero. A pranzo faccio un brindisi con le persone che mi hanno invitato: una singola lacrima di vino nel bicchiere, per onorare l’ospitalità. A questa, più tardi, seguirà una singola lacrima di un rum che difficilmente avrei più avuto modo di assaggiare. Non mi sento in colpa, anche perché trascorro la serata bevendo dei notevolissimi analcolici prodotti da Luca Bruni, giovane talento che ho potuto conoscere in questo caso solo attraverso i suoi “No-groni”, ma che vorrei tornare a trovare una volta finito il mio proibizionismo.

Il 23 gennaio del 2023 è una di quelle date a cui, se sei un barman, non voi mancare: la serata di premiazione della guida di Blue Blazer. Ebbene, il mio masochismo ha dei limiti, per cui per quest’anno ho preferito saltare l’appuntamento.

Una lezione dal punto di vista professionale

Nel momento in cui starete leggendo saremo agli ultimi sgoccioli di gennaio, e ragionevolmente concluderò con successo il mio Dry January. Quali sono le mie considerazioni finali? Per prima cosa, non voglio cadere nella retorica del “mi sento molto meglio del solito” perché non è così. Mi sento esattamente come sempre. Talvolta ho sentito che avrei avuto voglia di una bella pinta di birra, alla fine di una giornata di lavoro. Probabilmente, se avessi mai incontrato una buona birra analcolica nel mio cammino, questa mi avrebbe ugualmente gratificato.

Non credo che l’assenza di alcol abbia avuto ripercussioni sul mio umore o che abbia in qualche modo limitato la capacità di godermi i momenti liberi. Ciò che trovo più interessante dell’esperienza è più dal punto di vista professionale: non bere alcol mi ha aiutato a immedesimarmi nell’esigenze delle persone che abitualmente non lo fanno. Provare tutto ciò che di analcolico mi si mettesse davanti, mi ha fatto capire che – salvo alcuni esempi che ho citato nell’articolo – nella maggior parte dei casi non siamo realmente attenti a dare una scelta interessante ai nostri clienti. Mettersi “nei panni di” penso possa essere un esercizio utile a migliorare l’offerta dietro il banco. Da febbraio in poi sarò più curioso nei confronti degli analcolici? Probabilmente sì, ma non significa che li ordinerò spesso. Rifarò Dry January il prossimo gennaio? Probabilmente sì. Ma sono anche molto curioso di scoprire che cos’è questo nuovo trend chiamato Rye January.

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Parte dall’Indonesia il viaggio intorno al mondo dei nuovi menu del Danico
Xplorer è il nuovo progetto ideato da Nico de Soto per il suo cocktail bar parigino: una serie di menu concettuali ognuno dedicato a un luogo del mondo che ha visitato. 12 i cocktail nella prima drink list incentrata sul Paese del Sudest asiatico

Da un bartender che nella vita ha camminato sul suolo di centoquattro paesi del mondo, lavorando almeno una volta in più di quaranta di essi, un po’ ce lo si sarebbe anche aspettato. In ogni caso, un conto è pensarlo, un altro è realizzarlo: Danico, cocktail bar parigino dell’altrettanto parigino Nico De Soto, ha lanciato il suo nuovo menu, ispirato alle latitudini che lo stesso Nico ha attraversato nel corso degli ultimi anni. È in realtà la prima di una serie di liste, ciascuna dedicata a un luogo o una regione che hanno in qualche modo influenzato la carriera di De Soto (incluso nelle cento personalità più rilevanti del mondo bar da Drinks International nel 2022), che in passato è stato coinvolto in progetti di successo come il PNYK di New York o il gruppo Experimental, presente anche a Londra e Venezia. L’esordio di questa serie di menu concettuali sarà incentrato sull’Indonesia, e prevederà dodici drink.

Si parte dall’Indonesia

«Sono serviti quattro mesi per sviluppare il menu», spiega De Soto. «Abbiamo trascorso del tempo in Indonesia, per comprenderne gli usi, gli ingredienti; una volta rientrati a Parigi, sono stati necessari due mesi di prove con infusioni, bicchieri e ricerca del nome giusto». L’intera serie di menu si chiama infatti Xplorer, denominazione che si spiega da sola.

L’Indonesia come prima tappa è una scelta di cuore: «Amo molto l’Indonesia, e penso sia un peccato le sue tradizioni gastronomiche siano quasi sconosciute. I sapori che ha da offrire sono introvabili altrove, per cui ho cercato di riproporli nel menu. Mi sono innamorato della cultura locale, e ho ricordi meravigliosi delle mie esperienze in regioni remote, che mi hanno ispirato e cambiato la vita. Iniziare dall’Indonesia mi è sembrato un giusto tributo al Paese». Pur puntando su ingredienti indonesiani, «abbiamo per fortuna dei fornitori francesi che ci aiutano a reperirli, e sono soprattutto utili a ridurre al minimo il trasporto necessario, con tutto quelle che ne consegue. Se le spezie locali sono state piuttosto facili da ottenere direttamente in Indonesia, farci arrivare gli ingredienti umidi è la sfida più difficile».

Fondato da De Soto nel 2016 insieme ai ristoratori Julien Ross e Alexandre Giesbert, Danico è costola integrante della trattoria contemporanea Daroco (ex flagship store di Jean-Paul Gaultier), nascosta nella Parigi che più Parigi non si può, nel primo arrondissement, a una manciata di minuti di passeggiata dai Giardini del Palazzo Reale e dal Museo del Louvre. Già presente nella pre-graduatoria dei World’s 50 Best Bars 2022, al numero 85 (leggi Tre italiani tra i World’s 50 Best Bars 2022 – dal 51 al 100), è una delle due insegne create da De Soto, insieme al Mace di New York (numero 93 nei 50 Best). Oltre a supervisionare il lavoro dei due locali, Nico continua a viaggiare ovunque per eventi pop-up, masterclass e le sue ormai classiche guest-nights.

Tradizioni locali e approccio moderno

Spezie, frutta esotica e cultura culinaria locale sono naturalmente protagonisti del nuovo menu a tema indonesiano di Danico, che pure non si allontana dall’approccio moderno (quasi d’avanguardia) del bartending di De Soto, fatto di chiarificazioni, cotture sottovuoto e ridistillazioni, volte a una importante concentrazione dei sapori. Tipsy Luwak, ad esempio, richiama la cucina dell’Indonesia, contando tra gli ingredienti il pandano, il caffè, l’avocado e la crema di cocco, sostenuti dalla robustezza elegante di Nikka from the barrel; Nasi Goreng (una “giungla sensoriale”, come la definisce De Soto) si rifà addirittura allo stir-fry, ricetta al wok simbolo dell’ospitalità locale, che rivive in una miscela di Shochu infuso alle spezie, tofu e uovo. Spicy Soto («Il mio preferito» cit.) vira invece su un gioco di piccante e dolce, con una combinazione di Mount Gay Black Barrel rum infuso alle spezie, succo di lime, guanàbana e il famigerato ghost pepper, il bhut jolokia, nel 2007 certificato come il peperoncino più piccante al mondo.

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Campionati italiani baristi Sca: sei i vincitori, tra (molte) conferme e volti nuovi
Le competizioni che si sono svolte alla Coffee Arena di Sigep hanno visto la partecipazione di numerosi giovani. Grande la collaborazione tra tutti.

Si sono da poco spenti i riflettori di cinque giorni di finali italiane dei sei concorsi dedicati al mondo dl caffè organizzati da Sca Italy nell’ambito di Sigep all’interno della Coffee Arena, che hanno visto competere 60 concorrenti giudicati da giudici nazionali e internazionali. Sono stati numerosi i giovani baristi che si sono cimentati nelle diverse discipline, trovando spesso supporto e guida in altri concorrenti, soprattutto in chi ha più esperienza; perché questo è il vero spirito della gare.

Passiamo ora a osservare il podio di ogni disciplina.

Il nuovo campione italiano Baristi è Daniele Ricci; secondo Matteo Pavoni, terza Arianna Peli.

Ricci, alla sua seconda vittoria nazionale, ha richiamato l’attenzione sui cambiamenti climatici e sulle nuove varietà che vengono poste a dimora da molti coltivatori, in quanto più resistenti al calore e alla siccità. Spesso, tuttavia il risultato in tazza è più “povero”, meno intenso delle precedenti varietà, meno produttive e sensibili ai fattori climatici. Di qui l’importanza di guardare al domani con fermentazioni che ne esaltino il profilo organolettico. Il suo “futuro” ha avuto quale protagonista nel signature drink un pink bourbon con fermentazione anaerobica per otto giorni, al fine di esaltarne il profilo aromatico. Senza questi interventi, ha osservato Daniele Ricci, nel futuro il mondo specialty ne potrebbe risentire molto. Da qui a giugno lo attente un grosso lavoro, ma sa di potere contare, sul grande supporto del Team Bugan di cui fa parte e che ringrazia per la grande collaborazione, a cominciare da Sonia e Maurizio Valli.

Campione della categoria Coffee in Good Spirits è Marco Poidomani, secondo Andrea Villa, terzo vito Alberto Patrimia.

Dopo avere portato i giudici e la platea nello spazio nel corso di una prova molto scenografica nel 2017, c’è il viaggio tra presente e futuro del 2019 e nell’edizione 2023 della gara dedicata alla mixology, che ha vinto per la terza volta, il viaggio-riflessione è stato sul tempo che passa in un baleno. Il caffè selezionato da Marco Poidomani per la competizione, un geisha con macerazione carbonica della finca El Placer di Sebastian Ramirez in Colombia, ha realizzato un drink estivo con gin e Aperitivo Corona. Lo gusti ed è già il momento di pensare alla drink list invernale. Il suo drink, con sciroppo al panettone che ha realizzato con macerazione a freddo di panettone, zucchero liquido, uva passa e limone di Sorrento (un suo portafortuna), brandy e vermouth è stato natalizio, consegnato ai giudici all’interno di un pacchetto rosso con il fiocco.

Si conferma campione italiano Brewers Cup Giacomo Vannelli, davanti a Matteo d’Ottavio e Lisa Zancanella.

Un nuovo strumento – un brew method a fondo piatto – messo a punto in casa Vannelli, ha accompagnato la prova di Giacomo, tre volte campione Baristi e campione Bewers Cup 2022 e 2023. Per la sua gara ha utilizzato una miscela di Panama geisha di Jamison Savage e un caffè colombiano specie eugenoides. Ha dato il via alla prova ringraziando i giudici, che con il loro lavoro, con il feedback che danno ai concorrenti a fine gara, contribuiscono a migliorare le prove successive, nonostante al momento le loro osservazioni possano sembrare non centrate perché a prevalente è la delusione per un piazzamento ritenuto ingiusto. Alla finale di Melbourne un giudice disse a Giacomo di avere apprezzato il suo drink, che per essere perfetto avrebbe avuto bisogno di più corpo. Di qui la ricerca di un nuovo strumento che ha permesso di raggiungere il risultato desiderato.

Campione italiano di Latte Art è Stefano Nodari, secondo Alessandro Piscedda, terzo Fabio Colicchia.

Stupore e grande soddisfazione per una vittoria raggiunta alla prima competizione nazionale, che Stefano ha raggiunto per scommessa, promettendo a una collega che avrebbe gareggiato a Sigep nel 2023. Ma anche tanta stanchezza legata a ritmi intensi per il lavoro alla pasticceria Maresi di Brescia, un secondo lavoro spot per pagare gli allenamenti lunghi e intensi con la sua allenatrice Carmen Clemente che guida con Manuela Fensore (presente a ogni prova) la scuola World Latte Art & Coffee Center. Infine gli allenamenti presso Trismoka (che ringrazia di cuore), che ha aperto le porte a ogni ora e anche nelle feste natalizie. Con mano ferma e apparente tranquillità, ha disegnato animali che richiamano persone a lui care o affetti: il cane (il suo cane), il gufo (dedicato al cugina preferita), l’elefante (il suo migliore amico), il pinguino (la moglie). La finale? Per una settimana non vuole pensare a nulla; meglio staccare per godere questo bel momento e riprendersi.

Nel roasting ha primeggiato Roberto Breno, secondo il campione uscente Davide Cobelli, terzo Lorenzo Mischiatti.

Nella sua gara Roberto, roaster presso  Bugan Coffee Lab dal 2019, si è impegnato al fine di raggiungere l’obiettivo che persegue ogni giorno: il bilanciamento della miscela (composta da Messico, Etiopia e Brasile) e della singola origine (Rwanda), con una buona dose tra la dolcezza e un’acidità non fine a se stessa con una buona evoluzione nel corso della degustazione della tazza. Obiettivo centrato anche con un Rwanda dal carattere deciso e complesso da gestire al fine di esaltarne le note fruttate e floreali. Fiero di far parte del Team Bugan, ogni giorno si impegna per  fare comprendere il mondo degli specialty a una clientela spesso lontana, guidando alla degustazione della tazza e alla conoscenza di un mondo lontano (le terre d’origine con i suoi protagonisti, i farmer) che per lo più il consumatore finale non conosce.

Si conferma campione italiano Cup Tasters Fabio Dotti, secondo Emanuele Bernabei, terzo Roberto Cagnetta.

Certo, la tripletta rappresenta il susseguirsi di tre vittorie nel corso dell’anno o di una singola competizione; tuttavia, considerato il fatto che di finali Cup Tasters ce n’è una ogni anno, Fabio Dotti così chiama il suo terzo primato nazionale, raggiunto individuando le otto tazze diverse in 3’’55’67c. Con il ritorno delle semifinali, il livello dei concorrenti, soprattutto in finale, si è alzato di molto e con essi la complessità dei caffè messi a disposizione da Caffè Speciali Certificati. La costanza nell’assaggio – che per molti dei finalisti è pratica quotidiana – è il grande allenamento che permette di affinare gusto e olfatto e predispone a questa competizione. A ciò si unisce, osserva Dotti, anche una certa vocazione personale, che ha scoperto durante i suoi primi corsi di analisi sensoriale. Il mondo del caffè cerca chi lo conosce a fondo e sa effettuare assaggi oggettivi e competenti e Fabio è consulente di numerose torrefazioni per la formazione e il controllo qualità.

Le finali mondiali di Latte Art, Coffee in Good Spirits e Roasting si svolgeranno a Taipei, Taiwan tra il 17 e il 20 novembre nell’ambito del Taipei International Coffee Show.

Quelle delle categorie Barista, Brewers Cup, Cup Tasters e Cezve/Ibrik (quest’ultima non vedrà gareggiare alcun italiano) ad Atene, Grecia, tra il 22 e il 24 giugno nell’ambito di Athens Metropolitan Expo.

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Competitive Data, ricavi in crescita margini in sofferenza per le torrefazioni italiane
L’annuale analisi dei bilanci delle prime 270 aziende mostra luci e ombre. Le torrefazioni tornano su valori ed equilibri tipici del settore, con un gap da colmare.

Lo scenario offerto dall’analisi di Competitive Data sulle prime 270 società di capitali nel settore del caffè per il triennio 2019-2021 si mostra complesso, con luci e ombre.

I dati mostrano un fatturato aggregato in crescita del 12,6% nel 2021 con Sud, Isole e Nord Est che registrano i migliori risultati rispettivamente con un +16,4% la prima e +16,1% le seconde; seguono le regioni del Centro (+12%) e quelle del Nord Ovest (+10%). La fascia più colpita dalla crisi legata al covid, spesso anche a causa di una distribuzione esclusiva al canale horeca, con un fatturato inferiore a 10 milioni di euro hanno registrato un +18,1%, seguite da un +17,2% delle attività tra 10 e 30 milioni; più distanziate quelle con fatturate superiore ai 30 milioni: +10,9%

Gli utili complessivi segnano una crescita soddisfacente nel 2021 con un aumento complessivo del 22%, pari a un controvalore di199,301 mld di euro (163,320 nel 2020), mentre l’incidenza percentuale dell’utile sul fatturato passa dal 3,5% del 2000 al 3,8% dell’anno successivo. Le aziende che chiudono l’esercizio in utile crescono dalle 148 del 2020 alle 206 del 2021, mentre si dimezzano quelle che risultano in perdita, passate dalle 109 unità del 2020 alle 52 del 2021.

«I ricavi sono in crescita – osserva Giandomenico De Franco, amministratore unico di Competitive Data -, ma i margini sono in sofferenza. Se guardiamo il margine operativo lordo (Ebitda), riscontriamo una crescita al 9,3% nel 2001 contro il 4,9 del 2020, che tuttavia rimane al di sotto di quella che in genere è considerata la soglia minima per il settore, del 10%. Ciò significa che c’è un effetto zavorra sulle torrefazioni causato dai maggiori costi per materiali quali gli imballaggi, i container, i trasporti, la materia prima. Dunque, le nubi sono sparite, ma non siamo decollati».

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Su questo incide molto la particolare dinamica dei prezzi del mercato italiano: il cliente italiano continua a non accettare, a non comprendere l’aumento del costo della tazzina che rimane molto al di sotto della media europea e, seppure molti locali abbiano effettuato un aumento di 10, 20 centesimi al massimo, questo non permette di rientrare dai maggiori costi. Da parte loro le torrefazioni hanno ritoccato i listini in percentuale minima e questo costringe a margini bassi che spingono a contrarre le spese, a cominciare dal personale. Una tendenza che prosegue anche a causa degli aumenti dei costi dell’energia dell’ultimo anno e a un sentiment degli operatori e degli acquirenti finali segnato da continui segnali di allarme legati ad aumenti dei prezzi, recessione, incertezza legata al futuro; il risultato è una minore propensione alla spesa che incide negativamente sul singolo esercente e sul torrefattore.

«Per quanto riguarda il futuro – riprende De Franco – a livello mondiale ci sono margini di crescita importanti di cui già stanno beneficiando soprattutto le grandi torrefazioni, mentre le medio-piccole che oggi per lo più non hanno più del 50% del fatturato, la situazione è più complessa. Per far fronte a ciò e anche all’aumento dei costi per materia e del personale, penso sia importante proseguire il cammino delle acquisizioni che ha preso il via da qualche anno, facendo massa critica tra più torrefazioni al fine di realizzare economie di scala. A chi ha scelto di diversificare – mi riferisco soprattutto alla fascia più colpita dal blocco legato al covid a causa di una distribuzione effettuate esclusivamente nel canale horeca – aprendosi al retail, consiglio infine di valutare a fondo questa scelta e di procedere con oculatezza: investire sullo scaffale della Gdo ha costi elevati, ai quali si devono accompagnare campagne pubblicitarie massicce: la concorrenza è numerosa e agguerrita e per fronteggiarla servono grossi investimenti».

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La grande corsa dei no&low spirit
Viaggia con il vento in poppa il mercato dei prodotti senza e a basso tenore alcolico, il cui giro d’affari nel 2022 ha superato gli 11 miliardi di dollari. E con i volumi di vendita che, prevede uno studio dell’Iwsr, continueranno a crescere del 7% all’anno nel quadriennio

I no&low, i prodotti senza o con moderato tenore alcolico, tirano. E tirano forte. A dirlo uno studio dell’Iwsr, tra le maggiori società di analisi del mercato beverage a livello mondiale, che ha analizzato il mercato di questa categoria, nella quale rientra un’ampia gamma di prodotti, che vanno dalle birre analcoliche ai vini, sempre analcolici, dai ready to drink ai non alcoholic spirit. E quello che ne emerge è un mercato che viaggia con il vento in poppa e che al momento pare abbia che come unico ostacolo alla sua corsa la disponibilità stessa di prodotti.

I dati dell’Iwrs dicono infatti che nel 2022 le vendite nel mondo hanno registrato una crescita a volume del 7%, per un giro di affari arrivato a 11 miliardi di dollari, dagli 8 miliardi del 2018. La società prevede anche che la crescita del mercato proseguirà a tale ritmo, 7% all’anno, per tutto il quadriennio 2022-26: uno sviluppo che si preannuncia ancora più corposo di quello che ha caratterizzato l’ultimo quadriennio (2018-22), quando è cresciuto del 5% all’anno. A fare da traino, altro dato significativo, saranno i prodotti analcolici, che da soli totalizzeranno oltre il 90% della crescita prevista, confermando la loro leadership nella categoria. Le vendite in volume lo scorso anno sono cresciute del 9%, stesso tasso annuale previsto per il nuovo quadriennio, portando la loro quota sul totale del mercato al 70%, rispetto al 65% del 2018.

Lo studio conferma insomma che quello dei no&low alcol rappresenta un trend forte a livello mondiale, destinato a rafforzarsi ulteriormente nel tempo. Un trend ancora allo stato larvale in Italia, che non rientra tra i 10 top market per la categoria sui quali è stata condotta la ricerca. Una top ten che vede al vertice la Germania, il mercato più grande e maturo al mondo per i prodotti senza e a bassa gradazione, per il quale la società di ricerca prevede una crescita più lenta nei prossimi quattro anni. Crescita che sarà molto dinamica invece in Australia, Canada e Stati Uniti, che con Giappone, Spagna, Regno Unito, Brasile, Francia e Sudafrica, completano la lista delle piazze principali.

Birra e spirit no alcol a guidare la crescita

Per quanto riguarda le tipologie di prodotti, a dare la spinta più forte al settore saranno la birra e il sidro a zero alcol, che contribuiranno per quasi il 70% alla crescita dei volumi di vendita totali nel quadriennio. Previsione molto rosee anche per i ready to drink no alcol, previsti in grande crescita nei mercati di Stati Uniti e Giappone, e degli spirit analcolici, che saranno protagonisti di un andamento molto brillante su tutti i top market, grazie all’impegno dei produttori, non solo nell’innovazione dei prodotti, ma anche nel dare loro maggiore visibilità soprattutto nel fuoricasa. Bene anche il vino, il cui andamento però sarà molto diversificato nei vari mercati.

A ritmi inferiori procederà la crescita nel quadriennio dei prodotti low alcol: 2% all’anno. A trainarla, sempre la birra, ma in compagnia del vino, con quest’ultimo che ha negli Usa il suo mercato principale e più dinamico.

Un trend forte tra i Millennials

Alla base del successo dei prodotti no&low, spiega lo studio, vi è il consolidarsi di nuove abitudini di consumo, sempre più orientate alla moderazione nell’assunzione di alcol, come conseguenza di una più generale tendenza a salute e benessere nei consumi alimentari. Una tendenza che conta su una solida base di consumatori, la cui principale fetta è costituita dai giovani, nello specifico i Millennials. Per la stragrande maggioranza di questi consumatori bere a bassa gradazione o no alcol è ormai parte dello loro stile di vita e non esclude il consumo di alcolici: ben il 78% infatti beve anche prodotti ad alta gradazione e il passaggio dal consumo di un prodotto dell’una o dell’altra categoria avviene normalmente anche nella stessa occasione. Tuttavia, i ricercatori sottolineano come stia aumentando anche il numero degli astemi, che rappresentano il 18% dei consumatori no/low, un fenomeno che si registra su tutti i principali mercati e che interessa in particolare le nuove generazioni.

Un potenziale enorme

Che la predilezione dei nuovi consumatori verso il no&low alcol sia legato a una scelta di stile di vita, invece che da necessità, porta con sé un’altra rilevante conseguenza, alla quale gli operatori del settore dovrebbero guardare con molta attenzione: l’incremento della frequenza di consumo di tali prodotti. Un consumo, in più che non si limita a sostituire quello di alcol, ma si espande ad altri momenti e quindi va a creare nuove occasioni di consumo. Significativa sotto questo piano la crescita, evidenziata dallo studio, dei consumi diurni di prodotti a zero alcol e a bassa gradazione, che lasciano intuire il loro enorme potenziale ancora tutto da esprimere.

A tale riguardo la più grande sfida al momento per la categoria no&low, sottolineano i ricercatori, è rappresentata dalla disponibilità dei prodotti, ancora limitata in molti mercati, sia nel fuoricasa sia nel retail, e dalla loro bassa visibilità in entrambi i canali. Il tutto considerando che il loro costo non rappresenta più una barriera all’acquisto per oltre il 90% dei consumatori.

Corre anche l’innovazione

Su questi e altri fronti si stanno attivando i produttori, con approcci che puntano a valorizzare al massimo la categoria. A partire da un ampliamento dell’offerta e dalla ricerca sui sapori. In questo ambito si colloca la fioritura proprio degli spirit no alcol, alternative analcoliche, distillate e non distillate, ai vari botanical spirit, agli amari, ai vermouth e agli aperitivi. Un altro filone di innovazione va a rafforzare il discorso benessere con prodotti dal “carattere salutista”, grazie alla presenza di ingredienti funzionali, come vitamine, adattogeni, ovvero sostanze rafforzano la resistenza dell’organismo allo stress mentale e fisico, nootropici (sostanze che aiutano le facoltà cognitive): in questi casi anche la comunicazione si sposta dal tema dell’assenza di alcol a quello del gusto coniugato con lo star bene. Infine, il lavoro sui pack, finalizzato a rendere sempre più accattivante l’immagine dei prodotti e a ritagliarsi uno spazio di primo piano sullo scaffale o in bottigliera.

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L’evoluzione del fuori casa in quattro parole chiave
The Npd Group ha individuato i mega trend che ridefiniranno i confini del fuori casa in Europa. Un mercato che nel 2023 tornerà ai fatturati pre-Covid., ma con un numero di visite inferiore

Consumi a casa, digitalizzazione, voglia di socialità, ricerca di un maggior benessere: sono i quattro elementi chiave che guideranno l’evoluzione dei consumi fuori casa in Europa: a raccontarli è stato Jochen Pinsker, senior vice president e Industry Advisor di The Npd Group Europe in occasione di Sigep a Rimini.

Tra ripresa e incertezza

Analizzando i cinque maggiori mercati europei (Germania,Gran Bretagna, Francia, Italia e Spagna), il 2023 mostra situazioni molto diverse: l’Italia è l’unico mercato dove la spesa ha superato i livelli pre Covid (+2% il trend dei primi undici mesi dell’anno), con la Spagna subito sotto, avendo uguagliato il fatturato 2019. Ben diversa la situazione in Francia (-12%) e Germania (-9%), mentre la Gran Bretagna chiude con un -4%.

Il motivo è principalmente legato alla mancata ripresa di due segmenti chiave del fuori casa: il leisure (-14%) e soprattutto i consumi legati a motivi di lavoro (-20%). «Il calo del business travel e lo svliuppo dello smart working, da un lato – spiega Pinsker -, e la crescita degli investimenti nella casa e dello shopping on line dall’altro hanno spostato parte dei consumi dal fuori casa alla casa».

Una serie di elementi incontrollabili pongono serie incognite sul futuro: la guerra in Ucraina, il Covid, l’incertezza sulle prospettive economiche e l’inflazione come fattori macro, le difficoltà di approvvigionamento e la carenza di personale nei locali come fattori micro rendono il quadro confuso e incerto. «Il risultato – spiega Pinsker – è che la preoccupazione sulla propria situazione finanziaria, da parte dei clienti, è alta: il 46% pensa che peggiorerà, contro un 17% che prospetta un miglioramento».

A questo si assomma un livello di fiducia dei consumatori mai così basso nemmeno durante il lock down e la diffusa percezione (oltre 7 su dieci) di un aumento dei prezzi superiore a quanto ipotizzato. Senza dimenticare che il Covid è ancora un elemento che condiziona le scelte delle persone: nella rilevazione dello scorso settembre, il 36% giudicava i ristoranti un posto dove era pericoloso andare per il rischio di contrarre il famigerato virus.

Nonostante tutti questi nuvoloni neri all’orizzonte, le prospettive del mercato secondo Pisnker sono tutt’altro che catastrofiche. «Le uscite al bar e al ristorante sono le prime voci che le persone dichiarano di dover tagliare – spiega -. Ma, come è già avvenuto in passato, per esempio durante l’ultima grande recessione nel 2008, probabilmente a un enunciato di principio non corrisponderà un comportamento conseguente. Nel 2018 il 51% dei consumatori dichiarò di voler tagliare le spese, ma il calo del mercato poi rimase sotto i tre punti percentuali».

Ripresa (quasi) completa

«Nel 2023 – afferma Pinsker – ci aspettiamo un fatturato complessivo nei 5 maggiori Paesi europei superiore ai 309 miliardi, di poco superiore ai livelli del 2019 (era 308,8), anche se con un numero di visite inferiore rispetto ad allora.

Il primo elemento chiave per interpretare l’evoluzione del mercato, per Pinsker il consumo a casa: «I consumi domestici di piatti acquistati nei locali del fuori casa sono esplosi, tanto che nel 2023 arriveranno a essere un pasto su cinque, quasi il doppio rispetto al 2019. Le crescite maggiori sono previste per la modalità click&collect, che dopo aver sfiorato un fatturato di 9 miliardi di euro (erano poco più di tre nel 2019), per il 2023 ci aspettiamo arriverà a 10 miliardi».

Gli ordini digitali sono in forte crescita, anche dopo la fine delle restrizioni. La comodità di far tutto dal telefonino sta conquistando sempre nuove schiere di clienti, tanto da aver raggiunto una spesa di 30 miliardi di euro nel 2022.

Sul fronte delle motivazioni, la fine delle restrizioni ha fatto esplodere la voglia di socializzare rimasta a lungo compressa: i bar e ristoranti che puntano sull’esperienzialità sono quelli che ne hanno beneficiato di più, mentre la necessità di risparmiare – causa minore reddito disponibile – si concentra sulla riduzione delle occasioni funzionali.

«Si rinuncia alle occasioni di consumo funzionali – riassume Pinsker – mentre per quelle esperienziali la scelta è piuttosto quella di contenere la spesa, scegliendo locali di livello inferiore o rinunciando a qualche ordinazione per tenere sotto controllo il valore dello scontrino».

Il quarto elemento che Pinsker sottolinea è la crescente attenzione delle persone ai temi del benessere e della salute: non solo la propria – considerata importante per il 60% degli intervistati – ma anche dell’intero pianeta. La sostenibilità, infatti, è un aspetto chiave per il 69% delle persone».

 

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La nuova piattaforma Total Tiki di Jeff “Beachbum” Berry
La grande banca dati di ricette Tiki creata dal Beachbum è ora anche online. Un forziere che contiene un vero patrimonio per gli appassionati

Total Tiki è un forziere zeppo di monete d’oro per tutti gli appassionati di cocktail e cultura Tiki. Contiene, per essere dirla con gli spiccioli, 300 ricette esotiche ideate dai pionieri Don the Beachcomber e Trader Vic; una selezione di preparazioni meno famose, ma straordinarie, degli anni ‘40-’70; nonché pozioni contemporanee da leccarsi i baffi. Un patrimonio in Technicolor a cui vengono aggiunte a ritmo mensile, nuove ricette vintage e moderne. Il custode di questo forziere è Jeff Berry, conosciuto anche come Beachbum, famoso storico dei cocktail e scrittore che ha dedicato la sua carriera alla ricerca e alla riscoperta dei cocktail perduti della cultura Tiki. Ha scritto diversi libri sull’argomento, tra cui Beachbum Berry’s Grog Log, Beachbum Berry’s Intoxica! Beachbum Berry Remixed e Potions of the Caribbean di cui esiste anche una bella versione italiana. Beachbum è anche il proprietario del Latitude 29 a New Orleans, un bijoux in stile esotico, arredato con gusto, dove puoi trovare l’eccellente rum di Berry (Hamilton Beachbum Berry’s Navy Grog Blend), oltre a un senso dell’ospitalità davvero fuori dal comune. Se oggi l’universo variopinto dei cocktail Tiki è diventato un argomento mainstream lo dobbiamo alla dedizione di Berry che, nella sua attività di ricerca, ha riportato alla luce non solo le ricette, ma tutta l’allegra complessità di un fenomeno fatto di locali con atmosfera tropicale e dall’estetica retrò, con decorazioni ispirate a templi esotici, sculture di Tiki (divinità polinesiane), immagini di spiagge esotiche e musica lounge, o appunto exotica, di sottofondo. È per questo che diamo il benvenuto all’arrivo del suo nuovo progetto di divulgazione chiamato Total Tiki. Questa piattaforma per professionisti e cultori del genere non è una novità perché Total Tiki è attivo dal 2014. Quello che cambia oggi è la nuova e sicuramente più interessante modalità di fruizione.

Ma riavvolgiamo il nastro. L’applicazione per iPhone Beachbum Berry’s Total Tiki è un fenomeno di ricette per cocktail dal 2014. Attualmente è al sesto posto tra le 100 migliori app a pagamento per cibo e bevande nell’App Store di Apple, con oltre 100 recensioni a cinque stelle. Ne hanno scritto in tanti e bene. Dal Wall Street Journal ad Imbibe, da Chilled allo stesso Bargionale. Perché il progetto è davvero ben congegnato. Tanto che la rivista MacWorld l’ha definita “bellissima perché basata su una ricerca instancabile e meticolosa”. Per otto anni l’unico problema è stato che chi non gravitava intorno ad Apple era escluso automaticamente dai giochi e dalla ricerca. Per lo sviluppatore di Total Tiki, Martin Doudoroff, una versione Android era un progetto impraticabile. Doudoroff, per chi non lo sapesse, è il deus ex machina della società MixologyTech. Un tecnico-visionario che ha creato app, di concerto con celebri bar (PDT Cocktails) e personaggi del calibro di David Wondrich. Il tutto con l’obiettivo di perfezionare la portata di ciò che un’app per cocktail può offrire. «Creare una versione dell’app Total Tiki per Android avrebbe richiesto l’assunzione di uno sviluppatore esterno senza alcuna garanzia di rientrare dai costi, ma soprattutto con poche garanzie che la qualità potesse essere mantenuta. Così ho creato una piattaforma sul Web in grado di superare i limiti imposti del formato app». Un luogo digitale da visitare come un museo che include tutte gli oggetti rari collezionati da Beachbum nel corso di tutta la sua vita. L’esploratore ha a disposizione una videoteca, tracce audio e molto altro. Dice Berry: «Ma più di tutto, sono stupito dalla versatilità del sito. È un sistema di gestione delle ricette all’avanguardia e un inventario degli ingredienti, ma è anche un museo digitale in costante aggiornamento con nuove immagini e informazioni su luoghi e persone del passato e del presente». Il meccanismo di ricerca dei drink è intuitivo e racchiude diverse informazioni: grado alcolico, dolcezza e acidità, profilo dei sapori, nomi delle ricette e nomi degli autori. «In pratica sia su desktop sia smartphone Total Tiki fa tutto. Tranne mescolare il tuo drink». Così conclude Jeff Berry.

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Cinema Fulgor

da giovedì 26 gennaio a mercoledì 1° febbraio 2023

Cinema Fulgor, Corso d’Augusto 162 – Rimini centro storico

Programmazione cinematografica dal 26 gennaio al 1° febbraio 2023

Sviluppato all’interno della palazzina liberty situata al civico 162 nel centro di Rimini, il cinema Fulgor racchiude in sé tutti i segni della poetica di Fellini.
Al piano terra, il foyer e le due sale cinematografiche “Giulietta” (da 53 posti) e “Federico”(da 190 posti) ispirate allo stile hollywoodiano anni ’30.
Propone proiezioni, rassegne, eventi speciali.
L’acquisto dei biglietti online è disponibile su: www.liveticket.it/cinemafulgor
Programmazione della settimana

Ingresso: 
a pagamento

Telefono: 
0541 709545

Cinema Settebello

da giovedì 26 gennaio a mercoledì 1° febbraio 2023

Cinema Settebello, via Roma 70 – Rimini

Programmazione dal 26 gennaio al 1° febbraio 2023

Il Cinema Settebello di Rimini offre un’ampia programmazione: film d’essai, rassegne ed eventi.
All’interno ci sono un foyer con bar e tre sale proiezione: Sala Rosa da 350 posti, Sala Azzurra  da 100 posti e la Sala Verde da 90 posti, tutte attrezzate con proiettori 4K di ultima generazione.
Ampio parcheggio, gratuito per chi acquista un biglietto del cinema.
Programmazione della settimana.

Ingresso: 
a pagamento

Telefono: 
0541 57197

Giorno della Memoria 2023

venerdì 27 gennaio 2023

Parco ‘Ai Caduti nei Lager 1943-1945’, via Madrid – Rimini Miramare

Cerimonia commemorativa al Parco ‘Ai Caduti nei Lager 1943-1945’

Il Giorno della Memoria, è celebrato ogni anno il 27 gennaio, come ricorrenza internazionale in ricordo dell’abbattimento dei cancelli del campo di sterminio nazista di Auschwitz-Birkenau. Anche a Rimini, la Cerimonia commemoriativa si svolge presso il monumento dedicato alle vittime dei lager nazisti e di tutte le prigionie, alla presenza delle autorità civili e militari, dei rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’arma e di una rappresentanza di studenti delle scuole di Rimini che presenterà letture, riflessioni e testimonianze.
Il Comune di Rimini è da tempo impegnato sul tema della memoria.
Oltre alla cerimonia commemorativa, si svolgeranno iniziative ed eventi culturali e teatrali. 
Il 24 gennaio alle ore 17.00, viene proposto un Consiglio Comunale Straordinario aperto alle scuole e alla cittadinanza, un incontro di dialogo e confrontio tra i giovani e gli amministratori sul tema della memoria. L’assemblea è animata da una decina di ragazzi delle quinte superiori, provenienti da differenti istituti, che hanno concluso il seminario della memoria con il recente viaggio in Austria a Mauthausen, Gusen e Hartheim, offrendo spunti di riflessione, elaborati dalla loro personale esperienza. Inoltre sono previsti gli interventi di alcuni relatori: il Rabbino Capo di Ferrara Rav. Luciano Caro, da sempre vicino alla città di Rimini; lo storico Riccardo Brizzi, dell’Università di Bologna in collegamento da Lione; Laura Fontana, Responsabile Attività Educazione alla Memoria del Comune di Rimini. 
E’ possibile seguire il consiglio comunale straordinario in diretta streaming al seguente link  https://bit.ly/ConsiglioComunaleStraordinario_GiornoMemoria .  L’evento poi sarà seguito anche da IcaroTV (canale 18) che lo trasmette giovedì 26 alle 21:35.

Orario: 
cerimonia commemorativa 27 gennaio alle ore 10.30

Ingresso: 
libero