L’era dei cocktail con il copyright
C’è una forma di tutela per le ricette che inventate? No. A meno che, oltre ad essere originali e creative, siano racchiuse all’interno di un libro firmato da voi. In quel caso, come per tutte le opere dell’ingegno, valgono le norme a tutela del diritto d’autore
Esiste un modo per tutelare le ricette originali? C’è una legge che protegga i cocktail come forma di creatività intellettuale e li salvaguardi esattamente come avviene con le canzoni?
Se le precedenti questioni sono diventate argomento di moda, un motivo ci sarà. Con ogni probabilità, è da ricercare nel modo diverso in cui si ordinano i cocktail. Un tempo la maggior parte del pubblico chiedeva il suo drink preferito e si limitava a valutare l’abilità del barman nell’eseguirlo. Oggi invece è cresciuta la percentuale di chi va in un locale perché apprezza il signature drink, equivalente chic del “cocktail della casa”, di quel tale barman. Come è successo in passato con gli chef, i barman stanno ricevendo sempre più attenzione da parte dei media. La loro popolarità cresce ulteriormente grazie alla spinta data alle ricette originali dai concorsi di cocktail sponsorizzati da questo o quel marchio. Logico che i barman, specie i più noti, nutrano il desiderio di proteggere le proprie creature.
Il caso Eben Freeman
In America, dove il “problema” è certamente più sentito che da noi, se non altro per una questione di numeri, il dibattito si è acceso l’anno passato. Era il luglio 2010 e in quei giorni al Tales of the cocktail di New Orleans, la principale manifestazione americana dedicata alla cultura del cocktail, Eben Freeman, geniale creatore della cola affumicata con bourbon (The Waylon), era relatore di uno speciale convegno. Lo accompagnavano un esperto dell’ufficio brevetti di New York e il suo avvocato. Il trio espose davanti a una platea incuriosita i possibili modi per tutelare la propria creatività nei drink e ricevere una giusta compensazione nel caso qualcuno l’avesse copiata. L’argomento è stato ampiamente dibattuto sui social network e ha creato un confronto globale nella comunità dei bartender. Ne scrissero Chantal Martineau sull’Atlantic Food Channel e i più famosi blogger del settore. Alla fine, dopo vari scambi d’opinione, è arrivata la sentenza: ricette, formule, miscele o tecniche di preparazione non possono essere oggetto di tutela. Punto. A meno che non siano inserite all’interno di un’opera letteraria (“substantial literary expression”). In linea di massima in Italia vale lo stesso principio. Un barman può cercare una tutela solo se scrive un ricettario (sempre che abbia le caratteristiche della composizione letteraria), ma la ricetta in quanto tale non ha i presupposti per essere qualificata opera d’ingegno tutelabile. In pratica non basta un nome di un cocktail, un mero elenco di ingredienti e il modo per miscelarli. L’avvocato Pierluigi Maini, tra i maggiori esperti di diritto d’autore, non ha dubbi: «Se le ricette sono racchiuse in un libro, sono originali, creative, innovative e non meramente ripetitive rispetto alla realtà preesistente, valgono le norme a tutela del diritto d’autore». La disciplina sul diritto d’autore in Italia si ritrova nel codice civile all’articolo che rimanda il regolamento dell’esercizio e della durata dei diritti d’autore a una legge speciale, 22 aprile 1941, n. 633 (legge sul diritto d’autore) successivamente più volte modificata, anche a causa di interventi di armonizzazione del legislatore comunitario. «L’autore – prosegue Maini – ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato, nei limiti fissati dalla legge. Il noto chef, ma il discorso varrebbe anche per un barman, che conduce un programma in televisione di solito cede con un contratto di edizione la sua raccolta di ricette». E in cambio l’editore s’impegna, oltre a produrre e a mettere in onda l’opera, a corrispondere all’autore un compenso per la cessione, che di norma è costituito da una partecipazione percentuale sui ricavi delle vendite dell’opera, ma che può essere fissato anche a forfait. Questo può essere un modo per evitare lo sfruttamento commerciale da parte dei media. La cosa è diversa quando non sia tanto un media, ma l’industria a voler utilizzare una ricetta originale per un utilizzo commerciale. «Qui – precisa Maini – si entra in un altro campo, non più quello del diritto d’autore (copyright), ma quello del marchio registrato (trademark) per il quale è competente l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi. Ci si rivolge ad esso quando la creazione è talmente innovativa da richiedere una particolare tutela». Per intenderci non si può registrare all’ufficio brevetti una variante, per quanto interessante, del Martini Cocktail ma il processo denominato Fat Washing di Eben Freeman sì. Per chi non conoscesse il Fat Washing è una tecnica di miscelazione molecolare che permette di infondere grassi e oli in un distillato, per creare per esempio un rum o un bourbon artigianale al profumo di bacon. Roba geniale, da brevettare.
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