Lillet Jolie per brindare ai 150 anni di Lillet
Semplice, leggero, low alcol, me ricercato nel gusto e nei sapori: il cocktail creato per festeggiare lo storico lo storico traguardo della maison simbolo dell’aperitivo alla francese

Sono 150 le candeline che spegne quest’anno maison Lillet (leggi Lillet, l’aperitivo francese alla conquista dell’Italia). Un traguardo al quale il brand simbolo dell’aperitivo alla francese brinda con un cocktail creato per l’occasione e celebrare l’imminente arrivo della Primavera, che viene lanciato proprio nel Paese patria dell’aperitivo: l’Italia.

Il cocktail pre dinner si chiama Lillet Jolie ed è un mix di gusti ricercati e profumi inebrianti che rispecchiano in pieno l’essenza e la storia del marchio. Facile e veloce da realizzare, è un drink a bassa gradazione alcolica, in linea con le nuove tendenze di consumo orientate a un bere di qualità, ma senza eccedere con l’alcol.

La base di Lillet Jolie è Lillet Rosé (alc 17% in vol), l’ultima referenza lanciata dal brand di Pernod Ricard nel 2011 e frutto di una raffinata combinazione di vini francesi e liquori di frutta, maturati in botti di quercia, che le conferiscono un aroma delicato di frutti rossi, fiori d’arancio e pompelmo, un sapore vivace e fruttato, con qualche nota speziata, ma dalla struttura bilanciata e il caratteristico colore rosa.

Colore rosa che rimanda alle camelie che crescono nel giardino che circonda la maison a Podensac, nei pressi di Bordeaux, dove fu fondata nel 1872 e dove ancora vengono prodotti i Lillet, e che naturalmente caratterizza anche il cocktail. Cocktail la cui ricetta è completata da soda al pompelmo, un rametto di timo e slice di pompelmo come guarnizione. Il risultato è un drink dai lievi aromi di frutti di bosco, fiori d’arancio e pompelmo, che esprime al meglio la freschezza e vivacità dallo spirit dal quale prende vita, con un retrogusto rotondo, con un accenno finale acidulo.

Un drink che rappresenta un’alternativa perfetta alle classiche proposte per l’aperitivo per ogni locale e che strizza l’occhio in particolare al pubblico femminile, ammaliando con il suo aspetto rosa brillante e conquistando con la sua leggerezza abbinata alla delicatezza e raffinatezza di aromi e sapori.

150 anni di fascino ed eleganza francese

Lillet Jolie incarna così il fascino e l’eleganza tipicamente francese dei quali il marchio è uno degli ambasciatori, fin da quando i fratelli Paul e Raymond Lillet, commercianti di pregiati vini e liquori, 150 anni fa misero a punto la ricetta del loro aperitivo a base di una raffinata combinazione di vini fini francesi e infusioni di frutta. Esportato oltreoceano, dopo la Seconda guerra mondiale, diventa l’aperitivo alla moda anche dei bar di New York, grazie anche ai manifesti pubblicitari, creativi e moderni, dell’artista francese Robert Wolff, conquistandosi un ruolo da protagonista in miscelazione, pensiamo solo al Vesper (dove però originariamente era utilizzato il Kina Lillet, ora fuori produzione), la versione del Martini cocktail creata dallo scrittore Iam Fleming per il suo James Bond in Casino Royale.

Aperitivo oggi prodotto in tre versioni:Lillet Blanc, il primo nato, dall’aroma aroma floreale e dal gusto dalle note di arancia candita, miele, resina e frutta esotica; il Lillet Rouge creato nel 1962 e che, a differenza del primo fatto con vini a bacca bianca, nasce da una base di vini a bacca rossa e si caratterizza per l’aroma deciso di frutti rossi e il gusto corposo e strutturato, grazie anche alla maggior presenza di tannino, di arance fresche, frutti di bosco, vaniglia e spezie, con note di frutta matura; e il Lillet Rosé.

La ricetta

Lillet Jolie

Ingredienti:
5 cl di Lillet Rosé, 10 cl soda al pompelmo
Preparazione:
build
Guarnizione:
rametto di timo e slice di polpelmo
Bicchiere:
calice

 

 

 

 

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Anteprima, da Gamondi il nuovo Aperitivo Fiori di Sambuco
La novità Gamondi Aperitivo Fiori di Sambuco è presente come prodotto sponsor alla tappa di Sorrento di Baritalia by Bargiornale del 4 aprile prossimo per essere utilizzato dai bartender nei cocktail concorrenti.

A Gamondi Aperitivo Agrumi Mediterranei si affianca la novità Gamondi Aperitivo Fiori di Sambuco. Caratterizzato da varie proprietà benefiche, il fiore bianco di sambuco cresce spontaneo in cespuglio, viene raccolto a mano e presenta un profumo delicato ma inconfondibile e per questo è spesso impiegato nella realizzazione di sciroppi, liquori e profumi.
Sarà uno dei protagonisti alla tappa di Sorrento di Baritalia by Bargiornale come prodotto sponsor per essere impiegato nei cocktail in concorso.

Olre che da gustare liscio, raffreddato o con ghiaccio, per queste qualità ha spesso trovato posto anche nella miscelazione, unito con spiriti bianchi come gin e vodka, oppure in cocktail come twist dello Spritz: 2/3 spumante, 1/3 Aperitivo Fiori di Sambuco, spruzzata di soda, foglie di menta, spicchio di limone.

Ricavato grazie all’infusione dei fiori di sambuco e altre erbe aromatiche in una base di vino Moscato bianco e distillato di vino, Gamondi Aperitivo Fiori di Sambuco presenta una gradazione di 21° alcolici, con note floreali, di frutta fresca e agrumi. Proposto in bottiglia da 1 litro a sezione esagonale più facilmente impugnabile.

Gamondi è uno storico marchio della tradizione liquoristica piemontese, creato nel 1890 da Carlo Gamondi, protagonista oggi di una recente strategia di rinnovamento, rilancio e comunicazione nel campo della miscelazione premium.

Ricette di Igor Tuliach
brand ambassador Gamondi

Belle époque
Ingredienti
4 cl Gamondi Aperitivo Fiori di Sambuco
2 cl Gamondi Vermouth di Torino Superiore Bianco
1 cl Amaro Toccasana di Teodoro Negro
1/2 bar spoon di salamoia di olive verdi
Preparazione
Mixing glass con ghiaccio, versare in coppetta, guarnire con spiedino di olive verdi in salamoia. Abv 18

Cocktail Belle époque di Igor Tuliach

Tutto Bianco
Ingredienti
4 cl vodka
2 cl Gamondi Aperitivo Fiori di Sambuco
1 cl Gamondi Vermouth di Torino Superiore Bianco
2 cl Piemonte Doc Chardonnay
Preparazione
Tecnica mixing glass, versare in bicchiere old fashion su ghiaccio, guarnire con scorza di limone o arancia. Abv 23

Cocktail Tutto Bianco di Igor Tuliach

 

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UK, crescono e si diversificano le caffetterie a marchio
Aumentano punti vendita e fatturato, vicini a livelli pre-covid. Crescono i piccoli locali e i drive-thru; incognite per la carenza di personale

Secondo la BCA (British Coffee Association) nel Regno Unito si consumano circa 95 milioni di tazze di caffè al giorno e il comparto dà lavoro a 210mila persone. La cultura del caffè continua a crescere e l’80% delle persone va al bar almeno una volta la settimana; il 16% ogni giorno.  A fronte di ciò, non sorprendono i dati positivi sulle catene del Regno Unito riportati dalla ricerca Project Cafè UK 2022 di Allegra, che rileva come nel 2021 il settore, con un mercato da 4,4 miliardi di sterline (circa 5,3 miliardi di euro) abbia recuperato l’87% del valore pre-pandemia, con un incremento delle vendite di 1,3 miliardi di sterline: una reazione importante al pesante calo registrato lo scorso anno. Non mancano tuttavia le preoccupazioni legate alle varianti del covid, al previsto ripristino dell’Iva al 20% e alla grave carenza di personale (un’inchiesta realizzata da Bargiornale a livello europeo, evidenziava nel giugno 2021 più di 73mila posti vacanti in pub, ristoranti e bar, in base a una ricerca condotta da Adzuna, motore di ricerca di annunci di lavoro con sede a Londra). Nonostante ciò si prevede il superamento delle vendite del 2019 entro la fine del 2023, raggiungendo i 5,8 miliardi di sterline i prossimi 5 anni, con un tasso annuo di crescita del 5,8%. I locali a marchio sono ora 9540: i  leader Costa Coffee, Greggs e Starbucks hanno aggiunto sedi per raggiungere rispettivamente 2.791, 2.176 e 1.089 punti vendita.

Le vicende degli ultimi due anni hanno spinto le catene ad apportare modifiche alle proprie proposte di vendita, con caffetterie drive-thru di formato più piccolo, sedi di quartiere e consegne a domicilio, che stanno diventando sempre più prevalenti. Il mercato drive-thru nel Regno Unito oggi comprende 578 negozi e vede al primo posto Costa Coffee con 275 punti vendita (+75 dal 2020); Starbucks ne gestisce 270. Il potenziale del segmento è grande, se si considera che il 57% dei consumatori britannici intervistati ha affermato che acquisterebbe bevande con questa modalità qualora avesse strutture nei dintorni.

«Sono rincuorato nel vedere il mercato delle caffetterie del Regno Unito dimostrarsi così resiliente in tempi di scambi incredibilmente difficili, con numeri di locali che superano i livelli pre-pandemia e vendite stimate a poco meno del 90% degli scambi del 2019 – ha affermato Jeffrey Young, fondatore e Ceo di Allegra Group -. Durante la pandemia abbiamo visto i locali svolgere un ruolo vitale nella vita dei consumatori in tutto il paese. Come evidenzia la ricerca, non mancano rischi o incertezze: l’inflazione record sta esercitando un’ulteriore pressione sul reddito disponibile dei consumatori, con la cronica carenza di persone e gli effetti negativi per il mercato delle caffetteria di un prossimo ritorno dell’Iva al 20%».

Nel frattempo, anche le vendite online e la consegna a domicilio, sono in aumento. Il 70% dei consumatori britannici intervistati ha dichiarato di avere scaricato l’app fedeltà di una caffetteria, e il 35% di aver acquistato una bevanda da ritirare sul punto vendita negli ultimi 12 mesi. Rapidità delle consegne, temperature delle bevande e costi rimangono un freno all’ampliamento del delivery.

Anche negli UK si è registrato un aumento del consumo di caffè a casa con l’acquisto di apparecchiature premium; di qui la previsione di un cliente sempre più esigente ed esperto, a casa come al bar.

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Groovy Fluids: la nuova drink factory nel cuore di Amsterdam
Fondata da 5 bartender, tre italiani, una inglese e una polacca, la factory è un laboratorio dove vengono creati cocktail ready to drink, ma anche uno spazio di formazione, scambio e approfondimento sulla mixology

Febbraio 2020. Probabilmente il peggior mese dell’ultimo decennio in cui mettere insieme tutti i propri risparmi e avviare un’attività. Eppure, la storia di Groovy Fluids inizia così. In realtà inizia molto prima, con le singole storie dei cinque soci del gruppo: Andrea Boi, Stefano Pastorino, Alessandro Rancan, Laura Brady e Agnieszka Sudnikovic. Tre italiani, una inglese e una polacca. Tutti bartender che hanno navigato per anni nel mondo dell’ospitalità, dai ristoranti stellati ai bar di quartiere di tutta Europa. Per poi trovarsi a lavorare insieme a The Duchess, uno dei ristoranti più rinomati di Amsterdam. Insieme cominciano a dare forma a un’idea: quella di creare un laboratorio dove vengono creati cocktail ready to drink, che sia però anche un luogo di incontro per colleghi, appassionati e curiosi. Uno spazio di formazione, scambio e approfondimento.

Dalla bottiglia al bicchiere

Insieme, il quintetto unisce i propri risparmi (l’investimento totale sarà di circa 100.000 euro), affittando un fondo di circa 80 metri quadri. Dentro, lo riempiono di tutta l’attrezzatura che un barman può sognare: sonicatori, eveporatori rotanti, centrifughe, gasatori. Lo riempiono anche del loro obiettivo primario: creare una linea di cocktail in bottiglia fatta di sapori nitidi, bilanciamento e originalità. Il formato è la bottiglia da 750 ml o la mezza da 375, il packaging è semplice: bordolese classica con tappo a corona. Le etichette sono essenziali e arrivano subito al dunque: Bergamotto Road, Chinotto Affair, Plum Fiction, Saffron Calling. Nel nome del drink si intuisce quello che sarà il gusto primario, le gradazioni oscillano tra i 7 e i 12 gradi alcolici, venendo così incontro a un consumo direttamente dalla bottiglia al bicchiere, senza bisogno di ghiaccio.

I liquori utilizzati non sono prodotti in loco, ma fanno parte dell’assortimento di Quaglia. Le collaborazioni con diversi brand sono frequenti, grazie alle connessioni che ciascuno dei membri del team ha nella industry. Nel tempo, sono stati creati drink con prodotti del portfolio di tutti i principali distributori mondiali.

Il fine è quello di tutti i barman: offrire la miglior esperienza possibile. La distribuzione avviene sia tramite il sito internet sia tramite le app di delivery, ma anche attraverso le numerose collaborazioni instaurate con altre realtà: vendita diretta durante i mercati all’aperto, vendita all’interno di ristoranti della città, fino all’organizzazione di eventi aperti a tutti, ai quali partecipano centinaia di persone.

Cocktail sartoriali e formazione

Le spirito collaborativo e condivisivo guida il gruppo e grazie a questo si sono sviluppate altre attività aziendali: per esempio, la possibilità per altri bar di utilizzare il loro spazio, di essere formati sul funzionamento dei macchinari e di avere accesso a preparazioni che nella maggior parte dei bar non sarebbero possibili. Attraverso una sorta di abbonamento giornaliero o mensile, i team di alcuni bar (al momento sono quattro, in tutta l’Olanda) possono trascorrere tra le 4 e le 8 ore settimanali nel laboratorio, venendo seguiti e avendo accesso a un vasto assortimento di ingredienti.

Non capita tutti i giorni di avere tutor del loro calibro, se si considera che tra i soci del Groovy Fluids c’è chi ha lavorato per anni nella Drink Factory di Tony Conigliaro, o chi ha vinto il premio come Best Female Bartender nella finale globale di World Class. Sebbene esempi simili siano sempre più presenti in Europa, quello di Groovy Fluids è l’unico laboratorio completamente aperto al pubblico, nel quale anche un semplice curioso può prenotare una formazione e dove anche un bar o ristorante può farsi creare una produzione sartoriale in conto terzi, con minimi d’ordine accessibili e competitivi di 500 bottiglie, poco più di 200 litri.

Ad oggi, dopo due anni di attività fatta di doppi turni tra il lavoro serale nei bar e quello diurno in laboratorio, finalmente un grande obiettivo è stato raggiunto: a partire dal prossimo mese, tutto il team inizierà a lavorare unicamente al progetto, che sta crescendo al punto che – chissà – forse tra poco vedremmo le loro bottiglie anche in Italia. Una cosa è certa, se questa è la prima, non sarà certo l’ultima volta che sentiremo parlare de “la gang di Amsterdam”.

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A caccia di talenti tra borghi e paesi
L’editoriale del numero di marzo 2022 di Bargiornale a firma del direttore Rossella De Stefano. Dedicato agli eroi in provincia, imprenditori con #superpoteri come determinazione, puntiglio, voglia di sbattersi. Che non mollano mai

Accendere i riflettori sulla provincia e su quanti (molti) si impegnano giorno dopo giorno, dando prova del proprio talento, pur non lavorando nelle classiche mete turistiche o nei grandi centri urbani. Questa la sfida che abbiamo deciso di raccogliere.

Numeri alla mano, nel quarto trimestre 2021 i comuni fino a 100mila abitanti hanno sviluppato il 66% del fatturato fuori casa. Complice la diffusione su larga scala dello smart working, certo! Ma se è lecito aspettarsi che la fine dell’emergenza, il prossimo 31 marzo, riporterà in auge i grandi centri urbani, la provincia è pronta a ritagliarsi un ruolo più importante rispetto al passato.

La copertina del numero di marzo 2022 di Bargiornale

Nelle pagine del numero di marzo 2022 di Bargiornale abbiamo raccolto le storie di venticinque imprenditori che hanno creduto nella provincia, pur in tempi non sospetti, dando vita a format di successo, degni di una metropoli. Venticinque “eroi”, nell’accezione di persone che per straordinarie virtù di coraggio o abnegazione s’impongono all’ammirazione di tutti.

Nulla a che vedere dunque con il Cavaliere Oscuro e il protagonista della pellicola di Matt Reeves, in uscita proprio questo mese. Dalla loro non hanno né Batmobile né Bat-tuta o altre diavolerie simili, ma sono dotati di #superpoteri come la determinazione, il puntiglio, la voglia di sbattersi. Imprenditori a cui abbiamo chiesto di citarci i loro eroi per generare un elenco sterminato di professionisti di talento, distribuiti su tutto il territorio italiano e di cui siamo fieri!

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Hanky Panky, la casa della new mixology messicana
Al 12° posto nella classifica dei World’s 50 Best Bars, il cocktail bar di Città del Messico è il capofila della nuova era della miscelazione messicana. Fatta di passione, ospitalità, alta qualità e apertura alle influenze dall’estero

“Come le rock band”. Un tour di otto paesi in sedici giorni, con ultima tappa a Londra. E prima ancora, una serie di ospiti internazionali passati ad assaporare l’ospitalità messicana, facendone tesoro e riportandone le sensazioni in patria. L’Hanky Panky di Città del Messico è stato eletto al numero 12 dell’ultima classifica World’s 50 Best Bars, gli Oscar della miscelazione, come più alta new entry del 2021; e viaggiare è stata una delle chiavi di volta di questo straordinario e inaspettato piazzamento. «Non ci siamo mai posti come obiettivo di entrare in classifica», racconta Walter Meyenberg, designer e fondatore del bar, oltre che coinvolto in una buona dozzina di attività di successo in giro per il mondo. «Ma abbiamo girato molto e coinvolto bar da tutto il mondo, le restrizioni morbide che abbiamo avuto in Messico ce lo hanno permesso. Eravamo forse l’unico Paese a essere aperto, a dire la verità. Siamo riusciti a creare un ambiente familiare con altri bartender, per trasmettere positività e costruire un senso di comunità, tra guest shiftmasterclass, confronti».

Passione, ospitalità e alta qualità

Adesso che si è dentro, paradossalmente, viaggi e contaminazione aumenteranno: per il 2022 è già stata avviata un’intensissima campagna di ospitate e presenze oltreconfine, con lo scopo di consolidare un vero e proprio movimento cui Hanky Panky ha dato il via lo scorso anno: «È stato come una palla di neve. Abbiamo iniziato con una guest e non ci siamo più fermati. Adesso abbiamo un calendario già completamente esaurito fino a luglio: si continua a viaggiare, a scambiare opinioni. E non è conseguenza dell’ingresso in classifica, una posizione così alta per noi è uno stimolo, non una pressione da dover reggere: quella in realtà c’è sempre, perché l’obiettivo rimane far star bene gli ospiti. Non è cambiato nulla sotto questo punto di vista, forse adesso chi viene a trovarci si aspetta addirittura di più». Passione, ospitalità e alta qualità, il paradigma di Meyenberg, supportato dall’head bartender Ismael Pollo Martínez e dalla bar manager Georgina Barbachano, che quasi naturalmente si sono trasformati in importantissimi ambasciatori per il loro Messico.

Bartending in Messico, un movimento in crescita

«Siamo in una fase crescente, ma ancora giovane. Il panorama del bar in Messico è piuttosto fresco, non abbiamo una comunità interna che faccia sistema, ma enorme potenziale che anche i colleghi internazionali iniziano a recepire», spiega Pollo, che deve il soprannome alla mamma. «Vogliamo dimostrare anche al governo e alle istituzioni quanto il nostro lavoro valga e gli stessi operatori del settore devono arrivare a un’idea del bartender come professionista, che studia, cresce, non è più solo una tappa o un ripiego». Questo alla luce di una tradizione di miscelazione longeva, per quanto forse troppo ancorata a bevute semplici e familiari: «Stiamo partendo dai vari Margarita e Paloma, per arrivare a far comprendere dei cocktail più complessi. Fino a poco tempo fa era impossibile trovare qui prodotti di un certo livello: oggi si possono importare e noi siamo aperti alle influenze dell’estero che riportiamo a casa dopo i nostri viaggi. L’obiettivo è passare dai tipici sentori agrumati e fruttati del bere messicano, agli old classic, più amari, più secchi».

La nuova drink list

La nuova drink list è inoltre un ulteriore dimostrazione di quanto i continui viaggi del team Hanky Panky si stiano rivelando un tesoro sul quale investire. Si chiama Passportuna «raccolta intensa di memorabilia, tra tragitti, esperienze e incontri che ci hanno ispirato. Un intero libro che richiama il passato, dal quale abbiamo capito quanto le connessioni umane siano fondamentali: abbiamo appreso ovunque siamo andati e ci siamo anche resi conto di quanto i migliori bar e bartender in assoluto siano poi quelli più semplici. E noi cerchiamo di essere così: passione, qualità e ospitalità ai massimi livelli, sono il nostro credo e probabilmente il trend dei prossimi tempi». Semplici come la miscelazione storica messicana, che però adesso guarda a un futuro da protagonista.

Identikit Hanky Panky

Superficie: 90 mq
Personale: 6 (5 bartender/sala e 1 cucina)
Posti a sedere: 50
Prezzo medio: 190 pesetas per drink (8,5€)

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Fever-Tree, un fenomeno di tonica al servizio del professionista
Nata per proporre una tonic water premium, Fever-Tree è diventata protagonista del mercato con una ricca gamma di premium mixer

Nata nel 2003 da un’idea di Charles Rolls e Tim Warrillow, Fever-Tree Indian Tonic Water ha incontrato velocemente il gusto del pubblico, fino a diventare protagonista del mercato internazionale, presente in 78 Paesi. Quotata nel 2014 alla Borsa di Londra, Fever-Tree Drinks Plc conta circa 250 dipendenti, con un fatturato 2019 di 250,5 milioni GBP (sterline). In Italia è distribuita da Velier di Genova in bottiglia di vetro 20 cl tappo corona, in cartoni da 24 pezzi. In Gran Bretagna sono disponibili anche i formati vap 50 cl e lattina 150 ml.

Oltre a Indian Tonic Water, si sono aggiunte altre 10 pluripremiate specialità mixer premium, tutte all’insegna della qualità degli ingredienti impiegati. Ultima in ordine di tempo è Sparkling Pink Grapefruit con aggiunta di succo di pompelmo rosa della Florida. Grazie alle diverse aromatizzazioni naturali, le tonic water FT si sono “sganciate” dalla ricetta classica del Gin Tonic e possono arrichire altri cocktail, oltre che vivere di luce propria come bevande rinfrescanti e dissetanti.

L’intervista a Filippo Colombo, Country manager Fever-Tree Italia

Come viene distribuita in Italia Fever-Tree?

Il nostro rapporto con il distributore Velier di Luca Gargano risale a ben 15 anni fa, praticamente all’inizio del lancio di Fever-Tree sui mercati internazionali, una specialità che è cresciuta velocemente tanto da diventare un prodotto premium di punta dell’azienda genovese. Fever- Tree sta puntando a rafforzare la presenza sul territorio con l’introduzione di on-trade specialist per le Aree 1 e 2 e prossimamente anche per il Sud Italia, collaborando al meglio con gli oltre 500 grossisti serviti sul territorio. Anche dalla Gdo stiamo avendo ottimi riscontri, avendo rafforzato il team merchandiser. L’Italia è un mercato di riferimento dove vediamo ulteriori opportunità di crescita.

Filippo Colombo, country manager Italia di Fever-Tree

Da dove arrivano gli ingredienti di qualità di Fever-Tree?

Oltre al chinino del Congo utilizzato come prodotto comune pere le toniche, per i nostri 11 premium drink impieghiamo ingredienti di qualità da tutto il mondo. Fever-Tree Mediterranean Tonic Water è aromatizzata con timo limone di Provenza. Elderflower Tonic Water impiega fiori di sambuco coltivati nel Gloucestershire, in Inghilterra. Lemon Tonic si distingue per gli aromi dei limoni di Sicilia dell’Etna. Aromatic Tonic Water è caratterizzata da bacche di pimento della Giamaica, vaniglia del Madagascar e corteccia di angostura del Sud America. Fever-Tree Ginger Beer e Ginger Ale impiegano una miscela di tre diversi tipi di zenzero, provenienti da Costa d’Avorio, Nigeria e India Meridionale. Fever-Tree Cola contiene vaniglia del Madagascar. Per facilitare la scelta della tonica più appropriata con i diversi gin, da quelli ricchi di ginepro a quelli agrumati ed erbacei, floreali e con sloe (prugnole), abbiamo messo a punto la Ruota Aromatica FeverTree, scaricabile dal nostro sito.

L’azienda è impegnata socialmente con la campagna Malaria No More UK. Con quali motivazioni?

La campagna Malaria No More UK ha la missione di eliminare questa terribile malattia infettiva che produce ogni anno oltre mezzo milione di vittime in tutto il mondo. Una causa meritevole del nostro supporto e coinvolgimento, visto il ruolo del chinino che è stato utilizzato storicamente come medicinale contro la malaria ed è l’ingrediente base della nostra attività.

 

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Al Jeffer di Pisa il menu che sostiene gli animali
Aperto a maggio dello scorso, il cocktail bar ha presentato la sua nuova drink list. Che unisce buona miscelazione a una buona causa

Una delle aperture più interessanti dell’ultimo anno in Toscana è senza dubbio il Jeffer di Pisa, tra i 10 finalisti come locale rivelazione ai Barawards 2021 (leggi Barawards 2021: scopri tutti i locali finalisti). La città della torre pendente è una delle mete più visitate d’Italia, oltre che uno dei poli universitari più rinomati. Tuttavia, complice un turismo mordi e fuggi e una clientela – quella studentesca – a budget ridotto, la nascita di un cocktail bar di qualità è stata a lungo rimandata (salvo l’unica altra eccezione in città, l’Eleven Cafè).

È il primo maggio dello scorso anno che inizia l’avventura dei tre giovani soci del Jeffer, che puntano sulla loro città natale per farsi riconoscere con una miscelazione interattiva, accattivante e elaborata al punto giusto. Il menu che ha accompagnato i primi mesi di apertura, invitava il cliente a scegliere un drink sulla base del proprio profilo caratteriale: per cui c’erano cocktail per idealisti sognatori, per impulsivi esploratori, leader carismatici o eclettici visionari. Un successo, che ha incuriosito e fidelizzato i clienti, portando la vendita di signature a un 60% del totale. Dopo un secondo menu tematico, a febbraio è arrivato il momento di proporre l’attuale carta, che non si limita a presentare una lista di cocktail della casa, ma unisce una buona miscelazione a una buona causa.

Classici in chiave pop per una giusta causa

Il menu Save the Animals è composto da 11 cocktail più due analcolici, principalmente twist di classici ripensati in chiave pop, come il Paloma Colada o il Naked & Friends. La particolarità è che per ogni drink venduto viene devoluto un euro in favore di Animal Equality, un’organizzazione no profit internazionale che salvaguarda i diritti degli animali, operando soprattutto contro lo sfruttamento e il maltrattamento a scopo alimentare. Tutti i cocktail sono inediti, con preparazioni veloci e intuitive, in linea con l’animo street del locale, che nelle serate di punta serve centinaia di drink. Dallo yogurt alla mandorla al cordiale ai nachos, dal cocco salato ai funghi, tra i variegati e curiosi ingredienti dei drink figura di tutto, ma nulla che abbia un’origine animale: un altro modo di mostrare coerenza e sensibilità alla causa.

Il menu è un piccolo opuscolo pieghevole e tascabile, che una volta aperto mostra insieme a ogni drink una grafica a fumetti a tema animale, realizzata dal tatuatore pisano Daniele Lucchese. Il menu accompagnerà il Jeffer fino all’inizio dell’estate, al momento del cambio di carta: verranno conteggiati i signature venduti nel quadrimestre e staccato un assegno in favore di Animal Equality. Quale sarà l’importo? Dipende anche da voi che leggete! Che cosa aspettate ad andare sul Lungarno Mediceo a farvi un House Negroni?

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PERL_ARTE – Le mostre al Palacongressi di Rimini

da sabato 12 marzo a venerdì 30 settembre 2022

Palacongressi (Spazio Convivio), via della Fiera 23/D – Rimini

Mostra fotografica di Davide Conti allo spazio Convivio

Davide Conti, fotografo visionario o, come ama definirsi, “modern painter irregolare”, espone le sue opere allo Spazio Convivio del Palacongressi, con un messaggio che trae ispirazione dal concetto di coraggio.
Le immagini di Davide Conti si ispirano all’arte, alla mitologia e alla cultura shibari, in una costante contaminazione tra pittura, arti figurative, graphic design e fotografia.
Immagini caratterizzate da una rappresentazione spregiudicata ed allegorica della figura umana, dominata da colori intensi come il rosso e il viola e contrastanti come il bianco e il nero.
Opere che nascondono mille rimandi culturali ed emozionali e che si prestano a molteplici interpretazioni, in un gioco infinito tra il pubblico e l’autore.
La mostra dell’artista bolognese rientra nel progetto PERL_ARTE – Le mostre del Palacongressi di Rimini, che Italian Exhibition Group promuove in collaborazione con Art Preview, Augeo Art Space ed il gallerista riminese Matteo Sormani.  
​Lo spazio Convivio e l’esposizione sono aperti e attivi in occasione degli eventi che si svolgono al Palacongressi. Le opere dell’artista, sono visitabili su prenotazione. 
Vernissage sabato 12 marzo alle ore 17.00.

Orario: 
su prenotazione con green pass rafforzato

Telefono: 
0541 711500 Info e prenotazioni
Lavoratori stagionali: cambiano le regole d’ingaggio
Turni unici, giorno libero, alloggi decenti, formazione: le nuove richieste dei lavoratori stagionali emerse dall’indagine di Lavoroturismo.it

Locali a caccia disperata di personale, candidati meno “pronti a tutto” di prima: il mondo dell’ospitalità rischia il cortocircuito? Al di là delle opinioni personali (ogni imprenditore ha le proprie, giustamente), ci sono dati di realtà che è opportuno considerare, indipendentemente dal fatto che si considerino giuste o sbagliate. Per quale motivo?

Facciamo un esempio, un dialogo (neanche tanto) immaginario tra un gestore (G) e un osservatore esterno (O).

G: “Ho sempre lavorato con turni spezzati, non vedo il motivo per cui cambiare”.
O: “È un ottimo modo, se funziona. Ma oggi si trova sempre meno gente disposta a fare turni spezzati”.
G: “È perché la gente non ha più voglia di lavorare”.
O: “Può darsi, ma è vero che hanno esigenze diverse. Si possono giudicare eccessive, sbagliate, assurde ecc. Ma chi le soddisfa, ha più probabilità di altri di scegliere le persone. Gli altri, si devono accontentare. Se e finché trovano”.

L’identikit del lavoratore stagionale

Fantascienza? LavoroTurismo.it (totalmente estraneo al dialogo immaginato sopra, frutto solo della fantasia dell’autore dell’articolo) ha provato, a fine stagione estiva 2021, a tracciare l’identikit del lavoratore stagionale. Qui sotto trovate i risultati del sondaggio “Estate 2021. Come è andata?” (per visualizzare il grafico completo occorre cliccare sopra l’immagine).

«Abbiamo ritenuto utile raccontarli adesso – spiega Oscar Galeazzi, fondatore di Lavoroturismo.it, storica agenzia di ricerca e offerta di lavoro per il mondo dell’ospitalità – proprio mentre la ricerca di personale stagionale è in pieno svolgimento, per dare agli imprenditori qualche strumento di comprensione in più sull’evoluzione del mercato». L’estate 2021 è stata sicuramente anomala, tra l’incertezza del prima e i sussidi del lockdown: «Molti hanno finito per rinunciare alla stagione e rimanere nel proprio territorio: un po’ perché sono stati chiamati molto sottodata e per meno mesi che in passato. Anche i sussidi ricevuti hanno avuto una loro influenza, in particolare per gli stranieri che sono rimasti nei loro Paesi».

Cresce il peso delle condizioni non economiche

«Il primo elemento che salta all’occhio è che la retribuzione non è più, come fino al recente passato, il fattore principale nella scelta; è sceso al terzo posto, superato da orari di lavoro e benessere sul posto di lavoro. Un cambiamento significativo, visto che gli stagionali – tradizionalmente – sono le persone più attente alla remunerazione, dato che vogliono massimizzare i guadagni che ottengono nei mesi in cui lavorano. Cosa è cambiato? Che i giovani danno più importanza alla coerenza del lavoro rispetto ai propri valori».

Galeazzi sottolinea due altri elementi: i turni e l’alloggio. «Sull’alloggio si è alzato il livello di aspettativa – spiega -. La maggior parte delle aziende non prestano sufficiente attenzione a questo aspetto, che invece sta diventando sempre più importante, anche nelle scelte se accettare o meno un posto di lavoro. Piazzarli nello scantinato umido o nel caldo della lavanderia non è (più) accettabile. Un’idea potrebbe essere seguire l’esempio della Germania, dove sono state create – tra gruppi di aziende – delle case del personale apposta per alloggiare i dipendenti».

Quanto agli orari, le persone chiedono turni unici e orari migliori: «Il giorno libero, un tempo considerato “optional” oggi è – giustamente – considerato irrinunciabile dalla maggioranza dei lavoratoti. E molti locali, a loro volta, scelgono di chiudere un giorno a settimana. Crescono anche i locali che organizzano il personale su due turni (8-16 e 16-24) o con un turno corto e un turno lungo, ad esempio 10-15 e 16-1 di notte, creando due squadre, in modo da permettere o ogni dipendente di fare un turno unico e non spezzato».

Relazioni positive e gap formativo

Galeazzi sottolinea come, in generale, prevalga un buon clima nella relazione imprenditore-dipendete: «I lavoratori hanno dato una valutazione complessivamente positiva dei loro dati di lavoro, e lo stesso gli imprenditori verso i propri dipendenti».

Il punto debole è la formazione: «Tre quarti dei dipendenti non ritiene di avere carenze da colmare. Ma la realtà è molto diversa, a partire dalla conoscenza delle lingue».

Ma vale la pena spendere per formare un dipendente che starà solo pochi mesi? «Un periodo, anche breve, di formazione iniziale è indispensabile per trasmettere ai dipendenti i propri valori e gli standard su cui vogliamo impostare il servizio al cliente. E occorre dare delle prospettive di crescita alle persone. Le catene lo fanno in modo sempre più importante. Il rischio è che si accaparrino i migliori talenti a spese degli indipendenti».

L’articolo Lavoratori stagionali: cambiano le regole d’ingaggio è un contenuto originale di bargiornale.